di Valentina Laviola

Da alcuni giorni ormai migliaia di persone assediano la sede del governo per dimostrare il loro dissenso. Sono i sostenitori del PAD-People’s Alliance for Democracy, un partito allineato su posizioni conservatrici, che si appoggia alla monarchia e all’esercito. Chiedono con fermezza le dimissioni del primo ministro Samak Sundarevej e del suo gabinetto e non intendono andarsene finché non le avranno ottenute. Accusano il premier (espresso dal Partito del Potere del Popolo) di non essere altro che un fantoccio e di proseguire quella politica corrotta che aveva caratterizzato il suo predecessore Thaksin Shinawatra. Costui si trova attualmente in esilio, a seguito del golpe militare che lo ha destituito nel 2006 e ha messo al bando il suo partito, ma il sospetto è che continui ad agire da dietro le quinte. Alcuni movimenti di protesta si erano registrati già da maggio a Bangkok, ma nulla di comparabile a quanto sta accadendo ora: circa 10.000 persone sono letteralmente accampate nell’area che circonda la sede del governo, organizzate a resistere per giorni e determinate a contrastare eventuali interventi delle forze dell’ordine. Alcuni scontri sono già avvenuti, come ieri mattina intorno alle 3 quando la polizia ha tentato di bloccare la folla che cercava di entrare nel palazzo governativo. Nonostante si siano registrati anche alcuni feriti, le intenzioni dei dimostranti non paiono fiaccarsi. Intanto la polizia rimane al proprio posto, ma un portavoce ha dichiarato che non intendono disperdere la folla, quanto piuttosto aprire un negoziato. L’episodio più eclatante, comunque, ha riguardato l’irruzione nel Servizio Nazionale di Trasmissione, che ha bloccato il sistema radio-televisivo statale. Secondo le autorità l’azione è stata condotta da uomini vestiti di nero, col volto coperto ed armati di pistole e costelli; mentre, uno dei leader del movimento nega, sostenendo che tutto sia avvenuto pacificamente, compresa l’evacuazione del personale.

Attualmente sono state arrestate nove persone fra gli esponenti chiave del PAD, ritenuti responsabili per l’assalto alla TV, ma fra le accuse, già ufficializzate dal tribunale, compare anche quella di ribellione, di aver organizzato un assembramento finalizzato ad operazioni di disturbo dell’ordine pubblico e di aver rifiutato di obbedire agli ordini della Polizia. Tuttavia, l’accusa più grave di cui dovranno rispondere è il tradimento. Poche ore dopo il’emissione dei suddetti mandati d’arresto, altri cinque leader del PAD si sono dichiarati pronti a raggiungere i compagni in carcere, rifiutando la protezione dei manifestanti, i quali avevano formato un muro umano per difenderli, affinché non risultassero altri feriti in nuovi scontri; hanno aggiunto, inoltre, che non avanzeranno richiesta per il rilascio su cauzione.

Dall’altra parte della barricata, il primo ministro Sundarevej mescola dichiarazioni di fermezza a tentativi di diplomazia per uscire da questa brutta situazione. Da un lato, minaccia di non poter tollerare oltre, annuncia che “la Polizia prenderà tutte le misure necessarie per ristabilire la normalità il prima possibile, userà ogni mezzo, anche azioni decisive contro i manifestanti” ed ha affidato il controllo diretto delle forze di polizia al ministro degli Interni (già ex-capo della polizia nazionale); dall’altro, tuttavia, dichiara di non voler peggiorare l’atmosfera, non vuole che il suo governo sia bollato come uno che usa il potere per reprimere i contestatori, così ha invitato i dimostranti del PAD a riconsiderare la loro azione e tornare alla loro case. Di certo resta fermo nel rifiutare l’ipotesi delle dimissioni.

Alcuni media locali hanno riportano che avrebbe richiesto un incontro urgente con il comandante in capo delle forze armate - forse per assicurarsi di non fare la fine del suo predecessore - a cui è seguita una dichiarazione del capo dell’esercito che assicurava che i militari non avrebbero rovesciato il governo solo per placare un’agitazione politica e non si sarebbero fatti coinvolgere nella politica.

Inoltre, per tranquillizzare i partners diplomatici, il ministro degli Esteri thailandese ha inviato messaggi ai vari consolati ed ambasciate per spiegare la situazione, auspicandone la comprensione - e, possibilmente, scongiurando il blocco del turismo - e definendo quando accade un episodio che fa parte della crescita democratica del Paese. Dichiarazione necessaria, anche in risposta alle ultime stime dell’Istituto di Ricerca per lo Sviluppo, che ha ipotizzato delle ripercussioni a breve termine sull’economia causate dal proseguire dei raduni del PAD, probabilmente a causa dell’immagine di instabilità politica che potrebbe incidere negativamente sulla fiducia degli investitori.

Emergono, intanto, le prime riflessioni degli intellettuali e accademici thailandesi: c’è chi auspica la fine della mobilitazione poiché non vede ragioni sufficienti per chiedere le dimissioni del premier; tuttavia, è opinione corrente che, da questo momento in poi, il governo sarà costretto a fare maggiore attenzione, avendo avuto dimostrazione di non potersi permettere una gestione disonesta del potere, dal momento che esiste una tale opposizione pronta a coglierlo in fallo.

Estremamente interessante è poi il sondaggio condotto dall’Università di Bangkok: nonostante la mobilitazione a cui assistiamo appaia enorme alle nostre annoiate ed ormai passive democrazie europee, il 70% degli intervistati la giudica una misura eccessiva; circa la metà delle persone interrogate sarebbe d’accordo rispetto all’intervento dei soldati a sostegno delle squadre di polizia, ma rifiuta l’imposizione dello stato d’emergenza sulla capitale. Insomma, sembra che solo un’esigua minoranza sia disposta ancora a considerare gli atti di forza, di qualsiasi genere, come la soluzione adatta a risolvere le crisi politiche.

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