di Valentina Laviola

A distanza di una settimana o poco più dall’annuncio dell’intenzione del Tribunale penale internazionale di incriminare Omar al-Bashir per crimini di guerra, arriva la risposta eclatante e spavalda di Khartoum: il Presidente ha organizzato una visita in Darfur, uno spettacolo tutto ad uso mediatico. Non è bastato, infatti, respingere con fermezza le accuse e delegittimare il tribunale dell’Aia; al-Bashir è consapevole che, dal momento in cui le accuse saranno ufficiali, la sua immagine di fronte al mondo sarà irrimediabilmente compromessa per sempre. Così, per scongiurare l’inizio della propria fine politica, ha orchestrato una dimostrazione pubblica, assicurandosi che tutti gli interessati fossero presenti ad assistere. Assieme alla delegazione governativa, scortata da un elicottero e veicoli dotati di mitragliatrici, l’hanno seguito numerosi giornalisti e diplomatici sia arabi che occidentali, tra cui l’ambasciatrice inglese e un delegato statunitense. Lo scopo è chiaramente di mostrare una situazione ben migliore di quella reale, di minimizzare i danni, trasmettere un senso di serenità e assicurare a tutti che verrà avviato un nuovo processo di pace, dall’interno, di cui il Sudan stesso si assumerà la responsabilità. Il Presidente, quindi, rilascia dichiarazioni dai toni eufemistici, quali: :”Sappiamo che in Darfur ci sono stati problemi e ingiustizie [non meglio specificate], ma fin dal primo giorno abbiamo cercato di portare la pace alla popolazione”, e non ha remore nell’invitare i profughi a fare ritorno alle proprie case – qualcuno avrà controllato se esistono ancora? – e ad avere fiducia nel governo che promette aiuti. Inaugura stazioni idriche ed incontra i leader delle tribù maggiormente coinvolte; l’atmosfera, nella regione probabilmente più martoriata degli ultimi anni, è talmente rilassata che al-Bashir si lascia addirittura andare ad un balletto sulle note della musica nazionalista, agitando in aria il bastone tra la folla festante di sostenitori, civili, studenti.

È l’immagine che il leader sperava di consegnare al pubblico mondiale: quella di un Darfur ormai sulla via della risoluzione della crisi e del suo Presidente, accusato di aver condotto uno sterminio contro tribù di etnia non araba, in veste di operatore di pace. Non è difficile leggere l’indirizzo del destinatario ultimo di questa messinscena: si tenta disperatamente di salvare al-Bashir dal Tribunale dell’Aia.

Esistono poi le altre notizie, che comunque arrivano, ed in contemporanea dal Sudan, raccontando la situazione reale. Sembra che proprio mentre il Presidente arrivava ad El Fasher, una volta capitale del Darfur, oggi quartier generale della missione Onu, un funzionario delle Nazioni Unite sia stato picchiato da soldati governativi perchè scattava foto relative ad un’indagine riguardante un incidente stradale. Quest’episodio, pur sintomatico di una situazione ancora estremamente instabile, scompare se confrontato a cosa accadeva nei villaggi a poche decine di chilometri di distanza da El Fasher mentre al-Bashir andava in scena nella sua gita diplomatica.

Il portavoce del Movimento di Liberazione del Sudan, Mohamed Dirbeen, sostiene che aerei governativi stiano proseguendo con i bombardamenti da circa una settimana, causando alcune vittime e colpendo anche un ospedale. Ovviamente gli attacchi, pur confermati anche dalle truppe dell’Onu e dell’Unione Africana, vengono regolarmente smentiti dall’esercito sudanese. Intanto, gli uomini della missione di pace sono in allerta, a causa delle reiterate minacce di Khartoum che sarebbe pronta a chiedere il loro ritiro se il Presidente dovesse essere processato. Se la situazione dovesse precipitare, è probabile che resterebbe sul posto un numero ridotto di soldati, lo stretto indispensabile.

La visita di al-Bashir, sperando che non possa salvarlo dalla Corte penale internazionale, ha comunque prodotto il sorgere di una alternativa. La stampa francese, infatti, riporta la possibilità di istituire tribunali speciali all’interno del Sudan stesso, ove svolgere i processi che individueranno le responsabilità relative al Darfur. Questi lavorerebbero sotto l’osservazione della Lega araba, dell’Onu e dell’Unione africana. Rimangono da chiarire diversi dettagli, tuttavia Khartoum si sta già muovendo in questa direzione: il ministro della giustizia, Abdel Sabderat, ideatore di questa nuova strategia di legittimazione, ha invitato esperti internazionali con il compito di verificare se le competenze del sistema giudiziario sudanese siano in grado di coprire tutti gli ambiti previsti dal diritto internazionale, così da ottenere in ultimo una sorta di convalida per celebrare i processi all’interno del Paese. La Lega araba, inoltre, ha tenuto a precisare che non si tratterebbe di una scappatoia, ma di un impegno serio nell’indagare chiunque abbia violato i diritti umani in Darfur e che lo stesso al-Bashir, nel caso risultasse coinvolto, non sarebbe considerato al di sopra della Legge solo in virtù della sua carica di capo di Stato.

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