di mazzetta

Abdullah Gul è il nuovo presidente della repubblica turca. La sua elezione è stata salutata con favore dall’Unione Europea e dagli Stati Uniti, ma rimane discussa in patria. Gul doveva diventare presidente già la primavera scorsa, ma l’insorgere dei nazionalisti contro un candidato troppo “islamico” per essere accettato dai nazionalisti dette vita prima ad una dura opposizione parlamentare e infine ad un pronunciamento bellicoso da parte della casta militare. Gul non incarna certo la figura del musulmano estremista e fanatico, è stato a lungo ministro degli esteri negli anni scorsi, durante i quali non ha minimamente creato motivi di attrito con i principali partner della Turchia e nemmeno con gli USA impegnati nella War on Terror. Stante la feroce opposizione dei militari, il premier Erdogan ha preferito andare alle elezioni e non percorrere fino in fondo la strada che avrebbe portato ad eleggere Gul in primavera con la maggioranza semplice alla terza votazione. Elezioni nelle quali il suo partito, l’AKP, ha raccolto il 47% dei consensi e si è riconfermato maggioranza di governo. A questo punto, esperite le votazioni a maggioranza qualificata dei due terzi, Gul è stato eletto a maggioranza semplice, ma con il conforto di un voto elettorale incentrato proprio sulla decisione di farlo salire alla massima carica dello Stato. I partiti nazionalisti e i militari, a lungo complici nell’inquinamento mafioso dello stato come in una serie di efferate violenze contro separatisti e altri elementi sgraditi quali scrittori e giornalisti, non hanno gradito e non hanno assistito alla cerimonia d’insediamento di Gul. I militari, per mano del loro leader, il generale Buyukanit, hanno scritto sul loro sito: “ La nostra nazione ha osservato il comportamento di quei separatisti che non possono abbracciare la natura unitaria della Turchia e di quei centri del male che sistematicamente cercano di corrodere la natura secolare della Repubblica Turca”. Ove la “nostra nazione” sono i militari stessi, i separatisti sono i curdi e i “centri del male” sono le formazioni politiche di ispirazione islamica, quindi principalmente l’AKP. Quel “hanno osservato” è tipico di altri pronunciamenti dei militari, sempre velatamente minacciosi in perfetto stile mafioso.

Il generale Buyukanit, che comanda l’esercito più numeroso della NATO è chiaramente un frutto avvelenato della guerra fredda e della lotta di repressione contro i curdi, una persona decisamente poco presentabile nell’Europa del ventunesimo secolo. Poco tempo fa, quando ancora era il numero due dell’esercito turco, finì sotto inchiesta come capo di una Gladio turca. Era successo che membri dell’esercito e dei servizi erano stati colti sul fatto a compiere sanguinosi attentati da attribuire ai curdi, un classico della contro-insorgenza atlantica. Un procuratore, dopo aver indagato, ha raccolto le prove che portavano fino al suo ufficio, come mandante di stragi, omicidi ed attentati.

I militari fecero allora la voce grossa e Erdogan evitò di infierire, così a finire nei guai non furono gli attentatori e nemmeno il generale destinato poi alla promozione, ma il procuratore che aveva indagato troppo. Anche nei più recenti casi di omicidi politici a sfondo nazionalista, da quello di padre Santoro fino a quello di Hrant Dink è risultata evidente la connivenza di apparati dello stato, pronti in ogni caso ad accusare i curdi o gli islamici per i crimini commessi da sgherri della destra nazionalista sotto l’occhio degli apparati di sicurezza che hanno lasciato fare.

Per questo è facile capire come l’Europa sia decisamente più incline a sostenere il tandem Erdogan-Gul che a prestare orecchio agli allarmi lanciati dai militari. La Turchia non rischia di divenire un califfato, il problema più urgente della Turchia è liberarsi dalla “tutela” dei militari che, unico caso in Europa, detengono il diritto di veto sulle decisioni dei parlamentari eletti e che periodicamente ingeriscono brutalmente nei processi democratici. Una forza che non è solo istituzionale e militare, ma che può contare su una serie di iniziative economiche sviluppate su binari preferenziali veramente imponenti.

Per i turchi, al contrario di quanto si potrebbe pensare dopo aver visto le manifestazioni per una Turchia laica indette da militari e nazionalisti (e trasmesse in abbondanza e con grande risonanza dai media arruolati nella War on Terror, a dimostrare l’esistenza del pericolo “islamico”), l’elezione di Gul non è un problema, ben il 70% dei turchi ritiene che il fatto che la signora Gul indossi abitualmente il velo (quello che copre solo il capo e il collo), non sia un problema e ha fiducia nel fatto che il nuovo presidente sarà veramente “di tutti” come ha dichiarato non appena eletto.

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