di Carlo Benedetti

MOSCA. Il clima che ti attende quando sbarchi all’aeroporto di Sceremetievo è quello tradizionale. Fa freddo. La neve si confonde con il grigio dei boschi. Le strade sono invase dalle auto e dai camion. I cartelloni pubblicitari sono quelli sgargianti di Mc Donalds, della Ford, dell’Ikea, della Lancome, di Armani e Versace... Non c’è aria di elezioni. Eppure le presidenziali sono alle porte, con Putin che lascia il palazzo avendo già affittato le stanze al suo amico Medvedev. I giochi, quindi, sono fatti, tanto che si parla di un ritorno al passato: quando il Pcus di Breznev celebrava in anticipo la giornata elettorale come una vittoria del Partito. E comunque sia questa Russia entra nel vivo di una nuova sceneggiata. Alle elezioni del 2 marzo si arriva con una lista che presenta quattro candidati. Uno reale, accreditato e sponsorizzato dal potere di Putin: Dmitrij Medvedev che è una sorta di intellettuale prestato alla nomenklatura, impegnato nel business con buoni trascorsi nell’amministrzione burocratica della presidenza: competente e pragmatico, ma rovinato da una ambizione sfrenata. Gli altri tre sono figure di contorno: il segretario del Partito Comunista Ghennadij Ziuganov, uscito dall’apparato del vecchio Pcus e impegnato a gestire un movimento che non ha ancora trovato la sua base ideologica perchè combattuto tra zoccoli duri e tentazioni socialdemocratiche; ci sono poi il segretario dei liberal-nazionalisti Vladimir Girinovskij - una mina vagante utilizzata dal Cremlino in chiave antisovietica, anticomunista e sciovinista - e Andrej Bogdanov, uno sconosciuto tirato fuori dal cilindro della nomenklatura del Cremlino.

Un altro personaggio - Michail Kasjanov, che poteva rappresentare una reale opposizione, alternativa al potere centrale - è stato fatto fuori dalla commissione centrale elettorale che ha trovato dati falsi nelle firme raccolte per la sua candidatura. Tanto che si può dire che il potere privandosi di una legittima opposizione, ha manifestato la sua debolezza.

E così il “Partito del potere” segna già il suo trionfo. Tutti i media seguono le direttive centrali e le varie emittenti televisive impongono servizi sui due del Cremlino: Putin occupa il piccolo schermo per due ore al giorno e Medvedev lo segue a ruota. I servizi sono dedicati alle loro riunioni e visite. Il Presidente spiega ai governatori cosa devono fare, convoca gli scienziati per spiegare come utilizzare la scienza, parla con i docenti delle università e fissa i programmi, va a trovare i contadini e visita stalle e fienili... Medvedev non è da meno: parla con le mungitrici avvolto nel camice bianco d‘ordinanza, segue le fasi di costruzione di incubatrici destinate ai nuovi piccoli russi... La campagna più che elettorale è promozionale. Perchè tutti sanno che ci sarà Medvedev al posto di Putin e che, quindi, è necessario vederlo da vicino. E il mezzo televisivo è quello più adatto. Elezioni fatte e vinte, quindi.

Ma i giochi del vertice hanno pur sempre bisogno di qualche correzione istituzionale. Si muove, pertanto, il vero centro della politica russa. Quello che si chiama “Gazprom” e che rappresenta il vertice reale della piramide russa, dal momento che è controllato dallo stesso presidente russo. E’ Putin, infatti, il responsabile di questa piovra economica, commerciale e politica che opera a livello mondiale.

Il “Gazprom” è il gigante del gas e del petrolio, domina banche e media, partiti e deputati, compagnie di assicurazione ed aziende nel settore delle costruzioni. I suoi giri d’affari hanno superato i 35 miliardi di dollari rappresentando circa il 93% della produzione. E dopo l'acquisizione della compagnia petrolifera “Sibneft” il “Gazprom”, con riserve di 119 miliardi di barili, si è collocato dopo l’Arabia Saudita e l’Iran. I dati più recenti lo indicano come principale fornitore di paesi come Bosnia, Estonia, Finlandia, Lettonia, Lituania, Moldavia, Slovacchia, Bulgaria, Ungheria, Polonia, Cechia, Turchia, Austria, Romania, Germania, Francia ed, infine, Italia.

Ecco, quindi, il “Gazprom” che scende nell’arena della politica nazionale e annuncia grossi cambiamenti dirigenziali, per favorire la sua ulteriore scalata al Cremlino. Sino ad oggi i tentacoli sono stati manovrati dal putiniano Medvedev. Il quale, apprestandosi al trasloco, deve pur mollare una parte di quegli incarichi che ha ora sulle spalle. Ed ecco che l’attuale primo ministro Viktor Zubkov (in carica da poco) si appresta a divenire il capo del “Gazprom”. E’, come sempre, quel gioco delle tre carte del quale Putin è un grande esperto. In sintesi: il presidente lascia la poltrona di Presidente; al suo posto arriva l’amico Medvedev che a sua volta lascia la presidenza del “Gazprom” all’attuale primo ministro...

Putin, intanto, non scioglie la riserva. Scoprirà le carte tra poco e si sa già che non effettuerà consultazioni. Il suo stile è quello segnato da determinazione e piglio decisionista e sempre sulla lunghezza d’onda della tradizione autoritaria russa e sovietica. Trattato con benevolenza da Schroeder e da varie cancellerie europee che fanno buon viso a cattivo gioco, mette in campo sistemi caratterizzati da un pugno di ferro contro gli oppositori. Posizioni dure che, praticamente, interrompono l’evoluzione di quel processo democratico nel quale molti speravano.

Intanto a Mosca si continua a guardare a quella società - cosiddetta civile - che si trova a vivere sotto le mura del Cremlino. E qui l’enorme massa di popolazione (che è pur sempre dominata dal partito filo-presidenziale) si trova a fare i conti anche con l’altra faccia del potere. Quella che si riferisce a quegli oligarchi che, dopo il crollo dell’Urss, hanno accumulato fortune colossali. Personaggi non proprio corretti che si chiamano Abramovic, Deripaska, Potanin, Prochorov, Mordasov, Alekperov, Fridman... Ci sono poi altri Paperoni di questa nuova Russia come Berezovskij e Gusinski che hanno scelto la fuga all’estero per non finire in Tribunale o in galera. Chodorkovskij, invece, è stato preso con le mani nel sacco e si trova detenuto, in patria.

Putin attende, quindi, la conclusione della sceneggiata elettorale. Ha già deciso cosa farà da grande, ma il suo è un segreto. Che odora di gas e petrolio.

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