di Agnese Licata

Una nuova costituzione entro l’anno. A un mese e mezzo dalle elezioni che hanno portato il Kenya allo scontro etnico, è questo il primo, limitato, risultato ottenuto dalla diplomazia internazionale. Dopo settimane di trattative – guidate con fatica dall’ex presidente Onu Kofi Annan (oggi tra i rappresentanti dell’Unione Africana) – l’annuncio di un accordo tra i due ex candidati alla presidenza, Mwai Kibaki e Raila Odinga, arriva in un momento in cui gli scontri tra kikuyo e luo non sembrano spegnersi. E arriva poco dopo le perentorie (nonché tardive) dichiarazioni di George W. Bush: “Deve esserci uno stop immediato alle violenze”, affiancate dalla decisione di far sedere anche il segretario di Stato Condoleezza Rice al tavolo delle trattative. Se l’iniziativa abbia contribuito a sbloccare i negoziati o sia stato semplicemente un modo per garantire agli Stati Uniti di rientrare in partita, garantendosi un futuro diritto d’ingerenza nel nuovo assetto del Kenya, non è dato saperlo. Che qualche “sospetto” sia lecito, è dimostrato dal ruolo a dir poco marginale che gli Usa hanno giocato nei momenti immediatamente successivi alle elezioni del 27 dicembre, quando centinaia, migliaia di kikuyo, venivano uccisi come vendetta per un voto che aveva dichiarato la riconferma del luo Kibaki. “Sospetti” che si fanno ancora più concreti se si considera che gli Stati Uniti sono il principale partner commerciale del Kenya, con oltre 900 milioni di dollari l’anno.

È probabile che Geroge W. Bush abbia sperato fino all’ultimo di salvare uno dei suoi alleati anti-terrorismo in giro per il mondo, Kibaki appunto. Durante la campagna elettorale per le presidenziali keniane, infatti, Bush non aveva fatto mistero di non avere molta simpatia per lo sfidante Odinga, “colpevole” di raccogliere anche i voti dei musulmani.

Continua a rimanere in silenzio, invece, la Cina, fedele a una politica di “non interferenza” che trova in Sudan e nel Darfur la sua massima applicazione. In ogni caso, la pressione internazionale su Kibaki è stata fin da subito forte: Unione africana, Unione europea, Nazioni unite e Gran Bretagna hanno spinto e stanno spingendo affinché si arrivi a un governo provvisorio di unità nazionale che porti il Paese a un nuovo assetto istituzionale (che affianchi alla figura del presidente anche quella di un presidente del consiglio) e a nuove elezioni.

La paura è di perdere l’ultimo Stato in grado di giocare un ruolo di stabilizzazione tra le nazioni della costa ovest. Un’area, questa, che da anni vede conflitti endemici. In Somalia, ad esempio, dove il governo provvisorio si è dimostrato incapace di garantire la popolazione dal doppio fronte dei signori della guerra e delle truppe islamiche. E poi il Sudan, con l’inarrestabile conflitto in Darfur. Mentre ad est, Uganda, Ruanda e Repubblica democratica del Congo rappresentano una delle zone africane storicamente più instabili.

La guerra civile che sta minacciando il Kenya e che finora, secondo la Croce Rossa, ha causato mille morti e circa seicentomila dispersi, è scoppiata all’indomani del voto, dopo le accuse di brogli dello sconfitto, Odinga. Del resto, erano gli stessi risultati elettorali ad essere dichiaratamente incoerenti. I 95 seggi su 210 assegnati al partito d’opposizione di Odinga – più del doppio rispetto a quelli del partito di Kibaki – sembrava essere la dura risposta dei keniani alla corruzione del governo di Kibaki.

Peccato però, che al conteggio dei voti per il rinnovo del presidente, sia stata dichiarata la vittoria di Kibaki. La classica ultima goccia che ha fatto traboccare il vaso di contrasti e odi tra i luo, seconda tribù del Kenya ma discriminati fin dall’assegnazione delle terre all’indomani dell’indipendenza dalla Gran Bretagna, e i kikuyo, tribù del presidente e detentrice del potere economico del paese.

Pin It

Altrenotizie.org - testata giornalistica registrata presso il Tribunale civile di Roma. Autorizzazione n.476 del 13/12/2006.
Direttore responsabile: Fabrizio Casari - f.casari@altrenotizie.org
Web Master Alessandro Iacuelli
Progetto e realizzazione testata Sergio Carravetta - chef@lagrille.net
Tutti gli articoli sono sotto licenza Creative Commons, pertanto posso essere riportati a condizione di citare l'autore e la fonte.
Privacy Policy | Cookie Policy