di Carlo Benedetti

La “disinformacija” in versione polacca colpisce l’elettricista di Danzica, Lech Walesa e l’accusa è incredibile. Si sostiene che il vecchio leader di Solidarnosc (Premio Nobel per la pace, Presidente della Polonia dal 1990 al 1995) sarebbe stato, negli anni delle dure lotte sindacali nei cantieri di Danzica, un agente al soldo dei servizi segreti del regime comunista di Varsavia. Un provocatore, un doppiogiochista quindi, che avrebbe operato per creare situazioni estreme per mettere in luce, di conseguenza, quegli elementi che più si opponevano al potere di Varsavia scavalcando gli apparati politici. Una tattica, del resto, già sperimentata da un polacco che se ne intendeva: quel Felix Edmundovic Gerginski, l’uomo della Ceka sovietica, il quale per scoprire gli anticomunisti, organizzò una sorta di associazione segreta - “Trust” - che aveva come obiettivo quello di riunire gli antisovietici e i “nemici del popolo” per poi arrestarli e reprimerli in blocco. Vecchi sistemi - con risultati di indubbio valore - che ora riemergono in una Polonia che vuol essere democratica, libera ed aperta. Eppure… Ecco un libro, in Polonia, che si colloca sulla scia di Gerginskij per gettare fango sulla figura di Walesa, collocandolo come un sindacalista a busta paga della famigerata centrale della sicurezza di stato: la “Bezpieczenstwa”. L’opera in questione appare a Varsavia e scatena una bufera di polemiche, suscita incredulità, allarme. E’ un terremoto. Perché mentre sul sindacalista sono rovesciati insulti e storie alla 007 si punta a far capire che il personaggio - prima utilizzato come agente provocatore - si sarebbe, a poco a poco, accorto di essere veramente un leader carismatico e, quindi, in grado di tradire i suoi datori di lavoro-sporco: quelli, appunto, della “Bezpieczenstwa” collegati ai fratelli maggiori del KGB sovietico.

Ed ecco che il libro - nonostante la raffica di smentite - diviene oggetto di analisi e di dure riflessioni. Ed è un vero e proprio terremoto, capace di buttare all'aria la comprensione e la percezione della storia passata, non solo polacca ma europea con un conseguente rigurgito di furore anticomunista. Un'accusa durissima che bolla quel semplice operaio che fu Walesa visto sempre come il simbolo della lotta al comunismo e come il fondatore della Polonia democratica.

Il libro è un documento redatto dall'Istituto per la memoria nazionale (IPN) che gestisce l'archivio di Stato. E a parlarne, illustrandolo, è lo stesso direttore dell’Istituto - Janusz Kurtyka - il quale sostiene che: "Walesa in realtà era Bolek per i servizi, un nome di copertura preso in prestito da un notissimo cartone animato dell’epoca. Walesa tra il 1970-72, prese i soldi dal regime comunista e denunciò i compagni dei cantieri. Questa è la tesi della nostra ricerca, che nel libro prende il titolo: I Servizi Segreti e Lech Walesa. Un contributo alla Biografia". E sempre su questa linea si muovono gli autori materiali dell’opera - Slawomir Cenckiewicz e Piotr Gontarczyk - i quali spiegano che le corti giudiziarie della Polonia già in passato, nel 2000, hanno 'assolto' l'ex-presidente dall'accusa di essere un collaboratore dei servizi segreti.

Ma la questione è assai intricata. Il principale quotidiano polacco Gazeta Wyborcza pubblica la testimonianza anonima di un ex-funzionario della “Bezpieczenstwa” che spiega nel dettaglio come il dossier "Walesa" sia stato negli anni falsificato con documenti creati ad hoc e arricchito da pagine inventate di sana pianta, ad uso e consumo delle finalità del momento del regime. "L'ordine ci era arrivato dall'alto - racconta l’ex funzionario dei servizi - e nessuno si sognò di fare domande. Per noi Lech Walesa era un nemico del popolo. Il mio compito era quello di controllare che tutto fosse realizzato alla perfezione, in modo tale che i documenti corrispondessero nei minimi dettagli a quanto ci era stato richiesto. Avevamo a disposizione diverse firme di Walesa, secondo una precisa scala temporale. Col passare degli anni, la firma si sa può variare".

Ora la questione investe il Paese con violenza, suscitando sconcerto e montando un dibattito dai toni molti aspri. L'opinione pubblica si è divisa tra chi difende Walesa e chi invece esulta per l'emersione di una verità troppo a lungo rimasta nascosta. Il dossier non lascia indifferenti gli esponenti del mondo politico di oggi e di ieri. Il premier Donald Tusk sottolinea che "si deve difendere la verità e la leggenda di un uomo come Lech Walesa, contro chi strumentalizza tale questione per fini politici". Chiaro il riferimento di Tusk ai fratelli Kaczynski - Lech l'attuale presidente della Repubblica e Jaroslaw l'ex-premier - nemici giurati di Walesa.
In aiuto del leader di Solidarnosc, paradossalmente, scende in campo l'avversario di sempre: l'ex-presidente Aleksander Kwasniewski, protagonista insieme a Walesa della transizione democratica della Polonia, dalla tavola rotonda del 1989 in poi.

"Il dossier su Walesa è stato manomesso. Questo è sicuro. Walesa è stato un avversario politico duro e determinato e mai ho avuto la sensazione che potesse fare il doppio gioco", dichiara Kwasniewski a Gazeta Wyborcza. Secondo l'ex-presidente, l'obiettivo del libro-documento sarebbe quello di riscrivere il giudizio storico sulla Tavola rotonda del 1989, quando i rappresentanti del regime si incontrarono con i leader di Solidarnosc, sancendo la fine della dittatura e aprendo la via ad una transizione pacifica e democratica. "Vogliono far credere che la Tavola rotonda fu l'incontro tra comunisti e spie. Non fu così, io c'ero e posso assicurare che Walesa non faceva il doppio gioco".

Di tutt'altro avviso - e non poteva essere diversamente, visto il rancore che intercorre tra i due - Jaroslaw Kaczynski, ex-premier e leader del partito d'opposizione, Diritto e Giustizia il quale dichiara: "Non avevo bisogno del libro. Già conoscevo queste cose. Bene che il Paese apprenda finalmente la verità, coperta in questi anni dalla casta del potere".

Ed ecco Walesa partire all’attacco. Anche lui conosce i sistemi della disinformazione e, quindi, precisa: “Mai stato una spia. Contro di me, tante menzogne orchestrate da provocatori". Respinge in toto le accuse di essere stato in passato un collaboratore dei Servizi segreti del regime comunista, mosse dall'Istituto per la memoria nazionale. E poi punta il dito contro chi per secondi fini "vuole adattare le menzogne alla verità". "Non hanno in mano nessun documento - insiste - e si tratta solo di atti creati ad hoc contro di me, menzogne orchestrate da provocatori". In conclusione, Walesa manda un messaggio all'opinione pubblica occidentale: "Sono stato e rimango colui che ha portato la Polonia alla democrazia".

Ma la storia non sembra destinata a finire. Perché sull’intera vicenda interviene anche l'attuale Capo di Stato polacco Lech Kaczynski il quale - in un'intervista concessa alla catena televisiva polacca Polsat - accentua il carattere negativo svolto da Walesa in tutti gli anni di Solidarnosc. In pratica la “Bezpieczenstwa” dei giorni d’oggi si sta prendendo una bella rivincita. Perché vere o no le storie narrate il fatto è che il fango schizza da ogni parte. E colpisce tutto l’entourage che fu del carismatico leader, colpisce i suoi alleati del mondo cattolico… Perché arriva sin dentro al Vaticano del papa polacco e nelle amministrazioni di quei sindacati (italiani, in particolare) che aiutarono il processo di Solidarnosc.

Ora Walesa si trova nuovamente in lotta. Forte della sua esperienza di grande manovratore sindacale, aiutato economicamente dai benefici tratti dal ruolo di presidente e dai fondi del Nobel, si è messo in pantofole accanto alla moglie Danuta e ai suoi otto figli. La “Bezpieczenstwa” ha deciso di svegliarlo.

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