di Carlo Benedetti

Il dado è tratto. Putin, violando lo status costituzionale di Presidente di tutti i russi, si affaccia alla tv a reti unificate (quelle governative del primo e secondo canale) e parla su tutto e di tutto prima di lasciare la guida del Cremlino al successore che ha già incoronato. Traccia un bilancio dei suoi 8 anni di direzione e detta la linea: ''La Nato si sta espandendo, non dobbiamo accettare la sfida''. Quindi - mostrando i muscoli - attacca gli sforzi "illegali e immorali" che le potenze straniere mettono in atto entrando nella politica interna e nelle elezioni di una Russia sovrana. Ed eccolo questo presidente uscente che nella sala del Cremlino convoca la stampa nazionale e internazionale (1300 giornalisti) e invita anche i diplomatici stranieri. E subito coglie l’occasione per dire a chiare lettere: “Medvedev è un mio caro amico, lo conosco da tempo, da oltre diciassette anni, lo stimo, è il mio candidato e se mi sarà data la possibilità sarò anche disposto, in futuro, a mettermi al suo fianco, come primo ministro”. E così la campagna elettorale - che non è mai stata aperta - si ritrova ad essere chiusa una volta per sempre con Putin che socchiude il suo mandato in attesa della cerimonia del 2 marzo, ma conservando in tasca le chiavi del Cremlino perchè si è già garantito il sostegno dei gradini inferiori nella scala del potere. Il suo discorso, comunque, - ravvivato dalle domande dei presenti - resta come una sorta di documento programmatico che giunge alla fine della sua era. Sono assenti le novità di politica interna e tutto è concentrato sulla volontà di costruire un’ideologia del consenso. Tornano alla ribalta le promesse su un mondo migliore che hanno già lastricato analoghi interventi dei leader dell’epoca sovietica. Nessun accenno alla costruzione di una società civile, nessun riferimento alle violazioni dei diritti umani o al rapporto sociale con il mondo occidentale. Respinge con forza le accuse sulla mancanza di democrazia in Russia e poi tutta la “scaletta” si concentra sulle questioni politico-militari. E la chiave di lettura è quella vincente: con un “antiamericanismo” di facciata che piace ai vetero-comunisti e che soddisfa i nazionalisti di ogni risma.

Putin tocca le corde del patriottismo russo: dice (giustamente) che la Russia non minaccia nessuno, mentre gli americani e la Nato (senza chiedere le dovute autorizzazioni ai paesi europei) annunciano presenze armate nel cuore dell’Europa. E così - dice sempre Putin - “noi non possiamo assistere impotenti”. Se qualcuno punta i missili sulla Russia, noi punteremo le nostre armi contro quei punti dove gli americani sistemano le loro basi”. Quindi: occhio per occhio, dente per dente. Con tutte le responsabilità per l’aggravamento della situazione politica e diplomatica internazionale che ricadono sull’Occidente. E’ l’Occidente - sostiene il presidente uscente - che spinge il mondo al riarmo. E, quindi i colpevoli vanno ricercati nella Nato e nell’Amministrazione americana di George W.Bush.

Il discorso tocca anche la vicina Ucraina e qui il monito di Mosca è pesante. Perché se Kiev accetterà di avere sul suo territorio armi della Nato i russi non resteranno a guardare... La risposta sarà immediata ed adeguata. La Nato - Putin lo ha già detto proprio nei giorni scorsi parlando alla sua nomenklatura - si sta espandendo: “Si avvicina ai nostri confini mentre noi abbiamo ritirato le nostre basi a Cuba e in Vietnam. E cosa abbiamo ricevuto? Nuove basi americane in Romania e Bulgaria. E una terza regione di difesa missilistica si annuncia in Polonia". Ma mentre Putin parla dalla tribuna del Cremlino c’è chi lo segue attentamente dalla sede della Nato. Perchè il portavoce dell’Alleanza James Appathurai risponde subito rilevando che "i soli paesi che possono decidere sull'allargamento della Nato sono i paesi membri dell'Alleanza, nessun altro". Un modo chiaro e diretto per dire che Mosca non ha voce in capitolo…

Ma il Cremlino, in questa battaglia a distanza con Washington, manda avanti il ministro degli Esteri Sergei Lavrov. Il quale affida (significativamente) le sue dichiarazioni ad un quotidiano di Varsavia - Gazeta Wyborcza. E’ Lavrov, quindi, a sostenere che il piano degli Usa di costruire un sistema di difesa missilistica globale è un vero esempio di “pensiero imperiale”. Una sorta di disegno globale che prevede l’accerchiamento della Russia. E secondo il vertice della diplomazia del Cremlino questo “scudo spaziale” che è in costruzione potrà raggiungere - tra breve - l’ Alaska, la California, l’Asia nordorientale.

“Se osserviamo una cartina è chiaro che tutti si concentrano attorno ai nostri confini” - nota ancora Lavrov - e molto probabilmente, nel prossimo futuro sentiremo parlare di centinaia e forse migliaia, di intercettori in varie regioni del pianeta, anche in Europa”. Per Lavrov il pericolo maggiore che riguarda Mosca consiste nella tendenza americana a costruire infrastrutture sempre più vicine ai confini russi. Questa, in sintesi, la situazione che vede il Cremlino impegnato nel raggiungere una sua nuova vittoria interna sul piano dell’attacco (per ora propagandistico...) alla Nato e agli Usa. Ed è più che chiaro - sulla base di queste posizioni - che il dopo-Putin è già cominciato e che le diplomazie mondiali sono avvertite.

Ma già nell’arena della Russia esplode - per il neo-presidente - un altro problema sempre relativo al rapporto con gli Usa. Perché il vice premier russo Sergei Ivanov - dopo che Putin dal Cremlino aveva annunciato nei giorni scorsi la ripresa della corsa al potenziamento degli arsenali - ha chiesto che il trattato Salt 1 per il controllo e la riduzione delle armi nucleari venga sostituito da uno più in linea con i tempi. "Per come la vedo io - ha detto Ivanov a Monaco ad una conferenza sulla sicurezza - questo è esattamente il settore delle relazioni internazionali in cui Russia e Stati Uniti non solo possono, ma hanno l'obbligo di mostrare un ruolo guida. Prima o poi dovremo cominciare a lavorare a livello multilaterale visto che nessuno di noi, ne sono certo, dubita dell'importanza di porre limiti alla proliferazione delle armi di sterminio".

Le linee di politica estera e militare restano comunque quelle segnate da Putin. E il successore, che è in sala d’attesa, ha già ben presente come si dovrà muovere. Intanto una cosa è certa. Putin non seguirà l’esempio di Gorbaciov che si ritrova a promuovere la Pizza Hut e le borse Vuitton. Lo “spot” autogestito che è andato in onda in diretta dal Cremlino annuncia che accanto alla sedia di Medvedev ci sarà la poltrona di Putin.

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