di Valentina Laviola

Il test per diventare cittadini è una realtà, ora anche in Germania. In vigore dal 1 settembre, costa circa 25 € per ogni tentativo ed è obbligatorio per tutti coloro che aspirano al passaporto tedesco. L’annuncio ufficiale, in un comunicato dell’ufficio stampa governativo, precisa che, oltre alle preesistenti prova di lingua e giuramento alla Costituzione, ci sarà un questionario scritto: è composto da 33 domande a risposta multipla, che verranno scelte di volta in volta fra le 310 già preparate dall’università Humboldt di Berlino e pubblicate affinché i candidati possano prepararsi. Gli argomenti toccano la storia, la cultura e il sistema politico tedesco, ma anche quali simboli campeggiano su stemmi ed araldi dello Stato. Sono necessarie almeno 17 risposte corrette su 33 per superare l’esame, ma c’è già chi avanza forti dubbi: sembra che alcune domande abbiano risposte multiple completamente errate e che altre siano del tutto irrilevanti. Inesattezze che sono state parzialmente ammesse da una portavoce del dipartimento degli Interni di Berlino, la quale ha dichiarato che di certo alcuni quesiti andranno rielaborati, ma che nel complesso il test è valido. Al di là dei particolari, il fronte degli scettici è ben nutrito ed annovera fra le sue fila le organizzazioni che si battono per i diritti degli immigrati, alcuni partiti d’opposizione e diversi sindacati. Sono preoccupati dal fatto che una misura del genere non faciliti l’ingresso di lavoratori di cui la Germania ha bisogno. Secondo il governo, invece, si tratta di un mezzo volto a cercare una migliore integrazione in un Paese che annovera circa 6.7 milioni di stranieri, una percentuale sensibile dei quali è rappresentata da turchi. Proprio all’interno di questa comunità alcuni gruppi d’immigrati hanno protestato per l’eccessiva difficoltà del test che, secondo loro, nemmeno un tedesco riuscirebbe a superare. Un portavoce ha dichiarato che si è voluta così creare una barriera per contrastare le persone che vogliono diventare cittadini tedeschi. Prove simili erano già previste dal 2006 in altri Länder: un esame orale nel Baden-Wuerttemberg ed un test scritto in Assia.

Test simili a quello introdotto in Germania esistono già in diversi altri Paesi: in Gran Bretagna, oltre alla conoscenza delle istituzioni britanniche, della democrazia parlamentare e della storia del Regno Unito, è verificata la conoscenza della legge (diritti e doveri del cittadino), del mercato del lavoro, delle fonti d’informazione, addirittura la capacità di districarsi fra le esigenze quotidiane quali le bollette o la ricerca di una casa. Tuttavia, l’esame di lingua è ridotto ai rudimenti per chi abbia una conoscenza solo di base ed abbonato del tutto agli over 65. Sembra che neanche i sudditi di Elisabetta II, però, abbiano fatto una bella figura riguardo all’esame: è stato condotto un piccolo esperimento, sottoponendo il test a 100 inglesi, nati e cresciuti su suolo britannico, in un pub di Londra. Nessuno di loro lo ha superato.

In Francia l’indirizzo è verso “un’immigrazione mirata e selezionata”, concetto introdotto da Nicolas Sarkozy quand’era ancora ministro dell’Interno: l’obiettivo sarebbe far aumentare sensibilmente la percentuale d’ingressi dovuti ad incarichi professionali, frenando invece drasticamente quella dei ricongiungimenti familiari, anche utilizzando metodi estremamente discussi quali il test del DNA come verifica della reale parentela.

Negli Stati Uniti, da un lato le cose sono più facili, dal momento che chi nasce sul loro territorio è automaticamente cittadino americano, a prescindere dalla nazionalità dei suoi genitori (contrariamente a quanto avviene in Europa); dall’altro, per ottenere altrimenti la cittadinanza, è necessario, oltre ad una fedina penale pulita, “possedere buoni requisiti morali” (definizione alquanto discutibile, della quale sarebbe interessante conoscere i parametri!). Anche qui c’è un test, con domande che sono state rimodernizzate proprio sotto l’amministrazione Bush.

In Australia, nel 2006, il premier conservatore Howard ha introdotto delle norme in un Paese che - ricordiamolo - si compone per il 20% di persone nate all’estero. Occorre superare il solito test e firmare una dichiarazione d’impegno verso i valori e il modo di vivere dell’Australia (libertà di religione, parità di diritti fra uomo e donna e rispetto per le libertà individuali).

Insomma, la musica si assomiglia un po’ ovunque, tranne forse per gli anni di residenza nel Paese cui si aspira appartenere richiesti come requisito. Generalizzando, possiamo dire che l’iter nel resto d’Europa e fuori di essa è decisamente più breve rispetto all’Italia, dove la cittadinanza è concessa dopo 10 lunghi anni.

E pensare che c’é chi ha pensato che fosse troppo facile anche così, un mero procedimento burocratico, come si evince leggendo la proposta di legge presentata alla Camera il 17 ottobre 2003. Nella suddetta si esprime la necessità di imporre un test con domande su cultura generale, storia, tradizioni, ordinamento istituzionale della Repubblica, ma soprattutto che valuti la conoscenza della lingua italiana e locale, in base alla regione di residenza(!). “Il test non è da considerare come un ulteriore aggravio delle procedure per l’ottenimento della cittadinanza, ma come un invito all’immigrato ad approfondire la conoscenza del nostro Paese”.

Superfluo precisare che i firmatari del documento appartengono tutti alla Lega Nord, ma è bene ricordare, invece, che questa proposta apparve proprio alla vigilia dell’apertura di An che si diceva favorevole ad accordare il voto amministrativo agli immigrati. Dato il recentissimo appello del leader del PD Veltroni all’attuale Presidente della Camera per riprendere in mano l’argomento, ci attendiamo reazioni simili a quelle di qualche anno fa da coloro che cercano di evitare “ghettizzazioni che possono portare a disagi e, in alcuni casi, a fenomeni di devianza” (nelle parole del senatore Calderoli).


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