di Bianca Cerri

La baraonda giornalistica sulle primarie in Iowa rischia di far dimenticare che non saranno gli elettori ad esprimere le proprie preferenze ma i caucus, ovvero le assemblee popolari che decidono autonomamente quale candidato sostenere. Tanto per precisare: caucus non è una parolaccia, ma un termine pellirossa che indica appunto le assemblee distrettuali di partito. Secondo alcuni non rappresentano un sistema democratico mentre altri sostengono che abbiano una loro utilità, la diatriba è aperta. Una cosa è sicura: da più di 50 anni le primarie rivestono un’importanza vitale nelle campagne elettorali USA. Non a caso, i candidati si sono gettati sull’Iowa come un’orda di lupi famelici. Il repubblicano Huckabee e il democratico Barack Obama sperano forse più degli altri di ripetere l’exploit di Jimmy Carter, che nel 1976 spiccò proprio dall’Iowa il grande salto verso la presidenza. Nonostante i 14 gradi sottozero registrati durante la notte di Natale a Des Moines, i comizi e gli eventi pre-elettorali vanno avanti. Obama è rimasto nel suo quartier generale rinunciando persino a presenziare al funerale di uno dei suoi più cari amici pur di non lasciare l’Iowa e, a titolo cautelare, ha aumentato il numero di uomini della sua scorta. Il senatore dell’Illinois sa di essere tra i favoriti e non intende allentare la presa. Cinque giorni dopo, dovrà vedersela con l’elettorato del New Hampshire, altro stato dove nessuno vuole perdere. Quanto ad Hillary Clinton, le sue speranze di primeggiare strumentalizzando l’assassinio di Benazir Bhutto, sono andate perdute. John Edwars, che per scaraventare Clinton dal piedistallo non usa mezze misure, l’ha pubblicamente accusata di aver accettato milioni di dollari dai contractors, cosa per altro arcinota anche al pubblico.

Va detto che in uno Stato abitato da gente pratica ed operosa come l’Iowa, la voce querula di Clinton e gli slogans al limite della decenza (Turn up the heat, aumenta la temperatura ndr con lo stato sconvolto da tempeste di neve), sono sembrati quasi una parodia. I risultati sono stati disastrosi. L’ex-first lady, che si ostina a proporsi come una donna in carriera riuscendo solo ad apparire goffa ed antiquata, è finita in un vicolo cieco. Ma il vero problema di Clinton è che non tutti si fanno ingannare dal suo modo di dribblare le domande dirette. “Un bel regalo per tutti gli altri”, ha commentato un veterano delle campagne elettorali USA come Joe Trippi.

Trippi, che nonostante i vestiti da barbone, è una vera volpe della politica, è già saltato sul carro di John Edwards. In modo forse meno appariscente rispetto ad Obama, Edwards sta anche lui recuperando velocemente terreno. Battuto come vice-presidente di John Kerry nel 2004, è tornato alla ribalta molto più determinato di quattro anni fa. Tanto è vero che non ha esitato a denunciare la corruzione interna al Partito democratico pur sperando nella nomination.

La maggioranza democratica al Congresso, secondo Edwards, sarebbe stipendiata dalle case farmaceutiche e attualmente corrotta al punto di non-ritorno. La cosa, è bene dirlo, era nota da tempo, ma che a dirlo sia un aspirante alla presidenza del paese ha tutta l’aria di essere un atto di coraggio. A favore di Edwards ci sono anche l’opposizione alla continuità della missione militare in Iraq e le ammissioni sulle responsabilità americane nella distruzione di un paese da sempre considerato una delle culle della civiltà occidentale. E chissà che effetto avrà fatto agli iracheni sentirsi ripetere di aver distrutto la loro stessa società oltre ad essere costretti a fare da parafulmine per il bene degli americani.

Per quanto riguarda i repubblicani, Mike Huckabee sembra avere buone possibilità di primeggiare in Iowa. Il suo programma politico? Ricongiungere gli americani con Cristo. Se dipendesse da lui, Huckabee avrebbe già sostituito la scritta “inri” con i numeri 9 e 11. Peccato che negli anni in cui fu governatore dell’Arkansas si comportò più come un accalappiacani che come un cristiano, firmando un mandato di morte dopo l’altro. Oggi ha cambiato registro e accusa il suo successore di maltrattare i detenuti attualmente reclusi nelle carceri dell’Arkansas.

Tanto è vero che dopo aver visitato Guantanamo, Huckabee si è convinto che sarebbe opportuno trasferirli tutti laggiù, dove le condizioni sono “decisamente migliori”. Davanti ad una dichiarazione del genere, al povero cronista si pone un antico dilemma. Esiste veramente un modo per rendere presentabile la campagna elettorale negli Stati Uniti o conviene tirare a campare e fingere che sia solo una fiction come tante?

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