La sceneggiata del G7 che si riunisce a Kiev, riporta alla mente identiche gite fuori porta come quelle di Draghi, Macron e Sholtz di quasi due anni fa. Gli ingredienti della manfrina sono sempre gli stessi: quintali di retorica bellica e immagini trite e ritrite di governanti europei che, con poche ore di treno (la Meloni ha ritenuto di lasciare a Roma Lollobrigida per evitare guai ndr) ritengono di poter rilanciare la loro immagine di fermi guerrieri dell’Occidente a spese degli ucraini, che intanto continuano a morire per le ambizioni di Zelensky e per gli interessi statunitensi.

 

Quello andato in scena ieri con la Meloni vestita da leader europea ha aggiunto - se ve n’era bisogno - un tratto tipico della fase, ovvero è, a tutti gli effetti, un tour elettorale. La Von der Layen, che ha appena incassato il NO del governo tedesco alla sua candidatura come Segretario Generale della NATO ha già annunciato l’intenzione di ricandidarsi alla guida della UE, ammesso che i risultati elettorali glielo consentano.

Gli ucraini, che di questa manfrina sono parte e vittime allo stesso tempo, hanno solo incassato promesse per 50 miliardi di Euro a sostegno (che portano ad un totale ufficiale di 144 miliardi di Euro in questi due anni, dei quali finora allocati solo 77) ma, guardando bene, si scopre come sia vero il detto che dice che il diavolo si nasconde nei dettagli.

In primo luogo i 50 miliardi di Euro verranno erogati in 5 anni, dunque è evidente che non essendo in grado l’Ucraina di combattere nemmeno per altri 2, la stragrande maggioranza di essi costituiranno il pagamento del chip d’ingresso per Kiev nella UE. Sarebbe la prima volta che un singolo Paese fa pagare il suo ingresso agli stati membri e, nonostante l’eccezionalità del contesto ed il suo impegno relativo, non sarà così semplice trovare il consenso di tutti i 27.

Per quanto riguarda gli aiuti strettamente militari, oltre il retorico impegno di “stare con l’Ucraina il tempo che sarà necessario”(ovvero continuate a morire perché mantenere la pressione sulla Russia è la nostra unica linea) la UE non farà altro che fornire di Leopard tedeschi le sue truppe rimaste sul terreno di battaglia. La Germania, a fronte della donazione, riceverà i contratti di acquisto per nuovi Leopard da parte dell’Italia, che la presidente del consiglio fascista si è impegnata ad acquistare con 8 miliardi di Euro. La Germania diventa così non solo il principale fornitore europeo di armi a Israele, ma anche all’Ucraina.

Alle parole vaghe circa l’ingresso di Kiev nella UE, ha fatto seguito, più concretamente, la proroga di un anno delle condizioni di speciale favore per l’importazione di grano ucraino in Europa. La cosa non piacerà agli agricoltori europei, polacchi in primo luogo, per i quali l’accesso a condizioni privilegiate del grano ucraino significa una minor vendita di quello loro. Dunque, sebbene la UE abbia necessità di riporre il grano russo non più acquistabile causa embargo, l’idea di abbassare le quote degli agricoltori europei a vantaggio degli ucraini non sarà facile da spiegare in campagna elettorale. Del resto la stanchezza diffusa nell’opinione pubblica statunitense e soprattutto in quella europea circa il sostegno ad una guerra che non si può vincere ma che invece vede diversi modi di perdere, impedisce ottimismi e retorica bellicista.

Il 14esimo pacchetto di sanzioni contro Mosca genera ilarità, data la facilità con cui le si aggira e a maggior ragione dopo che il Fondo Monetario Internazionale ha confermato i dati della crescita europea, ferma su una media dello 0,5 allo 0,9, a fronte di quella russa, che nel 2023 ha visto crescere il suo PIL del 3% e per il 2024 si prevede una crescita tra il 2,4 e il 2,6. Idem la Borsa: quella russa è cresciuta del 27% rispetto a due anni fa e il Rublo è quotato ai livelli del 2021. Particolarmente ardite appaiono le minacciate sanzioni USA contro le banche che transano scambi destinati alla Russia, dato che la situazione per le banche occidentali è di crisi evidente a fronte di quelle russe che, invece, crescono e prosperano: nel 2023 hanno realizzato profitti pari a 37 miliardi di Dollari, 16 in più del 2022.

L’occasione del tour elettorale del G7 è tornata comunque utile per cominciare a spacciare un “piano B” che consenta una ritirata occidentale che non sembri una disfatta. Nella lettura dei diversi interventi si è colto il parziale, graduale e prudente cambio di toni circa la vittoria militare di Kiev e, a parte alcune fesserie della von der Layen, la questione della soluzione politica per la chiusura del conflitto ha cominciato a venir fuori. D’altra parte l’evidenza militare della vittoria russa rende complicato sostenere l’impossibile anche per dei maestri di ipocrisia abituati alla disinformazione e i toni guerrieri di due anni orsono giacciono tra il terreno ucraino e le urne europee.

Dopo l’incontro Zelensky ha ribadito di non voler trattare con Putin, come gli è stato ordinato, ma sul campo di battaglia le cose vanno diversamente che di fronte ai microfoni di un giornalismo inginocchiato. La conquista recente di Avdeevka, che si è conclusa con un bagno di sangue dei soldati di Kiev (secondo fonti russe almeno 10.000 morti) e che ha messo in scena l’ennesima fuga disordinata della Terza Brigata (ovvero i nazisti di Azov), oltre all’occupazione del luogo dal quale l’artiglieria ucraina sparava su Donetzk, apre ad una ulteriore espansione di Mosca nel territorio ucraino.

Il racconto dei mezzi e delle munizioni mancanti è stato riesumato non senza un qualche imbarazzo, dato che è sempre quello già abusato in questi due anni e regolarmente dimostratosi una tesi propagandistica, non militare. In primo luogo perché, con determinante continuità, ogni dispositivo occidentale moderno consegnato agli ucraini è finito in mano russa, da ultimo proprio ad Avedeevka; in secondo luogo perché ciò che impedisce all’Ucraina di poter anche solo immaginare una controffensiva è che il suo esercito è stato decimato dai russi e al momento le sue fughe precipitose superano di lungo gli eroismi dei quali raccontano.

Ancor più privo di senso, al punto da rasentare un gesto di involontaria autoironia della UE, arriva l’ennesimo pacchetto di sanzioni contro Mosca, stavolta accusata della morte di Alexy Navalny. Non vi sono prove della responsabilità diretta del Cremlino ma, in assenza delle stesse, si è optato per addossargliene comunque la responsabilità politica, sebbene proprio dal punto di vista politico Putin sia l’unico a non trarre dividendi dalla morte del nazista convertito in dissidente. Ma la verità dei fatti, come la logica, non hanno spazio nella guerra dell’Occidente disperato contro la Russia, e la morte di Navalny, oltre a presentare bizzarrie e coincidenze (come quella per cui era in un durissimo regime speciale ma comunicava per telefono e via Internet al mondo intero), o la contemporanea presenza alla Conferenza di Monaco) è utilizzata per rilanciare il sostegno all’Ucraina proprio mentre il Congresso USA minaccia seriamente di ritirarlo.

Al tentativo di sostenere Biden nello scontro con il Congresso sull’Ucraina si deve la ossessiva, debordante e financo controproducente campagna antirussa di questi ultimi 15 giorni, articolata in diversi procurati allarmi. La Russia intende ottenere la superiorità militare nello spazio; Mosca ha dato l’ok al debutto del suo nuovo caccia bombardiere strategico TU-160M con capacità nucleare; il Cremlino ha dato ordine di uccidere Navalny. Una serie di fesserie trasformate in allarme dal mainstream mediatico internazionale che corrisponde al dominio tanto dei grandi network televisivi occidentali come di quello digitale, completamente nelle mani dei giganti della Rete che sostengono sfacciatamente la Casa Bianca. Lo scopo è aiutare Biden e i suoi tentativi disperati di mantenere aperto lo scontro militare con la Russia, considerata in chiave strategica e militare ancor più pericolosa della Cina e dell’intero Sud globale per il dominio assoluto planetario dell’Occidente a guida anglosassone.

Tanto a Washington come a Bruxelles si ritiene infatti la Russia capace di esercitare non solo una leadership politica riconosciuta presso i paesi di religione ortodossa in Eurasia, come in diversi teatri dell’Asia Minore, in Africa e in parte dell’America latina, ma soprattutto preoccupa che sia dotata di un livello di armamento in grado di sostenere e vincere il confronto con la Nato, che ha peraltro già sconfitto in Siria prima e in Ucraina ora. A confermare questo aspetto, lo scorso 23 Febbraio, Putin, oltre all’annuncio della produzione in serie del TU-M160 e dei missili ipersonici Tsirkòn, ha garantito ulteriori sforzi russi nella modernizzazione del dispositivo militare generale e nucleare, affermando che l’equipaggiamento moderno delle forze armate russe viaggia intorno al 95% del totale delle forze nucleari strategiche e che, sul piano navale, è vicino al 100%.

Proprio in forza di questa superiorità militare, il leader del Cremlino, nella recente intervista con Tucker, che ha fatto letteralmente impazzire di rabbia Hillary Clinton - una delle peggiori vestali della guerra come strumento della politica estera nell’establishment USA - si è detto disponibile a dare inizio a colloqui di pace per l’Ucraina. Con condizioni precise e con il rispetto di quanto indica la situazione militare sul campo e con la partecipazione di chi muove i fili e non solo delle marionette. Insomma, colloqui diretti con Washington ai quali, tutt’al più, Zelensky porterà la penna con la quale firmare la resa.

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