di Elena Ferrara

Dopo le borse griffate in casa, dopo i tanti ninnoli e i componenti elettronici, dopo le copie di oggetti tipici della produzione occidentale più raffinata eccoli i cinesi all’assalto del mercato mondiale delle auto. Hanno studiato a lungo i modelli delle grandi aziende, si sono dotati di catene di montaggio prima sovietich e poi occidentali, hanno mandato i loro agenti in giro a vedere, studiare, fotografare. Ed anche a copiare. Ed ora sono pronti all’attacco: si annuncia una valanga che potrebbe scatenarsi tra alcuni anni con auto tutte cinesi che dovrebbero costare all’incirca il 30 per cento in meno di quelle occidentali. Il modello che dovrebbe segnare l’ingresso ufficiale nei mercati mondiali è quello denominato “Happy Emissary”. Le prime auto di questa serie escono già da una fabbrica statale situata nella provincia cinese dello Yunnan nei pressi del Tibet (al confine con Vietnam, Laos e Birmania) che nel passato era stata utilizzata e ristrutturata dalla giapponse Daihatsu. La vettura ora in produzione ha un motore di 1100 c.c., un cambio a cinque marce, aria condizionata, airbag, fendinebbia, autoradio con lettore cd. A tutti gli effetti sembra una vera alternativa alle piccole utilitarie urbane. Dovrebbe arrivare in Europa tra poco e in Italia dovrebbe essere importata da una azienda di Isernia. E così mentre si attende questa nuova ondata di un “made in China” che non dovrebbe essere contraffatto, nel mondo degli appassionati di storia dell’automobile si ripercorrono le tappe delle quattroruote cinesi. Che sono state, all’inizio, tutte di derivazione sovietica ed americana e tutte destinate all’alta nomenklatura del Partito e del governo. Una linea speciale di auto di servizio. All’inizio c’era la limousine di Stato, prodotta a partire dal 1958, che si chiamava “Hongqi”. Era un modello interamente copiato dalla russa ZIL, con un motore V8 anteriore, 5700 cc, 220 cv, cambio automatico a due soli rapporti. L’interno era foderato con tessuti pregiati, velluti e porpore.

C’era poi la “Shanghai SH 760” che era, invece, la copia di auto americane con un motore a 6 cilindri in linea di 2200 cc., 90 cv, 130 km/h; il cambio era manuale a 4 marce, la trazione posteriore. E subito dopo dalle catene di montaggio cinesi cominciarono ad uscire quei fuoristrada che i sovietici avevano progettato per il loro esercito: le UAZ. Furono chiamate “Beijng”. Avevano un motore 4 cilindri a benzina di 2500cc, aste e bilancieri, 71 cv di potenza. Inizialmente riservate all'esercito furono messe in vendita (ad aziende statali e ad industrie collegate all’agricoltura) a partire dai primi anni '90. Poi si aggiunsero modelli ispirati a fuoristrada giapponesi mentre alcune “Beijng” venivano importate anche negli Usa con il marchio “Fuqi”.

E’ cominciata poi la corsa alle copie di modelli occientali. A volte grazie ad una precisa forma di cooperazione, a volte realizzando alcune modifiche alla carrozzeria per sfuggire all’accusa di copiare anche le auto. In alcuni casi, comunque, vecchi moelli europei vengono rilanciati in Cina. E’ il caso della vecchia Citroen ZX che si chiama ora “Fukang” o della “Audi 100” che esce in copia, ma si chiama “CA 7200”. Alla riproduzione in serie non è sfuggita la Wolkswagen “Passat” che esce in Cina e raggiunge anche i mercati dell’Asia. Ma ora ci sono anche modelli progettati direttamente nelle aziende cinesi. E’ il caso della “Beijing Heroic", basata sulla meccanica della Jeep "Cherokee" (modello che già viene prodotto su licenza dalla Beijing stessa). La "Heroic", presentata nel 2000, è comunque una delle poche vetture disegnate autonomamente, nonostante la meccanica sia di origine statunitense. E infine arriva sul mercato mondiale la nuova “Faw Vita” frutto della collaborazione con i giapponesi. Il prezzo attuale è di 13mila dollari.

A Pechino, intanto, c’è una grande attenzione anche nei confronti del mercato interno. Con la “Kia” che si appresta ad introdurre sul mercato cinque nuovi modelli per consolidarsi nel Paese. "L'attacco" scatterà con due versioni della sport utility "Sorento" e con la quarta generazione della "Optima". Successivamente sarà la volta di una vettura per il momento conosciuta con il nome in codice "AM", una variante a passo lungo della monovolume "VQ" . Attualmente, le Kia che vanno per la maggiore in Cina sono la "Cerato" e la "Rio". La Casa è attiva nel Paese in joint-venture con Dongfeng Motor e Jiangsu Yueda e prevede di realizzare un secondo stabilimento, che sarà inaugurato nel 2008, con una capacità di circa 300 mila veicoli all'anno.

Per la Cina di Hu Jintao, quindi, il mercato automobilitico è destinato ad assumere un ruolo primario. E non è un caso se nella recente riunione di Biskek, dove i paesi dell’Eurasia si sono riuniti per un vertice della Shangai Cooperation Organization, proprio il leader cinese ha parlato, nei suoi colloqui con gli esponenti di vari paesi della possibile esportazione di auto prodotte dal suo paese. In pratica il presidente cinese si è trasformato, almeno per un momento, in propagandista della produzione cinese. Che questa volta non è quella delle borse o dell’oggettistica più strana.


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