di Marco Montemurro

Il governo delle Filippine ha dispiegato l’esercito nella provincia meridionale di Mindanao e ha scelto la linea dura contro le rivendicazioni di maggiore indipendenza. La presidente Gloria Macapagal Arroyo, lo scorso 3 settembre, ha dichiarato ufficialmente concluse le trattative di pace tra il governo e il Milf, l’organizzazione Moro Islamic Liberation Front che da anni si batte nella regione. Si è rotto così il cessate il fuoco in vigore dal 2003 ed è di nuovo acceso il conflitto che dura da oltre trenta anni e che ha causato finora 120mila vittime. Nell’ultimo mese l’intensificarsi degli scontri ha provocato una nuova tragedia umanitaria per l’alto numero di sfollati. I dati forniti dall’autorità filippina (il National Disaster Coordinating Council) riferiscono che ben 479.223 persone hanno dovuto abbandonare le proprie abitazioni a causa della guerra in corso nei villaggi tra l’esercito e guerriglieri ribelli. Le forze armate del governo, in quantità massiccia, attraversano la regione orientale dell’isola di Mindanao a caccia di due comandanti del Milf, Ameril Umbra Kato e Abdullah Macapaar detto Bravo. I due capi guerriglieri hanno entrambi una taglia sulla loro testa di 113mila dollari e sono accusati di istigare gli attacchi contro i soldati, iniziative condotte senza l’appoggio della direzione del Milf. L’organizzazione indipendentista ha preso le distanze dalle aggressioni, ma ha attribuito la responsabilità verso il potere di Manila, poiché le ostilità sono state definite l’effetto della frustrazione e della rabbia per i continui ritardi nelle trattative da parte del governo.

Il conflitto infatti si é infiammato a partire dal 4 Agosto, quando la Corte Suprema delle Filippine ha bloccato l’approvazione del “Memorandum of Agreement on Ancestral Domain”, un accordo di pace tra il governo e il movimento indipendentista Milf. Dopo anni di negoziati e con la supervisione del governo Malese, la data per la ratifica del trattato era stata prefissata proprio per il giorno successivo. L’accordo era molto atteso perché prometteva maggiori diritti alla regione dell’ARMM (Autonomous Region in Muslim Mindanao) nel sud del paese. La provincia, già ente speciale autonomo, avrebbe dovuto ottenere maggiori poteri giuridici, economici e fiscali, la gestione delle risorse naturali e un ampliamento dei confini. Era prevista infatti l’annessione di 712 villaggi, una mediazione tra i 613 inizialmente offerti dal governo e i 1000 richiesti.

Come è esplicitamente espresso nel titolo, l’accordo rappresentava le richieste dei musulmani, maggioranza della popolazione nell’area, nei loro “domini ancestrali”. I separatisti rivendicano il governo sulle terre dove nel XIII e XIV secolo sorsero i sultanati di Maguindanao e di Sulu, popolazioni che gli spagnoli chiamarono “mori” poiché erano detti moriscos i musulmani della penisola iberica.

La maggioranza della popolazione nelle Filippine però è cristiana e il potere della chiesa cattolica è molto influente. Di fronte all’accordo che avrebbe legittimato maggiori poteri ai mori le proteste delle diocesi nell’isola di Mindanao sono state forti. Pochi giorni prima del 5 agosto, data designata per la ratifica, i cristiani della regione hanno marciato in migliaia contro l’intesa, accusando il governo di non essere stati consultati e di non aver reso pubbliche le trattative.

L’agenzia cattolica Asianews ha riferito che erano molte le critiche sostenute dal clero filippino, opinioni espresse da mons. Dinualdo Gutierrez, vescovo di Marbel, e da mons. Guillermo Afable, vescovo di Digos. A Zamboanga City il sindaco ha organizzato una protesta con la partecipazione di 3000 persone e l’appoggio dell’arcivescovo locale Romulo Valles. Contrario agli accordi era anche il presidente della Commissione per gli affari pubblici della Conferenza episcopale filippina, mons. Deogracias Iñiguez, critico verso governo perché aveva preso decisioni che interessano “cristiani e musulmani”.

Le polemiche della chiesa cattolica sono state così influenti che hanno indotto la presidente Arroyo a frenare il trattato, presto bloccato dalla Corte Suprema con un “ordinanza di sospensione temporanea”. L’interruzione degli accordi è stata accolta con favore dal clero, opinione espressa chiaramente da Dinualdo Gutierrez, vescovo di Marbel, il quale ha sottolineato che è stata presa la “giusta decisione”. Anche Radio Vaticana ha riportato tale parere intitolando così la notizia dell’evento: “soddisfazione dei vescovi per il blocco degli accordi tra governo e Fronte islamico Moro”.

Non tutti però sono stati contenti della mancata ratifica del trattato per l’autonomia. Nello stesso giorno gruppi di ribelli del Milf hanno diretto attacchi contro i soldati governativi. Senza obbedire all’ordine del cessate il fuoco imposto dai vertici dell’organizzazione, molti guerriglieri considerano valido l’accordo, benché non sia stato firmato. Ritengono che il blocco del trattato sia solo un problema interno al governo e quindi reputano legittima l’annessione di quei 712 villaggi concordati nel piano di ampliamento dei confini. Frustrati dopo anni di promesse deluse del governo, questi gruppi di ribelli indipendentisti hanno scelto di distaccarsi dalla dirigenza del Milf e di abbandonare la sua diplomazia. Noncuranti della tregua imposta dunque, dopo il 5 Agosto si sono posizionati nei territori e nei villaggi che erano stati inclusi nel piano di annessione della “Regione autonoma musulmana di Mindanao”.

Tale mossa ha provocato la dura reazione delle forze armate di Manila: il 10 e 11 agosto il governo ha lanciato una grande offensiva nella regione con l'impiego di 3000 militari, bombardamenti, raid aerei e elicotteri. Quegli attacchi, lanciati per “liberare” i villaggi occupati dai ribelli, hanno causato la prima ondata di sfollati. Ben 160mila persone sono dovute fuggire dalle loro case. Dopo dieci giorni di combattimenti le fonti militari hanno riportato il numero delle vittime, 110 guerriglieri, 60 civili e 17 militari, e gli scontri nei villaggi proseguono.

Il generale dell’esercito Cardozo Luna, impegnato sul campo di Mindanao, ha spiegato però che le operazioni non sono dirette contro il Milf in generale, ma mirano contro i gruppi capeggiati da Ameril Umbra Kato e Abdullah Macapaar, i due comandanti “disobbedienti”. Anche il portavoce dell’Milf, Eid Kabalu, ha confermato che è stato perso il controllo su quegli uomini, membri di quei 12mila guerriglieri di cui dispone l’organizzazione. Di fronte l’avanzare dell’esercito però sia Kabalu sia Al Haj Murad, altra figura influente del Milf, hanno denunciato l’uso indiscriminato della forza da parte del governo, azioni violente condotte con il pretesto di catturare i comandanti insubordinati.

Tale situazione rende il conflitto difficile da gestire e le parole del generale Alexander Yano lasciano intravedere la linea dura: “Se loro non possono controllarli, il governo certamente li fermerà”. Nuovi scontri sono dunque imminenti. Anche il segretario alla difesa, Gilberto Teodoro, ha riferito che l’offensiva non finirà fino a quando i separatisti non consegneranno i due capi. Le sue parole inoltre non fanno sperare in qualche risoluzione diplomatica: "la dirigenza del Milf soffre di gravi problemi di credibilità e dovrà rendere conto delle atrocità commesse dai loro combattenti”.

La reporter di Al Jazeera inviata nelle Filippine, Marga Ortigas, riferisce che la situazione tende ad infiammarsi. Nella sua analisi spiega che l'irrequietezza dei combattenti del Milf probabilmente è il riflesso di una lotta di potere all'interno dell’organizzazione. Molti separatisti infatti sono stanchi della lentezza e della moderazione del gruppo di comando, e pertanto aumentano i sostenitori delle idee radicali: combattere per la creazione di una patria musulmana. Proprio questa è la posizione di Abdullah Macapaar detto Bravo rilasciata in un recente comunicato: "Se il governo ha dichiarato guerra su tutti i fronti anche noi risponderemo di conseguenza. Siamo pronti a uccidere e ad essere uccisi. La pazienza dei musulmani è terminata". Un comandate del Milf inoltre ha riferito alla reporter che ora “in centinaia sono disposti ad appoggiare il comandante Bravo”.

Dopo un mese di scontri il 3 settembre la speranza di una risoluzione del conflitto si è ulteriormente allontanata. La presidente Arroyo ha dichiarato che il trattato di pace, sospeso temporaneamente dalla Corte Suprema, è definitivamente concluso. Non sarà più firmato dal governo “alla luce dei recenti sanguinosi scontri commessi da gruppi violenti senza legge”. Decisione, questa di Manila, che sicuramente non calmerà gli animi nella provincia di Mindanao.

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