di Michele Paris

È atteso alla vigilia della prossima estate il primo pronunciamento della Corte Suprema statunitense da quasi 70 anni a questa parte sulla delicatissima questione del possesso per uso privato di armi da fuoco. A portare l’argomento all’attenzione dei 9 membri del tribunale costituzionale a stelle e strisce, e con ogni probabilità ad innestarlo nella prossima campagna elettorale per le presidenziali, è stata una sentenza della Corte d’Appello del District of Columbia che ha ritenuto una norma sul controllo delle armi in vigore da 31 anni contraria allo spirito del “Secondo Emendamento”, il quale stabilisce che “non deve essere violato il diritto dei cittadini di possedere e portare armi”, nell’ambito però di “una Milizia regolamentata, necessaria alla sicurezza di uno Stato libero”. In seguito all’appello di sei residenti di Washington, tra cui l’agente di sicurezza Dick Anthony Heller che intendeva portare nella propria casa a scopo autodifensivo l’arma che quotidianamente utilizza durante l’orario di lavoro, il tribunale preposto al secondo grado di giudizio ha visto nel famoso “Secondo Emendamento”, già oggetto di controversie in passato, un riferimento ad un diritto individuale, interpretazione che renderebbe automaticamente incostituzionale l’ordinanza del 1976 che nella capitale americana regolamenta il possesso di armi. Tale legge infatti, peraltro simile a molte altre che hanno lo stesso obiettivo in numerose metropoli USA, consente ai semplici cittadini il possesso di fucili a patto che essi siano disassemblati o tenuti sotto chiave nelle loro abitazioni. Le pistole invece sono del tutto illegali, tranne che per gli ufficiali di polizia. Guidati dal ricco avvocato Robert A. Levy, ideatore e finanziatore del procedimento volto a portare la questione di fronte alla Corte Suprema, i sei postulanti hanno incassato l’immediato sostegno anche della potente National Rifle Association (NRA). Il suo vice presidente, Wayne LaPierre, ha infatti subito dichiarato che l’eventuale riconoscimento di questo diritto individuale provocherebbe con ogni probabilità il ritiro di ordinanze simili anche in altre grandi città come Chicago e New York, dove la normativa in proposito è tra le più rigorose. Nella metropoli dell’Illinois è vietato il possesso di pistole acquistate dopo il 1983, mentre per i casi anteriori a quella data è necessaria una nuova registrazione dell’arma stessa. A New York invece è necessario uno speciale permesso rilasciato dal Dipartimento di Polizia per poterne possedere una. L’eventuale riconoscimento di incostituzionalità circa la legge in vigore nel District of Columbia non significherebbe peraltro l’automatica cancellazione di tutte le norme volte al controllo delle armi da fuoco tuttora in vigore in altre città del paese, come ad esempio quelle che vincolano il loro possesso ad un esame dei precedenti penali dei privati cittadini.

In un dibattito nel quale si intrecciano i temi, tradizionalmente cari all’opinione pubblica americana, delle libertà individuali garantite dalla Costituzione e gli interessi sostenuti dalle influenti lobby dei produttori di armi, stanno già intervenendo sui più autorevoli media d’oltreoceano voci importanti di politici e uomini di legge che auspicano o paventano il parere in un senso o nell’altro della Corte Suprema, tra i cui membri attuali prevalgono le posizioni conservatrici. Uno dei primi e più accesi sostenitori dell’interpretazione, per così dire, individuale del “Secondo Emendamento” è stato Laurence H. Silberman, giudice federale della Corte d’Appello del District of Columbia, nominato dal Presidente Reagan nel 1985 e da sempre molto vicino al Partito Repubblicano, secondo il quale non avrebbe senso intendere il “Secondo Emendamento” come rivolto alla protezione dei singoli stati e non degli individui. “Il Bill of Rights è pressoché interamente una dichiarazione di diritti individuali e l’inclusione in esso del ‘Secondo Emendamento’ indica chiaramente che il suo intento è quello di proteggere la libertà personale”, ha scritto Silberman in un documento ufficiale. Allo stesso tempo però ha aggiunto che restano possibili delle ragionevoli restrizioni, rivolte a chi ha precedenti penali, come avviene, ad esempio, per il “Primo Emendamento” che tutela la libertà di parola e di culto.

Sul versante opposto si è levata invece la voce del sindaco di Washington, il democratico Adrian M.Fenty, con i suoi 35 anni il più giovane eletto per un incarico di questo genere in una metropoli statunitense, il quale ha difeso la trentennale ordinanza in vigore nel territorio da lui amministrato. “La norma applicata nel District of Columbia ha contribuito a ridurre gli episodi di violenza legati alle armi da fuoco negli ultimi tre decenni”, ha sostenuto Fenty. “Molte vite sono state salvate e molte altre lo saranno ancora se essa resterà in vigore”.

Anche in seguito alla recente strage avvenuta nel campus dell’Università Virginia Tech per mano dello studente sudcoreano Seung-Hui Cho, si stanno moltiplicando però negli USA le richieste di quanti auspicherebbero una maggiore libertà nel possesso di un’arma da fuoco, da portare ed impiegare per autodifesa anche all’interno di edifici pubblici. A questo scopo è nata nella Texas State University di San Marcos l’organizzazione indipendente “Students for Concealed Carry on Campus” che raccoglie oltre 8.000 studenti universitari in tutto il paese e che, come suggerisce il nome, si batte per consentire a chi frequenta i college di tenere con sé armi da fuoco, purché non visibili. La maggior parte degli stati dell’Unione proibisce ai possessori di un’arma di portarla con sé nei campus, mentre in quelli dove è lasciata facoltà di scelta alle singole università, queste ultime optano quasi sempre per il divieto. Unica eccezione, almeno finora, lo Stato dello Utah che permette espressamente agli studenti di portare armi in maniera non visibile all’interno dei campus.

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