di Elena Ferrara

Si apre nell’etere una nuova pagina di guerra fredda - asiatica - con gli indipendentisti di Taiwan che vogliono far sentire la loro voce ai comunisti di Pechino e agli ascoltatori di mezzo mondo. Il programma d’attacco - dopo anni di supremazia incontrastata inglese ed americana - prevede la realizzazione di un canale internazionale tv capace di raggiungere l’intero paese (36.202 chilometri quadrati con una popolazione di 22 milioni di abitanti) per inserisi poi nella rete dei grandi network. La partenza è prevista entro un anno con un palinsesto di sei ore di notiziari ogni giorno, in inglese e cinese. L’intera operazione - come ha reso noto il ministro dell’Informazione Shieh Jhy-wey - è già stata vagliata dal governo anche nei dettagli finanziari: costerà 61 milioni di dollari. L’obiettivo, ovviamente, è estremamente ambizioso perchè fino ad oggi Taiwan dispone di un solo programma tv, via cavo, che trasmette in inglese solo di notte. Ora uscendo dai confini dell’isola la nuova emittente punterà a far conoscere e difendere i suoi punti di vista sulle maggiori questioni nazionali e mondiali. Raggiungerà, pertanto, anche i cinesi del continente. E così Pechino si troverà a fare i conti con una voce alternativa da non sottovalutare. Tenendo conto che la nuova formazione politica - che dirige oggi Taiwan - è riuscita a far superare all’intera popolazione quella fase di stallo in cui era venuta a trovarsi in seguito al dominio del vecchio “Partito nazionalista”. E’ infatti dalle presidenziali del 18 marzo 2000 che l’isola - con il suo presidente Chen Shui-bian - cerca di fare ordine nel campo dei rapporti con la direzione pechinese dimostrando, in primo luogo, di non voler accentuare i contrasti tradizionali tra una Taiwan “occidentale” e un Cina popolare legata alle tradizioni comuniste di Mao. Il presidente attuale sa bene di trovarsi a gestire una situazione difficile, con una popolazione che si sente lontana dalle idee di Pechino, ma che pur sempre manifesta il suo attaccamento alle posizioni nazionali.

In tale contesto Chen Shui -bian è obbligato a muoversi senza creare situazioni di scontro. Ma nello stesso tempo deve tenere alto il prestigio di Taiwan ricorrendo, ora, ad una campagna di restyling. L’obiettivo è quello, quindi, di far sentire la sua voce anche a chi non parla cinese. Ma Pechino resta la prima tappa di questa operazione di livello intenazionale.

Il presidente, va ricordato, ha già compiuto una prima mossa di grande valore quando, cogliendo l’occasione della vittoria elettorale, decise di stabilire con l’altra Cina rapporti normali. E uno dei primi atti fu quello di invitare il primo ministro cinese Zhu Rongji a Taiwan. Chen ha poi dichiarato che un “dialogo costruttivo” con la Cina è indispensabile per preservare la stabilità, ed ha auspicato che vengano stabilite comunicazioni dirette con Pechino e che siano aumentati gli investimenti taiwanesi nella Cina continentale.

Analogo il senso della sua dichiarazione secondo cui “non soltanto i taiwanesi, ma tutti i cinesi dovrebbero sentirsi orgogliosi per i suoi risultati elettorali”. Chen vede, infatti, nel progresso democratico ed economico di Taiwan un progresso per la Cina nel suo complesso e, sembra di capire, anche un modello per l’eventuale futura riunificazione fra le due nazioni.

Tutto questo lo espone notevolmente a critiche da parte dell’ala dura dell’opinione pubblica locale. Ma nello stesso tempo il personaggio si muove con estrema chiarezza. E’ un politico nuovo e giovane ed ha alle spalle una buona gestione della capitale della quale è stato sindaco. Sa che sul suo dialogo con gli uomini che si trovano oltre la grande muraglia non grava la zavorra del passato. E così quando tratt? con Pechino sulla nuova forma da imprimere ai rapporti fra le due Cine, non è costretto a guardarsi le spalle. Nè dovr? temere di essere accusato di svendere Taiwan se e quando valuterà le concessioni promesse da Pechino per creare nuove relazioni fra le due parti.

Chen Shui-bian ha molte credenziali che lo caratterizzano come leader al di sopra di ogni sospetto: in passato ha sostenuto l’indipendenza di Taiwan e non può essere sospettato di rinunciare, nel corso di nuovi negoziati, alle libert? politiche fondamentali dell’isola-nazione. C’è,quindi, in vista un nuovo dialogo tra le due Cine. Ma Pechino resta pur sempre sul chi vive. Le sue prime reazioni all’elezione di Chen sono state caute e misurate.

In un comunicato l’Ufficio di Pechino per i rapporti con Taiwan ha dichiarato di “ascoltare le parole e osservare le azioni” del presidente eletto di Taiwan, ma sempre nell’ “ansiosa attesa di vedere quale direzione egli imprimer? ai rapporti fra le due sponde dello stretto”. Nel comunicato si dice poi che “le elezioni per la leadership locale di Taiwan e i loro risultati non cambiano il fatto che Taiwan fa parte del territorio cinese”. E non si accenna all’invito fatto da Chen a Zhu Rongji, nè al desiderio, manifestato dal presidente eletto, di compiere “un viaggio di riconciliazione” nella Cina continentale.

E’ prevedibile che Pechino ponga innumerevoli condizioni per una visita “di riconciliazione” da parte di Chen, come anche per un’eventuale visita di Zhu a Taiwan. Ma in fin dei conti ciò è perfettamente in linea con la tradizione cinese, secondo cui un leader “di provincia” deve visitare la capitale della nazione, mentre a un leader nazionale spetta il compito di ispezionare la “provincia”. Dunque, un simile scambio di visite non sarebbe certo una violazione della dottrina sostenuta da Pechino, quella di una “Cina una e indivisibile”. Dal canto suo Chen, sollevando il problema, ha posto le premesse di quel negoziato costruttivo che entrambe le parti sostengono di volere. Le continue punzecchiature e polemiche di facciata non dovrebbero impedire la ripresa del dialogo fra Taiwan e la madrepatria.

Interessante, in tale contesto, l’apparizione nel canale tv di Taiwan di alcuni servizi che si riferiscono alla eventuale riunificazione e nei quali vengono ricordate le tappe della storia di una divisione che si è protratta per secoli. Si parla sempre più spesso di una apertura economica che dovrebbe comportare inevitabilmente anche un’apertura politica, certo graduale e controllata. Pechino dovrebbe, quindi, accettare Taiwan come un’entità politica indipendente, ma pur sempre cinese. Non sarà certo una questione di nome.

La nuova tv avanza già l’idea di un Commonwealth stile britannico, che potrebbe includere altre regioni e altri paesi dell’Asia che hanno sempre più stretti legami con le regioni del Xinjiang. La base dovrebbe essere quella di un’integrazione economica, non di un impero. Ma la Cina - quella “continentale” - continuerebbe ad essere il centro d’at¬trazione d’attrazione geopolitico.

Quanto all’iniziativa di dar vita ad una rete televisiva di Taiwan - che esca dall’isola raggiungendo vari paesi asiatici - Pechino per ora non reagisce. Sa bene che il mercato internazionale delle imitazioni relative alla famosa Cnn sono numerose. C’è Al Jazeera promossa dallo Stato del Qatar, ma ufficialmente indipendente, nata nel 1996 dallo smantellamento di un servizio in arabo della Bbc, con l’incontro tra la volont? dell’emiro del Qatar di esibire un fiore all’occhiello delle proprie velleità moderniste e le esigenze occupazionali di un bel pò di redattori rimasti a spasso.

E’ poi noto che dopo l’11 settembre 2001 la “Cnn araba”, come è stata chiamata, è diventata, forse suo malgrado, un simbolo di come si potesse creare una rete tv mondiale all’americana non americana, e anzi spesso pure antiamericana. Lo stesso governo americano ha cercato dunque di controbatterla con Al-Hurra, in un mondo arabo in cui fanno furore anche la tv degli Emirati Arabi Uniti Al-Arabiya, nata nel 2003, e quella di Hezbollah Al-Manar, che in effetti trasmetteva dal 1991, ma è diventata famosa negli ultimi anni. Dal 2005 è poi partita l’emittente di Chavez, Telesur, posseduta al 51 per cento dal governo venezuelano e per il resto da Argentina (20 per cento), Cuba (19 per cento) e Uruguay (10 per cento), cui si è poi aggiunto dal 2006 un 5 per cento di propriet? boliviana.

Pure nel 2005 ha iniziato le trasmissioni Russia Today, col proposito di far conoscere al mondo il punto di vista del Cremlino. Dal 2006 si sono aggiunte l’edizione in inglese di Al-Jazeera e la francese France 24, e per il 2007 oltre alla tv di Taiwan è annunciata anche la ripresa di un servizio tv in arabo della Bbc. Né bisogna dimenticare che la Cina Popolare ha a sua volta la Cctv: una sezione rivolta all’estero di un gigante statale di 16 canali e che opera in inglese, francese e spagnolo mettendo in campo un melting pot di etnie, nazionalità e religioni. Un mix di professionalità ed esperienza.

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