di Bianca Cerri

Baby Girl Voigt era una bambina americana nata morta nel 1969 a causa delle percosse inflitte dal padre alla madre durante la gravidanza. L’uomo fu processato e condannato per i danni arrecati alla moglie ma non per la morte della bambina. I giudici dell’epoca sostennero che a livello giuridico un feto non può essere considerato una persona a tutti gli effetti. Nel 1978, la Commissione Americana per i Diritti Umani ha ritenuto invece eticamente corretto tirare in ballo la sacralità della vita ponendo sullo stesso piano delle creature viventi gli esseri ancora in embrione. Si trattò però più che altro di un’indicazione morale, senza alcun elemento giuridicamente vincolante. Nel 2004, George Bush ha invece firmato una legge, nota come Unborn Victims of Violence Act (Legge a favore delle vittime della violenza prima della nascita ndr) per mettere definitivamente fine alla discriminazione nei confronti del feto. Detto altrimenti: tra vita pre e post natale non esistono più limiti temporali e chiunque compia un’azione risultante nella perdita di un feto viene automaticamente accusato di omicidio volontario. Oggi la legge è in vigore in 35 stati americani e 10 di questi l’hanno già inasprita più volte. Per gli antiaboristi, che avevano fatto fuoco e fiamme per ottenere la tutela de jure del feto nella speranza di farne un preludio all’abolizione dell’aborto, è stata una grande vittoria. Unico cruccio: in qualche stato l’accusa di omicidio scatta solo se la gravidanza ha già superato la 24° settimana.

Il dibattito sulla ragionevolezza di procedere d’ufficio contro i cosiddetti “fetal killers” è attualmente molto acceso. D’altra parte, se la stessa scienza ha ancora qualche difficoltà a stabilire un criterio in base al quale calcolare l’inizio della vita umana intesa come tale, figuriamoci se poteva riuscirci George Bush. Molti giudici si trovano così a dibattersi tra mille “se” e altrettanti “ma” ogni qualvolta sono chiamati a decidere la titolarità del feto sul piano giuridico. Unica eccezione, la Corte d’Appello del Texas, stato dove Bush ha lasciato un indelebile zampata nel codice penale durante i quattro anni di governatorato.

Ai nove giudici che la compongono spetta l’arduo compito di rivedere i casi di 14 distretti dove il tasso di criminalità è a dir poco stratosferico. Nonostante ciò, la vicenda di Erica Basoria e Gerardo Flores, 16 e 19 anni rispettivamente, è stata liquidata abbastanza in fretta. La coppia, che vive a Lufkin, una cittadina di 35.000 abitanti, filava da circa un anno quando la ragazza si era accorta di essere incinta. Un’ecografia rivelerà che si annunciava un parto gemellare.

Basoria e Flores, entrambi troppo giovani per assumersi la responsabilità di mettere al mondo un figlio e meno che mai due, avevano così deciso di comune accordo di interrompere la gravidanza. Ma per abortire in Texas ci vogliono soldi, che i due ragazzi non avevano, come non avevano l’autorizzazione dei genitori di lei, che essendo ancora minorenne, poteva abortire solo con il consenso dei genitori. La legge si basa infatti sul consenso paterno e materno ma nulla dice sull’eventualità che essi possano non condividere la scelta. Sia come sia, i due ragazzi non sapevano più cosa fare e intanto il tempo passava. Dopo la 20° settimana di gravidanza, termine ultimo consentito dalle leggi del Texas per l’interruzione volontaria di gravidanza, trovare un medico disposto ad aiutarli era diventata una missione impossibile.

Basoria e Flores avevano così concluso che l’unico modo per uscire dai guai fosse ricorrere ad un metodo empirico. Lui avrebbe colpito lei all’addome con tutta la forza possibile nella speranza di procurarle un aborto. Ma aver messo in atto il proposito, Basoria ebbe un’emorragia talmente imponente da costringere Flores a condurla presso il più vicino pronto soccorso. Il medico di guardia capì subito che la ragazza aveva tentato di abortire e denunciò il fatto alla magistratura. Da quel momento, per la giovane coppia cominciarono i guai.

Lei ha avuto il perdono giudiziario, ma per Flores la pubblica accusa voleva addirittura la pena capitale. Secondo la generica terminologia delle leggi del Texas infatti la sacralità della vita del feto supera di gran lunga quella dello status giuridico di persona e da ciò ne consegue il diritto per i procuratori di mettere in discussione la sopravvivenza di un imputato nonché i suoi diritti costituzionali. Attualmente, le madri che fanno uso di sostanze stupefacenti durante la gravidanza, ad esempio, possono essere arrestate a discrezione del giudice in base allo stesso principio.

Per Gerardo Flores, l processo si è concluso con la condanna all’ergastolo. Se non altro, avrà il discutibile onore di passare alla storia come primo americano condannato per omicidio capitale in base alle leggi che tutelano il feto. D’altra parte, quando un ordinamento giuridico ammette che nelle scuole si tengano lezioni sui benefici dell’assistenza sessuale e il governatore del Texas in persona continua a sostenere che il feto va tutelato sin dal concepimento, è già tanto che non l’abbiano giustiziato. L’avvocato di Flores aveva presentato ricorso adducendo come motivazione l’incostituzionalità di una sentenza basata su nozioni scientificamente opinabili ma la Corte d’Appello ha riconfermato l’ergastolo. Se tutto andrà bene, quando Flores avrà 59 anni potrà sperare nella libertà condizionata.

Non è rasserenante pensare che una legge possa condannare un ragazzo di 19 anni a trascorrere l’esistenza tra assassini incalliti e predatori di ogni tipo e natura avendo come casa i pochi soffocanti metri di una cella. Tagliato fuori dalla società, relegato in un mondo pazzesco, Flores scivolerà inevitabilmente sempre più giù, fino al fondo della fossa, come spesso accade alle tante anime persone che popolano le carceri. Sempre che il sale versato dalla legge sulle sue piaghe non lo uccida prima.


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