di Fabrizio Casari

Tutto comincia con una operazione illegittima dell’esercito colombiano in pieno territorio dell’Ecuador. Il 1 marzo di quest’anno, coadiuvati dalla Cia, che fornisce attraverso i rilievi satellitari il luogo preciso dove colpire, i soldati di Uribe, a bordo di elicotteri da combattimento, bombardano dall’alto prima e scendono a terra per finire i sopravvissuti poi, un accampamento di poche unità delle Farc, al cui comando si trova Raul Reyes, il “ministro degli Esteri” della guerriglia colombiana guidata da Manuel Marulanda, alias “Tiro fijo”. Ventiquattro i morti, colti nel sonno; solo tre le persone sopravvissute al blitz: una donna messicana e due colombiane, oggi accolte dal Nicaragua di Daniel Ortega che le ha concesso asilo politico. Lo scopo del blitz era quello di uccidere il capo dei negoziatori delle Farc e quanti più suoi compagni, ma l’obiettivo principale che si voleva raggiungere era di tipo strategico e si basava su tre direttrici contemporanee: mettere in grave difficoltà le Farc ed i suoi rapporti internazionali attraverso l’eliminazione di Raul Reyes; fermare in questo modo i negoziati con il Venezuela e soprattutto con la Francia per la liberazione di Ingrid Betancourt; intimidire l’Ecuador di Rafael Correa e lo stesso Venezuela insinuando una capacità militare di Bogotà che ignora confini e diritto pur di colpire i suoi nemici. Ma quanto successo il 1 marzo è stato soprattutto l’inizio di un’altra storia, dai tratti ridicoli ma assolutamente pericolosi; una storia che ha in Hugo Chavez il protagonista - suo malgrado – dell’ennesima operazione sporca contro l’America latina ordita a Washington. Sì, alla Casa Bianca è questo l’ordine del giorno: costruire il nuovo diavolo contro cui lanciare la nuova crociata e adoperare ogni mezzo propagandistico per preparare il terreno ad una nuova avventura spionistico-militare, nel tentativo abbastanza scoperto di creare un nuovo caso Noriega.

La storia, come tutte le storie, ha un inizio. Questa racconta del sequestro del pc portatile di Raul Reyes, dal quale, come fosse il gonnellino di Eta Beta, esce di tutto. L’hard disk e le penne usb del dirigente guerrigliero sembrano diventate la lampada di Aladino: vi si trova di tutto, soprattutto ciò di cui Bogotà e Washington hanno bisogno. E dai con le “rivelazioni straordinarie” sui presunti contatti tra Reyes e l’impero del male, fatto di traffico di armi, di droga, denaro, contatti politici e, dulcis in fundo, le “prove schiaccianti” del ruolo di Chavez. Il Presidente venezuelano, in un crescendo rossiniano di balle a mezzo stampa, viene definito prima un finanziatore delle Farc, quindi un sostenitore, da ultimo complice.

E siccome le “scottanti rivelazioni” dei servizi d’intelligence colombiani hanno la credibilità al di sotto del minimo e, allo stesso tempo, quelle della Cia risulterebbero credibili come quelle sull’Iraq e sul Niger, allora si cambia cavallo, nella speranza di provare una corsa che risulti meno truccata. Si mette in campo l’Interpol, quindi, per indicare in Chavez il sostenitore principale della guerriglia colombiana. Ronald Noble, segretario generale dell’Interpol, sostiene che dopo due mesi di “accurate indagini” sui 16.000 documenti contenuti nell’hard disk di tre computer e nelle due penne Usb, oltre che nell’accampamento (che più che un accampamento guerrigliero parrebbe essere stato una biblioteca) emergerebbero le prove del coinvolgimento del Venezuela nel sostegno alle Farc. Ci sarebbe da sottolineare che la guerriglia colombiana esiste da molto tempo prima del governo bolivariano e che, semmai, è il governo colombiano ad essere politicamente, economicamente e militarmente, in mano agli Stati Uniti; ma questo tanto, chi lo dice?

Quello che importa a Washington, in questo momento, è che la macchina propagandistica sia messa in moto definitivamente. A detta dell’Interpol vi sarebbero tracce di riunioni tra membri del governo di Caracas - significativamente il ministro dell’Interno Ramon Rodriguez Cachin e il capo dell’intelligence Hugo Carvajal - e comandanti delle Farc, con oggetto prestito di denaro e addestramento militare che i guerriglieri colombiani avrebbero chiesto al Venezuela. Noble avrebbe escluso che il governo colombiano - dal quale l’Interpol ha ricevuto dopo diverso tempo la documentazione cui si fa riferimento - possa averla manomessa. E se ne è sicuro lui…

Insomma il gioco mediatico e propagandistico statunitense è iniziato. Il tentativo di Washington è dimostrare che Chavez è il finanziatore e addestratore della guerriglia colombiana, dopo aver detto nei mesi scorsi che non collabora alla lotta alla droga e che è il protagonista del nuovo “asse del male” per i suoi rapporti con l’Iran. Sono le stesse accuse che negli anni ’80 Reagan imputava ai sandinisti verso la guerriglia salvadoregna, proprio quelle con le quali la Casa Bianca giustificò l’aggressione terroristica delle bande contras alla giovane rivoluzione nicaraguese. La storia sembra quindi, 25 anni dopo, ripetersi con tutto il suo carico di bugie destinate a giustificare un’aggressione che appare ormai più che una ipotesi, piuttosto un elemento fisso dell’agenda statunitense in America Latina.

Da Caracas la reazione è arrivata prontamente. Chavez ha definito Noble un “ignobile” che ha condotto una inchiesta che, in realtà, “è una pagliacciata”. “Ci imputa - ha detto il presidente venezuelano - una trama degna di James Bond, mentre applaude gli assassini del governo colombiano”. "Colombia che, ha aggiunto Chavez, fin quando sarà governata da Uribe rischia di trasformarsi in una bomba a tempo per la stabilità della regione”.

Difficile dargli torto, giacché Uribe si sta giocando la faccia davanti al mondo intero, decidendo che, una volta di più, è solo Washington che può sostenerlo “senza se e senza ma”. Ed é per questo che Bogotà si presta ai disegni statunitensi. E' infatti la Colombia che mantiene aperto un conflitto interno dalle proporzioni enormi, minaccia il Venezuela con manovre continue alle sue frontiere, invade militarmente il territorio ecuadoregno e si trova ai ferri corti con il Nicaragua, per una disputa ingiustificata su un braccio di mare nei Carabi che Bogotà rivendica - contro ogni logica - come sue acque territoriali. Un contenzioso che ha più volte posto il terreno del confronto militare con Managua per via del sequestro di pescherecci nicaraguensi. Managua, attraverso il suo Presidente Daniel Ortega ed il suo ministro degli Esteri Samuel Santos, ha già avvertito decisamente che non tollererà ulteriori provocazioni e, pur essendo ormai avviato il ricorso alla Corte Internazionale di Giustizia dell’Aja, non ha escluso interventi di forza a difesa dei suoi pescatori.

Agli occhi di Uribe, il futuro della Colombia nel continente latinoamericano appare ormai decisamente tracciato sul solco di un ruolo simile a quello che Israele sostiene in Medio Oriente. La nuova America Latina vede nel Nicaragua, in Cuba, nella Bolivia, nel Venezuela, nell’Ecuador, nell’Argentina, nel Brasile, nell’Uruguay e nel Paraguay, e in misura diversa nel Cile e nella stessa Panama, la nuova stagione democratica del continente. Una stagione che vede isolata la Colombia e che preoccupa gli Stati Uniti, che hanno perso ogni traccia del “Washington consensus” degli anni ’80 e ’90. Ed è per questo che Uribe, su ordine degli Stati Uniti, si attiva in favore della destabilizzazione del continente, con l’obiettivo palese di mettere in crisi gli assetti politici della regione, trascinandola in una escalation di tensioni che, ove producessero uno sviluppo di tipo militare, metterebbero in difficoltà la nuova sinistra latinoamericana e giustificherebbe un ruolo interventista di Washington. Magari a sostegno della sua alleata Colombia…

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