di Giuseppe Zaccagni

Questa è cronaca di crudo capitalismo reale. Cominciamo dalla “fine”: l’annuncio che la Fiat ha raggiunto un accordo con il governo della Serbia per una “partnership” con l’azienda automobilistica Zastava. Il documento, siglato dai dirigenti del Lingotto, è definito “storico”. E su questa definizione si scatenano i laudatores del sistema. “Storico” - ci spiegano - perché per il governo di Belgrado si tratta del primo frutto concreto di quel “cammino d'apertura all'Europa rilanciato pochi giorni orsono con la firma dell'accordo di associazione e stabilizzazione (Asa) con Bruxelles”. Ma “storico” - aggiungono quanti si stanno impegnando nella reclamizzazione dell’accordo - anche per il fatto che la Fiat ritorna in grande stile nel cuore industriale della maggiore repubblica dell'ex Jugoslavia (“a mezzo secolo di distanza dal suo primo sbarco nell'Europa allora comunista”) acquisendo il controllo del 70% dell’azienda. E sull’onda dei dati tecnici si ricorda che la Zastava era, ai tempi di Tito, il simbolo dell’industria della Yugoslavia. Si copre, invece, con una nuvola di fumo e con una ben precisa cortina di silenzio, la realtà degli ultimi anni. Quella che ha fatto della Zastava un mucchio di macerie. Perché la zona dell’azienda è quella della città di Kragujevac - un tempo centro motore dell'industria pesante jugoslava - che gli aerei della Nato, durante la recente guerra di aggressione, misero a ferro e fuoco scaricando tonnellate di bombe. La fabbrica Zastava venne distrutta: persero così la propria occupazione 38.000 operai, con ripercussioni sull'economia di almeno 100.000 persone. Inoltre, nei bombardamenti furono ferite circa 200 persone e distrutte almeno 800 abitazioni, fra case ed appartamenti; oltre alla Zastava furono ovviamente danneggiate anche altre fabbriche, istituzioni culturali, scuole, presìdi sanitari e altro. La Yugoslavia fu spezzata restando prigioniera di un labirinto economico di cui non è riuscita più a liberarsi. Ed ora - dopo aver provocato un collasso sociale epocale - si parla di “fatto storico” che è destinato a caratterizzare la rinascita della Zastava. Nessun commento su quanto avvenne nei giorni delle bombe della Nato (caricate anche ad Aviano…). Quella storia non è “storica”.

E così la Fiat segna trionfalmente il suo ritorno in terra yugoslava. Si ricorda ora che il marchio Zastava - nato nel settore delle armi - ha alle spalle una storia d'un secolo e mezzo. Ma s'identifica essenzialmente con gli anni della comparsa del ramo auto e del primo contratto con la Fiat (12 anni prima dell'approdo della casa torinese nell’Urss) firmato nel 1954 da Gianni Agnelli con il maresciallo Tito. Nascevano in quei tempi - su licenza Fiat - una lunga serie di modelli; e per la Yugoslavia erano i primi passi verso la motorizzazione di massa. Soprattutto grazie alla ormai leggendaria 600: prodotta in versione locale per tre decenni di fila, ribattezzata dagli jugoslavi col nomignolo familiare di 'Fitcia' (storpiatura di Fiat) e tuttora presente in innumerevoli gadget, oltre che sulle strade con qualche inossidabile esemplare superstite.

Giunta a sfornare 85.000 veicoli nel 1968 e 220.000 nel fatidico '89 (con 53.000 lavoratori), Zastava precipitò nel baratro con la Yugoslavia negli anni '90. E furono le bombe della Nato a metterla a terra definitivamente. Ora si ritrova con meno di 4000 addetti e una produzione annua ridotta a 10-15.000 vetture. Vari, in questi anni, sono stati i tentativi di ricerca di partner stranieri per le privatizzazioni. La Zastava Armi ha inaugurato tre anni fa una coproduzione di fucili da caccia con la Remington americana, mentre il settore auto ha riconquistato qualche licenza, da Opel e - nel 2005 - dalla stessa Fiat, per l'assemblaggio di modelli Astra e Punto accanto alle vecchie utilitarie locali, Jugo, in catena di montaggio dal 1980.

Ora, per raffreddare le tensioni sociali (ma soprattutto per fare cassa) arriva la Fiat che dichiara di investire 800 milioni per la ristrutturazione della fabbrica di Kragujevac (bombardata dalla Nato), garantendo un’attività produttiva di 200mila vetture nel 2009 e 300mila nel 2011. Portata storica, quindi. Dice Sergio Marchionne, amministratore delegato dell’azienda torinese: "L'iniziativa rappresenta un passo avanti nella strategia di Fiat Group Automobiles finalizzata a supportare le sue aspettative in termini di crescita e volumi". Punto e a capo.

Oggi la svolta. La guerra è finita. Le macerie sono ancora fumanti e arriva il momento del trionfo del capitalismo. Le bombe sono solo un ricordo storico. Le facciate della Zastava sono restaurate e verniciate. La vita - come si dice – continua, pur se a tutt’oggi il quadro economico-sociale di Kragujevac è molto pesante: c'è una forte disoccupazione (circa 20.000 persone) e anche fra i lavoratori, moltissimi sono in cassa integrazione con la media di circa 60euro al mese per due anni (lo stipendio medio mensile di un operaio ammonta a 160-170 euro). Non solo questo, perché il costo della vita è molto alto e gli esercizi commerciali pur se ben forniti di merci, hanno prezzi proibitivi per le retribuzioni attuali. C’è una situazione politica e sociale caratterizzata da forti movimenti di protesta che rivelano una maggiore intransigenza sindacale.

Ma la storia di Kragujevac resta pur sempre compresa nelle vicende di un capitalismo che prima spara e poi compera. Pochi sanno, purtroppo, che questa terra jugoslava è stata già teatro di spaventose atrocità naziste negli anni della Seconda guerra mondiale. Resta indelebile quel 20 ottobre 1941 quando i nazisti ordinarono di far fuoco su 7.000 persone, circa un terzo della popolazione cittadina, come rappresaglia in seguito ad un attacco partigiano contro i militari tedeschi invasori: furono uccisi 50 serbi per ogni tedesco ferito, e 100 per ogni tedesco morto. Fra i massacrati vi fu un’intera generazione di ragazzi presi direttamente dalle scuole: il monumento in ricordo degli scolari uccisi è il simbolo della città dove, oggi, torna la Fiat. A bombardamenti conclusi.

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