di Michele Paris

Nubi minacciose si stanno addensando su numerose testate d’oltreoceano da alcuni mesi a questa parte in seguito alla nuova politica annunciata dal gigante delle telecomunicazioni Tribune Company e dal suo numero uno Sam Zell per far fronte ad un indebitamento che sfiora ormai i 13 miliardi di dollari. Già proprietario dell’autorevole Chicago Tribune, il 66enne magnate delle costruzioni figlio di immigrati ebrei polacchi ha messo le mani recentemente anche sul Los Angeles Times, al cui staff redazionale sta imponendo una serie di preoccupanti misure volte a trasformare il volto del più importante quotidiano della costa occidentale degli Stati Uniti. I provvedimenti adottati prevedono infatti un netto taglio delle pagine dedicate alla politica e agli avvenimenti internazionali per dare maggiore spazio alla cronaca locale e, soprattutto, alle inserzioni pubblicitarie che d’ora in avanti dovranno rappresentare almeno la metà dei contenuti della nuova testata. Lo spostamento in massa dei lettori e della pubblicità dalle edizioni cartacee a quelle on-line sta producendo una situazione di grave crisi per molti giornali americani, i quali si stanno adoperando in tutti i modi per fronteggiare le difficoltà ridefinendo le proprie strategie e la propria immagine. Le scelte prospettate da Zell, e dal suo braccio destro Randy Michaels, prospettano tuttavia un vero e proprio smantellamento del glorioso Times della metropoli californiana, fondato nel 1881 e vincitore di 40 premi Pulitzer nel corso della sua storia ultracentenaria. Ma la scure dei dirigenti della Tribune non risparmieranno nemmeno altri giornali locali di loro proprietà come il Baltimore Sun, l’Orlando Sentinel e l’Hartford Courant, anche se i tagli per queste edizioni si prospettano per ora di portata più ridotta.

Entrato in possesso della ormai ex public company nello scorso dicembre in seguito ad una rischiosa operazione finanziaria, Sam Zell stesso ha contribuito non poco a far lievitare il debito della corporation a causa dell’ingente prestito necessario alla sua acquisizione. Ciò ha comportato, oltre alle ristrutturazioni annunciate per le testate di punta della società, la messa in vendita di alcuni gioielli come il tabloid settimanale Newsday, nonché della squadra di baseball dei Chicago Cubs con relativo stadio. Le richieste del milionario dell’Illinois tuttavia risultano talmente elaborate, allo scopo di massimizzare i profitti da ricavare con la vendita delle varie società, che a tutt’oggi nessuna delle operazioni prospettate per far quadrare i conti sembra aver trovato acquirenti realmente interessati.

I tagli alle proprie edizioni dovranno essere dell’ordine delle 500 pagine a settimana complessivamente, pari al 12,5% del totale prodotto attualmente da tutti i giornali posseduti dalla Tribune Company, con l’obiettivo di stampare un identico numero di pagine per i contenuti editoriali e per gli annunci pubblicitari. Sempre secondo l’innovativo e a dir poco discutibile piano editoriale della coppia Zell-Michaels, verranno poi allontanati quei giornalisti che in seguito a scrupolosa analisi risulteranno produrre un numero di articoli minore rispetto agli standard della compagnia. Quest’ultima considerazione non tiene ovviamente in considerazione il lungo e faticoso lavoro di investigazione nel quale spesso i reporter di una testata come il Los Angeles Times sono coinvolti a differenza del personale di redazione delle edizioni locali. Come se non bastasse, tutti i giornalisti d’ora in poi avranno la triste incombenza di doversi adoperare attivamente alla massimizzazione dei profitti del loro giornale.

Da qualche mese a questa parte inoltre, la Tribune Company sta provvedendo a rimpiazzare i vertici delle varie testate che ad essa fanno capo con manager provenienti dalla televisione, dalla radio e dall’industria della musica, tutti rigorosamente privi di significative esperienze nell’ambito della carta stampata. Gli avvicendamenti sono tuttavia all’ordine del giorno ormai ad ogni livello e quello che ha coinvolto di recente la redazione del magazine mensile del Los Angeles Times è altamente significativo delle nuove condizioni implementate dalla Corporation diretta da Sam Zell.

Con grande sorpresa da parte di tutti i giornalisti, nei primi giorni di giugno è stato diramato un comunicato ufficiale che annunciava il trasferimento della gestione del magazine alla sezione amministrativa del Los Angeles Times tagliando fuori l’intera redazione da ogni decisione relativa ai contenuti e alle notizie da pubblicare. La manovra era in preparazione da mesi ed è stata messa in atto tenendo all’oscuro persino il redattore capo, Russ Stanton, il quale ha immediatamente chiesto al suo editore di cambiare il nome del nuovo magazine per non minare la credibilità di una redazione che ormai non ha più alcun controllo sulla pubblicazione stessa.

Introdottosi nel gotha della finanza statunitense in seguito alla creazione di numerose società di investimento in campo immobiliare, Sam Zell ha fatto la sua apparizione nel mondo dei media a partire dal 1992 con la fondazione della Jacor Communications Inc., rapidamente diventata un gruppo al quale facevano capo svariate stazioni radio-televisive. Nell’aprile dello scorso anno è arrivato poi il grande salto con l’acquisto della Tribune Company, un colosso fondato a metà del secolo scorso che ha enormemente beneficiato della deregulation degli anni Novanta nell’ambito del sistema delle telecomunicazioni. In seguito ad una serie impressionante di fusioni ed acquisizioni, il gruppo è cresciuto a tal punto da rappresentare attualmente il secondo editore per importanza di tutti gli Stati Uniti grazie al controllo esercitato su un ampio numero di giornali e televisioni locali e nazionali.

Nella più consolidata tradizione imprenditoriale d’oltreoceano poi, Zell non ha trascurato nel corso degli anni di distribuire generosi contributi economici ad esponenti del Congresso sia repubblicani che democratici, anche se con una innegabile predilezione per i primi, così come a società di lobbying operanti a Washington in rappresentanza delle compagnie di costruzioni. Convinto sostenitore della causa israeliana e del libero mercato in tutte le sue forme, il tycoon di Chicago figura inoltre in cima alla lista dei donatori di numerose istituzioni come l’esclusivo college privato israeliano Herzliya Interdisciplinary Center e il Center for Social and Economic Progress, think tank di destra che ha tra i suoi obiettivi principali quello di promuovere le riforme economiche in senso liberista nella società israeliana.

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