di Rosa Ana de Santis

Si consuma sotto i nostri occhi il consueto rituale moraleggiante e pavido della tradizione popolare italiana. Le acclamazioni frenetiche che per giorni e giorni hanno gridato di furore e sconcerto per l’uccisione della giovane Eluana, che hanno riempito le pagine dei giornali cattolici e non solo, insinuando il dubbio che questo padre fosse poco lucido per stanchezza e dolore, oggi forse si placheranno. Il ricorso del pg Maria Antonietta Pezza contro la sentenza della Corte d’Appello di Milano impedirebbe alla famiglia Englaro di procedere. Eluana persisterebbe a vegetare nello stato in cui è mantenuta da 16 anni. Il conflitto sull’attribuzione di poteri tra lo Stato sul caso Englaro ha visto non solo aspre polemiche alla Camera tra maggioranza e opposizione, in una qualche misura fisiologiche, ma accese contese all’interno del PD, che continua a dare pessime prove di se sui casi più recenti che la bioetica sottopone alla vita politica italiana. Complici ignavi di un letargo imperdonabile che avrebbe dovuto vederli in prima fila a lavorare per l’emancipazione della nostra italietta giolittiana. Attesa inutile. Cosi si prepara l’esercito della destra crociata, dei cattolici di ogni parte e partito e, purtroppo, la fronda penosa e senza patria dei teodem. Il caso prosegue nelle sedi istituzionali, condannato dal silenzio disimpegnato dell’estate, dal disinteresse dei bagnanti nell’incuria nazionale di chi consegna il substrato etico della vita politica di un paese laico ai dieci comandamenti della teocrazia cattolica. Persino Forza Italia può dividersi sul criterio della coscienza individuale e dare lezioni, rivendicare la propria natura laica anche al cospetto dell’amico Papa. Ma il PD per farsi perdonare la propria anima lontana di sinistra non ha vergogna di dividersi tra cattolici e non. Come se questo dovesse avere una qualche incidenza nell’arena pubblica della legge e del diritto. Non manca persino la diatriba nominalista tra rutelliani e teodem: chi sia l’uno e l’altro, chi sia solo teodem senza essere discepolo di Rutelli. Discrimine suggestivo che anima le nostre serate afose. Pena l’assenza totale della ragione pubblica, pena un’astensione che si traduce con omissione. A questo hanno reagito come al solito i radicali che su queste frontiere, quasi sempre soli e molto spesso per primi, non hanno mai mancato di coraggio.

La tesi poggia sull’idea che non sia affatto accertata in modo incontrovertibile l’irreversibilità dello stato vegetativo. Tace il giudice Lamanna della Corte d’Appello. Le controversie e le fonti mediche e legali su questi casi sono numerosi e difficili. Pazienti in PVS persistente sono considerati in uno stato d’inconsapevolezza e incoscienza dove movimenti e reazioni che a un primo sguardo potrebbero sembrare consapevoli - come urlare o sbuffare - non sono in realtà in connessione con alcun stimolo esterno. Non c’è dubbio che la diagnosi dello stato PVS sia complessa, ma è certo che è inversamente proporzionale la possibilità di recupero con il trascorrere del tempo in quelle condizioni e che molti, moltissimi, hanno semplicemente bisogno di credere al miracolo divino. Quello che nessun medico può escludere o ammettere se non in virtù delle proprie credenze - e mai in ragione della propria scienza - che per questi pazienti non ha cura da prescrivere, tantomeno guarigione da promettere.

Ma forse ancor prima di una disquisizione che ci porti nella legittima disputa delle scuole di pensiero, va posta una ragione di ordine morale. Eluana avrebbe accettato di vivere tutti questi anni in questo stato? Eluana desidererebbe continuare ad andare avanti, rimanendo immobile e priva di mondo in attesa di un miracoloso risveglio? Perché a tutto questo una risposta chiara e riconosciuta affidabile c’è, ma nessuno sembra curarsene più. Non è forse che il limite della scienza medica deve diventare in queste regioni di confine assolutamente affidate all’autodeterminazione di ciascuno?

Perché se solo fosse chiarito che tra eutanasia e diritto dell’individuo o, ancora meglio, diritto alla vita, non solo non c’è alcuna tensione morale né conflitto, ma persino un rapporto di continuità concettuale, salterebbe la falsa alternativa su cui da tempo e su tanti altri fronti si dividono le parti politiche, i religiosi e gli agnostici, i giudici e le aule del Parlamento. Se solo la lettura di questi due temi non fosse sovrapposta a preconcetti e credenze e venisse restituita al corretto significato della morale, tanto clamore verrebbe finalmente sedato dal lume della ragione e la vita di tanti come Eluana sarebbe liberata. Se fosse dichiarato apertamente il dr. D’Agostino, presidente onorario del Cnb, faticherebbe forse di più a rintracciare per sé e per le sue pallide argomentazioni una veste laica e autorevole fuori dalla Pontifica Università.

La votazione di Palazzo Madama conferma il conflitto di attribuzione di poteri sul caso Englaro e chiede alla Corte Costituzionale di prendere posizione in merito. A detta di Cossiga è l’unico passo possibile che i senatori come lui potevano fare per evitare l’epilogo di una quasi eutanasia. In qualche modo tutti imbavagliati da uno Stato che su questo non ha legiferato. Che su queste storie cosi al limite ha fatto calare il velo di una clandestinità di convenienza che porta sempre a un ingrato confronto con paesi ben più civili del nostro.

E’ fin troppo evidente che i giudici hanno dovuto colmare il vuoto legislativo, l’arretratezza della politica nostrana su questo come su altre frontiere della bioetica. E’ fin troppo evidente che adesso sull’onda di una storia che porta il volto di una giovane donna entrata nelle famiglie italiane non si può evitare più di parlare di testamento biologico. Aspettiamo il disegno di legge. Già altri casi, come la signora Santoro ammalata di SLA che aveva rifiutato la ventilazione forzata, iniziano a corrodere dall’interno un sistema che non da risposte adeguate ai bisogni dei cittadini. Una popolazione che vive la vita del suo tempo, che ha altre esigenze e chiede nuove risposte e possibilità.

Può darsi, come suggerisce Capezzone, che paghiamo il pegno di un sistema di diritto tanto blindato nei quanto lento e rigido rispetto ai paesi che vivono in sistema di common law. Può darsi, ma c’è dell’altro. C’è la censura mentale ad assimilare il ruolo di uno Stato che al cospetto di scelte esistenziali cosi intime e libere non può accampare ruolo di educatore, di padre, di controllore, di totalità. Deve farsi minimo, silenzioso, non ingerente. Siamo affezionati a una certa lettura pedagogica dello Stato che ammaestra e che insegna, che guida e che persuade, che si fa carico della vita buona delle proprie parti.

Questa, in fondo l’essenza del pensiero teodem: uno Stato etico (atteso che l’etica è solo la loro) che sui diritti annuncia la fine dell’universalità, riproposta invece nei doveri. L’individuo e la libertà in affari da un lato, lo Stato e l’obbligo morale dall’altro. Due divinità, insomma: il mercato e dio. Il vizio storico che si trascina per indiscussa eredità sulle vicende politiche di questo paese è non saper disgiungere la neutralità con cui lo Stato deve farsi garante degli strumenti necessari a tutti per vivere bene, dal giudizio su cosa sia vivere bene. Eppure è storia del pensiero moderno. Eppure è applicazione pubblica della lontana lettura erasmiana della politica nuova, emancipata dal giudizio religioso. Eppure è la storia delle implosioni di tutti gli assolutismi, che non sono soltanto quelli dichiarati e storicamente riconoscibili.

Esistono tirranidi ben più insidiose. Quelle che entrano nel merito delle convinzioni del singolo per orchestrare dispute e alterchi, agoni di voti e pietose propagande perditempo. Quelle che invece di onorare il rispetto della libertà del singolo, smuovono lo Stato totale per stabilire il bene e il male. Storia vecchia nei tempi e nei temi. Eppure proprio questa prigionia che persiste, che odora di chiesa e di una patria ancora troppo sacra per essere libera, è per paradosso quello che finisce per colpire al cuore il senso della pietas. Una delle poche lezioni antiche che avremmo dovuto conservare e abbiamo liquidato in nome di dio.

Quella storia che racconta di un senso quasi mistico della libertà. Quella che tutti declamano, ma di cui pochi, pochissimi riescono a vederne un senso che non sia veicolato da ordini sovraumani o ragioni di stato. Di questo paga il prezzo Eluana e come lei tanti altri. Torna alla memoria la storia di Antigone e dello Stato. Una trama diversa e lontana che non a fatica torna ad essere attuale per i nostri tempi. Il dramma della sepoltura e la clemenza dello Stato, la tensione tra diritto pubblico e domanda morale del singolo. Una storia che percuote il senso delle cose. Proprio quello che molti vorrebbero non accadesse mai.

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