di Luca Mazzucato

Keren vive a Gerusalemme nella comunità ebrea ultra-ortodossa. Vuole iscrivere la figlia di sei anni alla scuole religiosa Beit Ya'akov del suo quartiere. Ma purtroppo i piani di Keren per la figlia si scontrano con la pesante discriminazione che regna all'interno della comunità ultra-ortodossa: le prestigiose scuole ashkenazite sono off-limits per gli ebrei sefarditi. A rimetterci è la metà più debole della società ortodossa, ovvero le donne. Gli haredim (ebrei ultra-ortodossi) rappresentano un quinto della popolazione israeliana: è facile riconoscerli dagli abiti bianchi e neri e dal tradizionale cappello nero. Sono una fascia povera della popolazione israeliana: il sessanta per cento degli uomini non lavora, ma si dedica allo studio della Torah, mantenuti dai sussidi statali; circa la metà delle famiglie ultra-ortodosse, di solito molto numerose, vivono al di sotto della soglia di povertà. Come la maggior parte degli israeliani ebrei, gli haredim provengono storicamente da due gruppi etnici diversi. Gli Ashkenazi, di discendenza europea, sono l'elite politica e culturale del paese e i loro leader si ritengono i depositari della vera tradizione ebraica, mentre i Sefardi, immigrati dai paesi nordafricani o mediorientali, sono tipicamente più poveri. Se i rapporti tra le due comunità sono problematici già negli ambienti secolari, all'interno del mondo ultra-ortodosso ci si scontra a volte con una vera e propria segregazione razziale. Il settimanale Jerusalem report ha pubblicato recentemente la storia di Keren, la giovane madre ultra-ortodossa, nata in Israele da genitori haredim di origine marocchina. Quando si presenta alla scuola ashkenazita Beit Ya'akov (un circuito di scuole religiose tra i più prestigiosi), viene respinta a male parole, non appena la segretaria scopre che il suo cognome è di origine sefardita. Non si fa scoraggiare e insiste più volte, chiedendo di incontrare il preside. A quel punto, decine di ultra-ortodossi cominciano a farle visita e a telefonarle, alcuni dei quali mai visti prima, per scoraggiarla dall'impresa e consigliarle di andare ad un'altra scuola femminile, meno prestigiosa e più consona alla sua origine sefardita. La notizia si è sparsa per il quartiere e le donne del vicinato cominciano ad evitarla: il ferreo controllo sociale delle comunità ortodosse si è dispiegato. Un suo lontano parente rabbino intercede per lei, ma nemmeno questo riesce a smuovere il muro di gomma. Keren dovrà accontentarsi di mandare la figlia ad un'altra scuola religiosa, prestigiosa certo ma sefardita.

La sorte toccata alla figlia di Keren si è ripetuta almeno trenta volte, nelle iscrizioni alle elementari nel solo comune di Gerusalemme: per ogni genitore che decide di uscire allo scoperto ce ne sono decine che, per paura di essere emarginati nella propria comunità ultra-ortodossa, chinano il capo e accettano la discriminazione. Nel resto del paese le comunità sono molto più chiuse e dunque il fenomeno è sicuramente più grave ed esteso. Alcuni attivisti ultra-ortodossi, che si battono per la parità di diritti tra ashkenaziti e sefarditi, trovano la situazione paradossale: nemmeno Abramo, che veniva dall'Iraq, avrebbe potuto iscrivere sua figlia in una buona scuola!

Questo tipo di segregazione razziale, sorprendentemente, non vale per i maschi. I bambini sefarditi hanno accesso di norma alle scuole religiose ashkenazite, perché l'educazione di un uomo è fondamentale nella società ultra-ortodossa, visto che dovrà passare il resto della sua vita a studiare la Torah. Gli haredim ashkenazi sentono la responsabilità morale di salvare i ragazzi dalle tentazioni del mondo sionista e secolare e per questo accettano i bambini sefarditi a braccia aperte. Ma secondo il senso comune haredi l'educazione delle bambine non è molto importante: il marito le guiderà nella vita. Per le bambine è cruciale la “modestia,” che in questo caso si scrive sobrietà di costumi ma si legge famiglia di provenienza. Per una donna haredi d'altra parte la scelta della scuola è probabilmente la cosa più importante. Studiare in una scuola prestigiosa è l'unico modo per poter accedere ad un vantaggioso matrimonio combinato, che permetterà di avere una vita dignitosa all'interno della comunità. Le scuole più prestigiose sono tutte ashkenazite e dunque il futuro di una bambina haredi è segnato dalla nascita.

Nonostate le scuole ultra-ortodosse ricevano ingenti finanziamenti pubblici, nessuno controlla cosa succeda al loro interno. Il curriculum di studi governativo viene spesso aggirato e ad esempio la matematica e l'inglese, pur se obbligatori, non vengono insegnati. Nell'ultimo anno alcuni passi avanti sono stati fatti per aprire le scuole religiose di tradizione ashkenazita alle bambine sefardite, ma il sistema criminale delle quote razziali è forte da sconfiggere. Pochi giorni fa una proposta di legge bipartisan, approvata in prima lettura alla Knesset, istituisce un nuovo curriculum di studi misto secolare-religioso, per avvicinare i due mondi secolare e religioso, tra i quali la distanza si sta facendo sempre più incolmabile, e favorire i più svantaggiati ebrei sefarditi. Tuttavia, per gli ultra-ortodossi, che non riconoscono lo stato di Israele, l'idea di mandare il proprio figlio ad una scuola pubblica è una blasfemia e una vergogna. Il risultato probabile di questa riforma scolastica sarà probabilmente quello opposto: ampliare ulteriormente l'influenza degli ultra-ortodossi nella società israeliana, attirando nuove generazioni secolari tra le braccia dei religiosi.

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