di Eugenio Roscini Vitali

Entro la fine dell’anno il British Council potrebbe essere costretto a chiudere le sedi russe di San Pietroburgo e Yekaterinburg, lasciando così aperta la sola agenzia di Mosca. L’ordine emanato dal Cremlino attacca le attività britanniche in Russia e mette in discussione la “ius gentium”, il diritto delle genti che regola la vita della comunità internazionale. Nel motivare la decisione, il ministro degli Esteri Serghei Lavrov ha accusato l’organizzazione culturale di operare illegalmente e non ha nascosto che l’azione intrapresa da Mosca è legata alla crisi diplomatica scoppiata dopo la morte dell’ex spia Alexander Litvinenko. Ma cosa c’è dietro al caso British Council: una ritorsione che colpisce uno dei maggiori istituti culturali del mondo e che offre lo spunto per valutare le reali condizioni dei diritti civili in cui si dovrebbe sviluppare la “prossima” democrazia russa. Anche se il portavoce del Cremlino, Dimitry Peskov, spiega che in Russia il numero delle sedi dell’associazione culturale non è “sfortunatamente” conforme alla legge, il governo è comunque certo che i britannici hanno boicottato il lavoro investigativo della polizia e hanno impedito l’arresto dei presunti responsabili dell’omicidio Litvinenko. I rapporti tra i due Paesi si erano inaspriti dopo che Londra aveva deciso di espellere quattro diplomatici russi; analogamente il Cremlino, che si era rifiutato di estradare Andrei Lugovoy, il principale sospettato per l'uccisione dell'ex colonnello del Kgb, aveva risposto con l’espulsione di quattro diplomatici britannici. In Russia la presenza del British Council è preservata dalla Convenzione di Vienna del 1963 - che regola le relazioni diplomatiche - e dagli accordi bilaterali del 1994. Anche se negli ultimi anni l’organizzazione britannica ha subito l’insistente attenzione delle autorità moscovite, per Londra il caso sarebbero l’ultima ritorsione del governo russo alle pressanti richieste inglesi di estradizione di Andrei Lugovoy; un modo per aprire un nuovo scontro sul fronte diplomatico, cercando di spostare l’attenzione dal caso Litvinenko. I dirigenti del Council, e lo stesso premier Gordon Brown, considerano la chiusura forzata degli uffici di San Pietroburgo e Yekaterinburg un’aperta violazione del diritto internazionale e hanno assicurato che le sedi rimarranno aperte anche dopo il 31 dicembre.

Secondo le stime britanniche sarebbero più di un milione i russi che nel 2006 hanno usufruito dei servizi offerti dal British Council, incluso l’insegnamento della lingua inglese e un approfondito programma d’informazioni sul Regno Unito. I responsabili dell’organizzazione, che per anglosassoni riveste il ruolo di ambasciatore all’estero della cultura britannica, sono certi che le attività svolte nelle 11 sedi regionali rientrino nel quadro degli accordi bilaterali tra i due Paesi. Nell’ottica di una strategia più globale è stato inoltre annunciato un piano di riorganizzazione ed ottimizzazione delle risorse che dovrebbe partire dal primo gennaio e che prevede il trasferimento del controllo di nove centri regionali sotto l’egida di associazioni locali come centri studi e università.

Fondato nel 1934 da Sir Reginald “Rex” Leeper, il British Council è un’organizzazione che si occupa di far conoscere la cultura britannica sostenendo l'arte, il teatro, la scienza e diffondendo l’insegnamento della lingua inglese. Sono passato 70 anni dal primo ufficio aperto nel 1938 al Cairo: oggi il British Council opera con 233 sedi in 107 nazioni e territori ed è vietato in soli due Paesi, Iran e Myanmar; impiega più di duemila professori di lingua inglese e ha un budget che sfiora i 500 milioni di sterline all’anno, 200 milioni delle quali vengono garantiti dal governo britannico mentre il resto proviene in gran parte dalle attività didattiche svolte dai suoi insegnati.

Negli ultimi anni l’organizzazione ha rafforzato la sua presenza in Medio Oriente e ha lanciato un programma di scambio interculturale che attraverso le scuole vuole avvicinare i ragazzi al Regno Unito e allo stesso tempo cerca di abbattere il muro di diffidenza che spesso divide il mondo arabo dall’occidente. In Russia la presenza è invece diminuita a partire dal 2004, con una riduzione di quattro sedi regionali messa in atto dopo i controlli finanziari e i raid della polizia. Una pressione che con gli anni è diventata sempre più forte fino a raggiungere i toni della scorsa estate, quando la televisione di Stato ha addirittura ventilato l’ipotesi che il Council non sarebbe altro che un’agenzia dello spionaggio britannico.

A Mosca sono molti ad essere convinti che il British Council sia un canale di collegamento tra i servizi segreti inglese e l’opposizione russa; lo confermano le dichiarazioni rilasciate dallo stesso Andrei Lugovoy, neo eletto alla Duma, e da Konstantin Goloskokov, leader del Nashi, il movimento giovanile fondato dal Cremlino e che conta più di 100 mila iscritti. Secondo la stampa britannica Goloskokov sarebbe così certo delle sue affermazioni che avrebbe addirittura ventilato un’azione di massa, se entro il primo gennaio non verranno rispettate le volontà delle autorità moscovite: “Noi pensiamo che il British Council, come ogni altra organizzazione straniera che opera nel nostro territorio, deve conformarsi alle leggi in vigore; in caso contrario dovremo spiegarlo in modo adeguato” ha detto Goloskokov.

L’affare British Council potrebbe coinvolgere alcuni personaggi che il Cremlino considera “scomodi”. Primo fra tutti è Andrei Sidelnikov, capo di un piccolo gruppo di opposizione che nei giorni scorsi, nonostante il divieto dei servizi di sicurezza, ha lasciato Mosca per cercare asilo in Inghilterra, dove gode dell’appoggio del miliardario russo Boris Berezovsky, già a Londra dal 2001. I due, indagati e scagionati dalla polizia inglese per la morte della giornalista Anna Politkovskaya e per quella dell’ex spia Litvinenko, si definiscono perseguitati politici e per questo hanno chiesto la protezione delle autorità britanniche. Secondo la stampa inglese Sidelnikov aveva frequenti contatti con Litvinenko e nel loro ultimo incontro l’ex spia gli avrebbe confessato che stava per ricevere le prove documentate del coinvolgimento dei servizi segreti russi nell’assassinio della giornalista Politkovskaya. Prove che scottano e che potrebbero già aver lasciato la Russia; un sospetto che si va ad aggiunge alle forti tensioni anglo-russe e che dal prossimo primo gennaio potrebbero assumere le sembianze di una vera crisi.

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