di Giuseppe Zaccagni

La grande fuga è già in atto. Dalla Cecenia - terra caucasica ancora sotto il dominio della Russia di Putin - se ne vanno intere famiglie. Tecnici ed insegnanti, addetti ai servizi, intellettuali e medici. I paesi di riferimento sono Polonia, Cechia, Slovacchia, Austria, Francia, Belgio, Germania, Svezia, Finlandia. Tutto avviene perchè nella regione - nonostante la propaganda del Cremlino - la situazione è certamente più difficile per chi è “ceceno” e prova, quindi, le umiliazioni che vengono dal vivere in un paese “occupato”. E così comincia l’esodo. A poco a poco, in silenzio e, soprattutto, in condizioni di assoluta clandestinità e sempre nelle mani di alcune “agenzie” che garantiscono viaggi verso l’occidente chiavi-in-mano. Forniscono prima una consulenza su paesi che vengono ritenuti facilmente raggiungibili. Poi provvedono alle operazioni relative ai visti di ingresso e, contemporaneamente, forniscono biografie e documenti che, presentati alle autorità dei paesi di arrivo, risulteranno utili per ottenere un lavoro o, comunque, lo status di rifugiati politici. Centro di questa attività è, in particolare, Mosca. La capitale russa è ora facilmente raggiungibile da Grozny e, per molti, l’appuntamento decisivo è nella cantina di un vecchio e cadente palazzo di periferia. Qui cominciano le pratiche. Le tariffe variano da 5000 a 8000 dollari per una famiglia con due piccoli. L’agenzia si occupa anche dei biglietti e garantisce una prima accoglienza nei paesi prescelti dal “cliente”. Il punto di transito - prima di arrivare all’Ovest - è quello della Bielorussia. Si dice, infatti, che qui le pratiche burocratiche vengano risolte con molta facilità e che non c’è limitazione per gli ingressi. Una volta in territorio bielorusso i ceceni scelgono il momento opportuno per la tappa successiva. La Polonia è tra le mete più ambite perché a Varsavia, a Cracovia e a Katowice esistono associazioni di ceceni che si impegnano ad aiutare i nuovi arrivati che sarebbero già oltre diecimila. Nello stesso tempo, però, i ceceni non vogliono restare in Polonia, perché si sentono troppo vicini alla Russia e, quindi, non abbastanza sicuri.

Il timore è di incappare in agenti russi, infiltrati, che potrebbero dare il via a ricatti sui parenti restati in Cecenia. C’è anche dell’altro perché in Polonia le speranze di ottenere lo status di rifugiato sono pur esigue: solo l'8% di successi contro il 20% in Francia. E, nell'attesa di sapere se dovranno essere rispediti nei paesi dell’Est di provenienza - o potranno chiedere l'asilo - i rifugiati non ricevono sussidi. E non possono lavorare regolarmente. Possono contare solo sull’aiuto della comunità cecena locale. Ecco perché per molti il “salto” porta in altre regioni dell’Europa. Si punta alla Cechia e alla Slovacchia, ma poi si arriva a Parigi, a Vienna, a Berlino e il numero di ceceni, in questi paesi, è già di oltre 35mila.

Si profila, quindi, un nuovo problema per l’intera Europa. E si sarà sempre più costretti a prendere atto della realtà cecena e delle conseguenze che verranno in seguito alle violazioni dei diritti umani nel Caucaso russo. L’allarme viene lanciato da Svetlana Gannushkina, presidente del comitato assistenza ai cittadini, che ha come scopo quello di difendere le persone che subiscono "soprusi" dalle milizie di Mosca in terra cecena: "Nel nostro paese - dice - le forze dell'ordine sono conosciute soprattutto per la loro brutalità”. Alle voci che vengono dalla Russia si aggiungono quelle che si registrano in Francia dove esistono già associazioni in appoggio ai rifugiti ceceni. A Parigi è attivo un centro sociale - non lontano dalla Place de la Nation - che ospita il “Comitato Cecenia” fondato nel 1994. L’obiettivo di tale organizzazione consiste nel “sensibilizzare l'opinione pubblica e le autorità sulla guerra in Cecenia, soprattutto sulla crudele asimmetria che vede contrapposti l'esercito russo alla popolazione civile”.

I problemi, comunque, sono più che mai numerosi. I rifugiati ceceni sono sotto controllo e il Comitato rischia di perdere parte della sua autorità: registra una atmosfera di pessimismo. Intanto il Comitato continua a ribadire che il processo di indipendenza da Mosca resta l’obiettivo da raggiungere, ma che i negoziati sembrano per il momento impossibili con Putin al potere e con un'opposizione russa sempre più debole. Le critiche dei ceceni riguardano anche l'Europa colpevole di “un atteggiamento ipocrita, riconoscendo ai ceceni lo status di rifugiati, senza, però, tentare di trovare una soluzione politica del conflitto attraverso pressioni diplomatiche più efficaci sulla Russia”.

Alle notizie e alle polemiche che agitano la diaspora cecena in Europa fanno seguito i nuovi fatti che si registrano nel Caucaso. Qui continua lo stillicidio di attentati e di repressioni. Nelle settimane scorse un poliziotto è stato ucciso in Cecenia, colpito a morte durante scontri tra le forze di sicurezza di Grozny e gruppi guerriglieri ancora presenti nelle zone montagnose della repubblica. Alcuni giornalisti, invece, sono stati aggrediti e feriti dalla polizia in Inguscezia, durante una manifestazione indetta per protestare contro Murat Ziazikov, il generale dei servizi segreti federali (Fsb) che dal 2002 governa brutalmente questa repubblica caucasica.

C’è, quindi, una guerra sotterranea che Mosca non riesce a controllare. Non ci sono, attualmente, clamorose operazioni di guerra. Ma sotto la cenere cova il fuoco della rivolta. E questa volta è tutto il Caucaso a rischio perchè la protesta contro Mosca assume sempre più una forte connotazione islamica. Le rivolte locali raggiungono paesi come l’Inguscezia, il Daghestan e la regione Kabardino-Balkaria. In queste repubbliche da circa due anni le azioni di violenza sono in crescita e, a differenza di quanto avveniva in precedenza, la guerriglia non è composta solo da ceceni, ma da tutte le etnie nordcaucasiche.
Il fronte delle azioni separatiste ha già raggiunto cittadine come Nazran e Naltschik. E Mosca, di conseguenza, teme che si crei ancora una volta quel “Fronte del Caucaso del nord” che era stato fondato nel 2005 dal guerrigliero Basajev.

E’ in conseguenza di questo nuovo stato d’allarme che Putin ha dato il via alla formazione di nuove unità da combattimento specializzate nella guerriglia in montagna. Ed è stato lui che - nel quadro della attuale campagna elettorale - si è recato sul posto delle operazioni facendosi riprendere insieme alle truppe impegnate in esercitazioni a fuoco. Da tutta questa rinnovata “attenzione” risulta chiaro che i caucasici - ceceni, in particolare - vengono considerati alla stregua di terroristi. Ed è quindi giustificato - nella logica del Cremlino - qualsiasi intervento che tenda a combatterli e ad eliminarli.

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