di Fabrizio Casari

L’Unione Europea, come è noto, non brilla per autorità politica. Né in generale né, ancor meno, nei confronti degli Stati Uniti, verso i quali professa diversità di vedute - che spesso sono più che altro sfumature - e sostanziale abnegazione. Ora, se sulle grandi questioni di politica economica o di governance globale questo potrebbe risultare, per quanto deprecabile, legittimo, lo stesso non si può dire quando la relazione bilaterale ha per oggetto il rispetto dei diritti dei suoi cittadini. I casi sono molti, ma quello relativo alle norme che regolano l’accesso degli europei negli Usa è davvero paradigmatico. Succede infatti che l’Amministrazione Bush ha imposto alle compagnie aeree che volano negli Stati Uniti una procedura infamante e truffaldina. Le disposizioni impartite dagli Usa per il controllo dei dati personali dopo l’11 Settembre, lungi dall’essere misure realmente efficaci per la prevenzione di attentati, violano la privacy dei viaggiatori con finalità in parte diverse da quelle dichiarate. In particolare, per entrare negli Stati Uniti bisogna dotarsi di un passaporto elettronico, ma fin qui poco male. Sono le disposizioni successive ad inquietare e indignare. Le compagnie aeree, infatti, devono comunicare alle autorità statunitensi nomi e cognomi dei viaggiatori, numero delle carte di credito utilizzate per il pagamento dei biglietti, menù ordinato a bordo ed altre eventuali particolarità di comportamento evidenziatesi durante il viaggio. I dati verranno custoditi ed utilizzati dagli organismi federali statunitensi senza nessun tipo di comunicazione a chicchessia. Le norme sono in vigore da diverso tempo, ma Bruxelles nicchia. Ora, mentre le altre norme di sicurezza come quelle sui liquidi, (ridicole ed esclusivamente destinate ad incrementare gli acquisti nei duty-free), o altre su qualunque tipo di oggetto che potrebbe trasformarsi in arma letale (tipo pinzette o forbicine da unghie), denunciano solo l’idiozia che sembra prevalere negli enti di controllo che non fa ben sperare sulla effettiva capacità di garantire protezione ai suoi cittadini e alle sue strutture, nel caso delle norme imposte da Washington ci si trova invece di fronte a palesi e gravi violazioni della privacy e della libertà di ogni cittadino che dovesse, per lavoro, per turismo o per qualunque altro motivo, recarsi negli Stati Uniti o anche solo sorvolarne i cieli.

Il Presidente dell’Autorità garante per la privacy, professor Pizzetti, si dice “preoccupato” dall’introduzione di queste norme e dall’assenza di dibattito politico a livello europeo e sostiene che “è ormai chiaro che gli Usa stanno sviluppando una politica di sicurezza che si basa sul controllo delle libertà altrui”. “Credo – aggiunge Pizzetti – che fra le due sponde dell’Atlantico serva una politica chiara sul rispetto delle libertà personali e sul diritto alla privacy; non si può difendere la sicurezza dando colpi di accetta sui valori democratici”.

L’Unione Europea, secondo quanto anticipato dal vicepresidente della Commissione UE Frattini, si preparerebbe finalmente a varare delle norme di reciprocità. Il che, pur giusto e comunque in ritardo, ha però come effetto quello di moltiplicare ed estendere le violazioni, senza risolvere il problema. Bene quindi che Bruxelles reagisca, ma forse sarebbe stato opportuno muoversi prima rifiutando categoricamente le norme Usa, piuttosto che copiarle. Un eventuale diniego e il possibile veto statunitense all’atterraggio delle compagnie europee, avrebbe infatti prodotto, insieme alla risposta europea, un sano scontro interno negli Usa, che in nessun caso potrebbero permettersi d’impedire il passaggio di aerei civili da un continente all’altro e, meno che mai, di chiudere i loro cieli alle compagnie straniere, pena un impatto talmente negativo sul turismo che la già malata economia statunitense non potrebbe sopportare.

Che gli Usa abbiano in mente un pianeta di possibili nemici è noto, così come è noto che sono pronti ad ogni guerra per difendere i loro privilegi. Ma in questa vicenda forse è ora di chiamare le cose con il loro nome. E’ ormai evidente che non è la sicurezza l’unico obiettivo degli Usa. L’elemento più pernicioso (e infatti non confessato) delle disposizioni statunitensi, è rappresentato non tanto dalla raccolta quanto dall’utilizzo dei dati, cioè quello sul piano commerciale.

Prima con l’introduzione del sistema Swift, cioè il sistema in uso nelle transazioni bancarie che garantisce la rapidità e la sicurezza delle operazioni, ma consegna alle autorità statunitensi i dati bancari dei soggetti e delle imprese che quelle transazioni realizzano, ora con le norme per il sorvolo e l’accesso sul territorio statunitense, gli Stati Uniti, con la scusa della sicurezza e della War on Terror, si appropriano della più grande banca dati del mondo.

L’utilizzo di questa trasforma la popolazione dell’intero pianeta in schede dettagliate con dati sensibili ad uso esclusivo degli organismi di sicurezza americani, ma permette anche l’utilizzo degli stessi per fini commerciali. Disporre infatti di una simile banca dati, formata da informazioni relative al sistema bancario e alle abitudini dei consumatori, apre uno scenario di utilizzo a scopi finanziari e commerciali enormi, che pone gli Stati Uniti al primo posto al mondo. Del resto, nelle norme stabilite dagli Usa si prevede chiaramente che i dati acquisiti possano essere trasmessi a varie agenzie americane senza che siano rispettate le garanzie europee in tema di privacy.

E’ bene dunque che l’Unione Europea imponga uno stop – e comunque un livello di immediata reciprocità nelle procedure d'ingresso – a queste nuove furbate statunitensi. Che nascono forse per opporsi al terrorismo ma vengono ogni giorno aumentate per adeguarle alla competizione commerciale. Sono norme che servono a sancire il controllo assoluto degli Stati Uniti sul pianeta e che vengono adottate non per proteggerci, ma per spiarci. Perché l’obbiettivo finale non è difenderci, ma acquistarci.

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