di Luca Mazzucato

Qual è la migliore ricetta per portare pace e prosperità nella polveriera mediorientale? Chiedetelo a Bush, a Putin o a Sarkozy. La loro strategia è raccapricciante: fornire tecnologia nucleare a tutti i paesi della regione e spingerli ad uscire dall'AIEA, il tutto ovviamente al di fuori del Trattato di Non-Proliferazione nucleare. Ecco il recente salto di qualità: Bush offre assistenza nucleare alla Giordania, ricca di uranio, e al regime saudita, che letteralmente galleggia sul petrolio. Dopo aver completato i reattori iraniani, Putin convoca Mubarak a Mosca per offrire assistenza nucleare all'ottuagenario dittatore egiziano, mentre la Francia, per non restare indietro, annuncia l'inizio di una partnership nucleare anch'essa con la Giordania. Proprio il giorno in cui l'ayatollah Khamenei riafferma l'intenzione di proseguire lungo la strada del nucleare civile a prescindere dalle pressioni occidentali. E la Siria chiede una partnership nucleare pan-araba per non restare tagliata fuori. Ecco ripartire una spensierata corsa agli armamenti nucleari, nella regione dilaniata da guerre continue e cassaforte mondiale di petrolio: la nuova guerra fredda è cominciata. Gli sforzi americani nella regione da molti anni sono ormai rivolti alla creazione di un solido fronte di paesi arabi sunniti in funzione anti-iraniana. Per far questo, Bush dà fondo a tutte le risorse diplomatiche, finanziarie e militari a sua disposizione, come dimostrato ad esempio nel corso della guerra israeliana contro Hizbullah due anni fa. Ma la nuova visione dell'amministrazione americana rappresenta una spiacevole novità: il passaggio alla deterrenza nucleare. Oltre che di una mossa strategica, si tratta infatti di un affare colossale: in questo modo gli USA e la Russia riusciranno a piazzare tecnologia nucleare obsoleta, che in Occidente non avrebbe comunque mercato (a parte nell'Italia di Berlusconi, ovviamente), assicurandosi il controllo militare e tecnologico dei paesi riceventi nei decenni a venire.

Fino ad ora, l'unico paese della regione membro del club nucleare è Israele, che tuttavia si è sempre attenuto alla dottrina dell'ambiguità: non confermare né smentire ufficialmente di possedere armi nucleari. Secondo questa politica di ambiguità, Israele mantiene intatta la deterrenza nucleare nei confronti dei vicini, privandoli allo stesso tempo della giustificazione internazionale per sviluppare a loro volta armi atomiche. Ma la situazione sta cambiando velocemente, a causa della corsa al nucleare lanciata da Teheran. Poiché si avvicina il momento in cui l'Iran annuncerà il completamento del suo programma nucleare civile, Tel Aviv sarà costretta a porre fine all'ambiguità, pena la perdita della supremazia regionale.

Il primo passo da gigante della nuova strategia americana è stato l'accordo bilaterale tra Washington e Nuova Delhi, secondo il quale gli Stati Uniti forniranno combustibile nucleare e assistenza tecnologica all'India, segretamente e al di fuori di qualsiasi controllo internazionale. Ecco fatta carta straccia del Trattato di Non-Proliferazione e allo stesso tempo un premio per il paese che, insieme al Pakistan e alla Corea del Nord, ha sviluppato ordigni nucleari al di fuori del controllo internazionale. Il premier indiano ha persino sottolineato che non accetterà mai alcun inviati dell'AIEA nel suo paese, in linea del resto con l'arcinemico pakistano e seguito dai leader mediorientali.

Nel settembre dello scorso anno, gli Stati Uniti firmano un trattato bilaterale con il re di Giordania volto allo sviluppo di centrali nucleari ad uso civile, ufficialmente “destinate alla desalinizzazione dell'acqua.” La Francia, per restare al passo, manda pochi giorni fa il Ministro degli Esteri Bernard Kouchner in visita ufficiale ad Amman. I due paesi firmano un accordo per sfruttare le ricche miniere di fosfato di uranio, le cui riserve giordane ammontano a circa duecentomila tonnellate. Mentre la Turchia ha già annunciato che ultimerà tre centrali nucleari entro il 2015, la vera novità riguarda i due paesi strategici nel futuro della regione: Egitto e Arabia Saudita.

Mosca non resta certo indietro. Dopo aver ormai ultimato gli impianti nucleari di Bashir in Iran, Putin decide di entrare a gamba tesa in Medioriente stringendo un accordo con il dittatore egiziano Mubarak nel marzo scorso. Secondo indiscrezioni, si tratta di un miliardo e mezzo di dollari in cambio dell'assistenza russa nella costruzione della prima centrale nucleare egiziana sul delta del Nilo. Anche Mubarak ha annunciato la sua uscita dall'AIEA e Israele sembra non avere problemi con un Egitto potenza nucleare, almeno finché l'opposizione dei Fratelli Musulmani (di cui Hamas è la costola palestinese) continuerà ad essere schiacciata con la forza. L'amministrazione americana si trova ora in imbarazzo, poiché l'Egitto, insieme a Israele, riceve ogni anno il più cospicuo finanziamento militare da parte del Congresso: tre miliardi di dollari in armi convenzionali. Che ora si aggiungeranno all'imponente aiuto militare russo, clausola non secondaria dell'accordo tra Mosca e il Cairo.

Ma gli sviluppi forse più sorprendenti riguardano l'Arabia Saudita. Dopo aver partecipato alle celebrazioni per il sessantesimo anniversario della nascita di Israele, Bush si è recato a Riyadh per supplicare i principi sauditi di aumentare la produzione di petrolio. Le quotazioni dell'oro nero ai massimi storici si stanno ripercuotendo infatti sul mercato interno americano, dove il prezzo della benzina continua a crescere senza sosta, frenando i consumi. All'ennesima richiesta di Bush, i sauditi hanno risposto con un secco no: “Aumenteremo la produzione se ce lo chiederanno i compratori e non sotto pressioni di altro tipo. Al momento stiamo pienamente soddisfacendo le richieste del mercato,” è stata la stizzita risposta del Ministro del Petrolio saudita. A quel punto Bush ha sfoderato l'asso nella manica: l'offerta di tecnologia nucleare in cambio di un aumento della produzione giornaliera di petrolio.

La questione potrebbe far sorridere: offrire una costosissima fonte di energia alla riserva mondiale di petrolio. Ma purtroppo la presenza di ordigni nucleari nel paese di origine di quindici dei diciannove dirottatori dell'undici settembre farà felice soprattutto uno dei suoi cittadini: Osama Bin Laden. Sempre che non riesca ad ottenerne alcune grazie alla complicità dei servizi segreti pakistani, come auspicato nell'ultimo video di Al Qaeda.

Il cerchio dunque si stringe attorno all'Iran: i suoi rivali regionali, tutti regimi arabi sunniti, si stanno dotando di tecnologia nucleare. Rimane ancora un dilemma il futuro della Siria. Nel settembre scorso, un raid israeliano ha distrutto un impianto militare siriano, dove secondo la CIA si trovava un reattore nucleare fornito dalla Corea del Nord per l'arricchimento dell'uranio. La Siria ha sempre negato, fino a cedere alle pressioni internazionali ed aprire le porte agli ispettori dell'AIEA, che potranno recarsi sul sito dell'attacco e verificare la versione siriana. Per paura di essere tagliato fuori dalla corsa al nucleare, il dittatore siriano Bashar Assad ha rilanciato l'idea di un progetto nucleare civile in Siria sotto la supervisione diretta della Lega Araba. Dopo aver dichiarato che gli Stati Uniti, prima di dare il via libera al bombardamento israeliano, avrebbero potuto almeno spedirvi gli ispettori internazionali per accertarne la natura.

Il ruolo della Siria è di fondamentale importanza per gli equilibri regionali: Assad tenta di rientrare nello schieramento filoamericano grazie ai negoziati di pace con Israele (per porre fine al gravoso embargo economico), ma allo stesso tempo rinnova l'alleanza militare con Teheran e infine chiede agli altri paesi arabi sunniti di accettarlo nel loro club nucleare. Non è chiaro al momento l'obiettivo di tanta attività diplomatica, lo capiremo nei prossimi mesi.

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