di Giuseppe Zaccagni

A Pristina il Pdk - il Partito democratico del primo ministro, il terrorista Hashim Thaci dell’Uck - prende il potere e dichiara il Kosovo terra sovrana, staccata dalla Serbia. Nasce nel cuore dell’Europa - nel clima di una retorica nazionalpopolare - uno stato fantoccio filiale dell’Albania, benedetto e sponsorizzato dall’America di Bush mentre varie diplomazie internazionali manifestano inquietudine per questa manovra che - usando ogni mezzo di ricatto e pressione - destabilizza la geopolitica mondiale. Pronta e decisa - come sempre - la reazione dei serbi che, praticamente, scendono sul piede di guerra, con dichiarazioni e forme dirette di protesta. Non si accetta il “distacco” dalla madre-patria e si ricorda al mondo che dal luglio 2006 il Kosovo è tenuto sotto occupazione delle truppe della Nato con una azione che, di fatto, è stata una vera guerra “contro” la Serbia con l’obiettivo di far cadere Milosevic e al fine di installare - politicamente e militarmente - l’Alleanza e gli americani nel territorio ex yugoslavo. Ed ecco che in queste ore il governo serbo approva l' “annullamento'' della dichiarazione unilaterale d'indipendenza preannunciata dalla provincia a maggioranza albanese. Considera illegale ogni azione che contribuirà a rompere l’equilibrio geo-politico del territorio. E questo atto, largamente preannunciato, è destinato a cancellare - dal punto di vista serbo - tutti gli effetti della secessione perché Belgrado non intende riconoscere lo “strappo” di Pristina. Intanto nel documento che i serbi presentano al mondo si sottolinea che ''la Serbia è uno Stato internazionalmente riconosciuto e membro fondatore dell'Onu'' e che si attiene al rispetto della ''Carta dell'Onu, la quale garantisce la sovranità e l'integrità territoriale degli Stati indipendenti entro i loro confini internazionalmente riconosciuti''. Si ricorda inoltre che la Costituzione serba definisce ''la provincia autonoma del Kosovo come parte integrante della Serbia'' dotata di ''uno status di vasta autonomia''. Pertanto - così insiste il governo di Belgrado - ''la proclamazione d'indipendenza del Kosovo e il riconoscimento da parte di qualsiasi Paese rappresentano una violazione grossolana del diritto internazionale, in particolare della Carta dell'Onu, dell'Atto finale di Helsinki e della risoluzione 1244 del Consiglio di Sicurezza''.

Belgrado, comunque, non accenna ad azioni di ritorsione. Ma si sa che le stazioni di polizia che si trovano ai confini con il Kosovo sono state allertate. Si temono scontri e manifestazioni di protesta. Ma c’è anche una seria preoccupazione per eventuali attentati ed azioni terroristiche. Ed è stato d’allerta anche per le truppe d’occupazione nello stesso Kosovo. Qui l’amministrazione militare dell’Onu (Unmik) che gestisce la provincia dalla guerra del 1999, e il comando del contingente a guida Nato della Kfor hanno già dato il via ad uno speciale piano denominato “Operazione Status” che vede coinvolta la Kfor al fianco della polizia kosovara fedele al nuovo potere del terrorista Thaci.

Situazione ad alto rischio, quindi, mentre in tutto il Kosovo si alzano le bandiere con l’aquila nera dell’Albania. C’è - a livello popolare - un clima di euforia e, allo stesso tempo, di rivincita contro quella Serbia che oggi viene considerata come nazione “canaglia” colpevole di tutti i misfatti commessi nelle terre del Kosovo albanese. Si dimenticano - con la copertura dell’occidente - i crimini dell’Uck.

Ora tutto è deciso mentre i diplomatici occidentali - che di fatto hanno già approvato la secessione - attendono solo “l’ora X” per avviare la fase di riconoscimento internazionale del nuovo stato. Sarà il parlamento di Pristina a far scattare l’attenzione di tutto il mondo con un annuncio solenne e congiunto delle maggiori autorità (il presidente Fatmir Sejdiu che nei giorni scorsi ha consegnato il “suo” Kosovo nelle mani del papa tedesco) e lo speaker dell'assemblea Jakup Krasniqi.

Il programma del D-Day prevede poi feste di piazza con le bandiere albanesi (rosse dominata da un’aquila nera) e quelle a stelle e strisce dei veri vincitori: gli americani. Ma nello stesso tempo si registreranno altre manifestazioni di segno opposto. Intanto c’è la posizione di Mosca che rende sempre più forti i serbi. Il Cremlino ha annunciato di considerare “nulla ed illegale” qualsiasi azione di Pristina. E non si sa ancora come si muoverà concretamente la diplomazia di Putin in una crisi che si presenta sempre più difficile e pericolosa.

Intanto in tutto il Kosovo e nelle zone di confine della Serbia gli osservatori internazionali notano cavalli di frisia e posti di controllo rafforzati. C’è un clima pesante. Con quello che resta della minoranza serba che si raduna a Mitrovica nord per ribadire la propria estraneità allo “strappo”. Ma nello stesso tempo si parla anche della eventuale nascita di uno “stato-fazzoletto”, come ultima trincea in un terra - culla della fede e della civilizzazione serba - già svenduta. Ed è qui, appunto, che i monasteri ortodossi, attaccati in questi anni dalla furia dei terroristi dell’Uck, si ergono come monumenti in rovina a testimonianza di una lontana civiltà.

E non è un caso se oggi c’è chi ricorda quel famoso discorso che Milosevic pronunciò a Gazimstan, nella piana kosovara del “Campo dei merli” il 28 giugno del 1989 in occasione del seicentesimo anniversario della omonina battaglia. In quella occasione venne sottolineato che la Serbia si era difesa eroicamente anche in nome dell’Europa. Ma lo “strappo” di queste ore cancella pagine di storia. E non si sa quali saranno le conseguenze.

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