di Mario Braconi

Pieni di ansia assistiamo vediamo andare in scena il collasso dei mercati finanziari – perfino i sostenitori più accesi dei guasti della deregolamentazione finanziaria e i critici più irriducibili del sistema capitalistico forse si augurano una ripresa in tempi brevi: nessuno sottovaluta il tremendo lascito che simili eventi finiranno per produrre sull’economia reale. Anche per elaborare il trauma, dunque, cerchiamo di dare una risposta al seguente quesito: come nasce una crisi finanziaria globale? In estrema sintesi, potremmo indicare tre ragioni: la bolla speculativa del mercato immobiliare, il crescente peso degli intermediari non bancari (e dunque non regolamentati) nel sistema finanziario e l’abuso di strumenti finanziari innovativi, tra cui i derivati di credito. La dinamica dei prezzi delle case ha spinto l’indebitamento delle famiglie americane oltre ogni livello di ragionevolezza, incentivando nel contempo l’assunzione di rischi non sostenibili tanto per il prestatore che per il prenditore; il caso più eclatante è quello dei mutui subprime, cioè la concessione di credito a soggetti con una “storia creditizia” costellata di ritardati pagamenti, pignoramenti quando non di bancarotta. Il sistema, che si basa su una visione tattica dell’economia, assomiglia ad un motore potentissimo, in grado di erogare il doppio dei chilowattora rispetto ad un normale propulsore, ma destinato a fondere dopo poche ore di vita.

I mutui concessi ai cittadini, anziché restare nei bilanci delle banche, vengono “impacchettati” in prodotti finanziari innovativi, tra cui le cosiddette “Mortgage-Backed Securities” (MBS), cioè titoli il cui pagamento d’interessi e il cui rimborso del capitale deriva dal flusso di cassa di una massa di mutui sottostanti. Ma è difficile porre un argine alla creatività funambolica degli ingegneri finanziari, i quali circa venti anni fa hanno dato vita ai CDO, o “Collateralized Debt Obligation”, che potremmo molto imperfettamente tradurre con “obbligazione finanziaria garantita”: si tratta di società “veicolo”, anche esse non soggette ad alcuna regolamentazione, che impiegano le risorse rivenienti dal collocamento delle proprie azioni o dall’emissione di titoli obbligazionari per acquistare MBS e altri strumenti finanziari strutturati.

I CDO sono prodotti molto complessi e le agenzie di rating hanno ideato una metodologia per la loro valutazione a dir poco miracolosa: tramite l’esoterica procedura del “tranching”, una parte del loro attivo si guadagna magicamente l’ambìto AAA, cosa che non manca di stupire chi ingenuamente continua a pensare che, in fin dei conti, la “materia prima” dei CDO sono crediti rischiosi. Dato che ad un rendimento superiore alle condizioni di mercato associano un eccellente merito di credito ufficiale, questi strumenti sono molto appetibili, al punto che sui mercati c’è chi si indebita per poterne acquistare sempre di più.

Vi sono poi operatori (compagnie assicurative, banche e altri professionisti non regolamentati) che per lavoro si assumono il rischio di fallimento degli emittenti di titoli (tra cui i CDO) “vendendo” CDS (Credit Default Swap, ovvero “contratti di scambio del rischio di fallimento”). In pratica, se Tizio compra un CDS sul rischio Caio, Tizio pagherà a Sempronio un premio (espresso in centesimi) a fronte del quale Sempronio, in caso di fallimento di Caio, pagherà a Tizio il capitale assicurato.

I CDS sono pericolosi per almeno due ragioni: non sono regolamentati e sono negoziabili. Come ricorda un operatore, “un CDS può passare di mano anche quindici o venti volte. Quando si verifica il fallimento del credito sottostante, la parte assicurata non è nemmeno in grado di dire chi si farà carico del default e se tale soggetto sia possa effettivamente farlo”.

In ogni caso, chi ha “scritto” (venduto) CDS su società poi fallite deve pagare alla controparte tutto il credito non recuperabile. Il prossimo 21 ottobre è prevista la scadenza dei CDS sul nome Lehman Brothers: si stima che in quel giorno, i “venditori di protezione” dovranno versare ai compratori una somma compresa tra i 350 e i 400 miliardi di dollari. Se i venditori di CDS sono banche, per affrontare questo impegno potranno approfittare delle numerose misure di sostegno messe in atto dalle banche centrali e dai governi dei vari paesi. Agli intermediari non bancari, al contrario, non resta altra strada che far cassa scaricando sul mercato i loro titoli azionari: ecco spiegata la débacle delle Borse di questi giorni.

A.I.G. (American International Group), la più grande compagnia assicurativa al mondo, recentemente salvata dal fallimento con un “prestito” di 85 miliardi erogato dalla Fed, ha venduto CDS su portafogli di mutui “non performanti” ed altre attività rischiose per un importo di 441 miliardi di dollari. Secondo il New York Times, tre quarti di quei CDS sono finiti nei portafogli di banche europee, che li acquistavano per eludere gli obblighi di riserva previsti dalle norme europee. “Pensate che assurdità: miliardi di dollari di derivati non regolamentati, che stavano per far saltare la più grande compagnia assicurativa del mondo, sono stati comprati da banche per aggirare i loro requisiti patrimoniali predisposti proprio per tenere sotto controllo il rischio”. Se le banche hanno venduto il loro rischio a soggetti che a loro volta sono in fallimento (come A.I.G.) le loro possibilità di recuperare quel credito sono molto scarse: il che, forse, può spiegare l’accanirsi della vendite sul comparto bancario.

Alla base di tutto queste complesse sovrastrutture, comunque, resta il mutuatario: quando questi smette di pagare le rate, il giocattolo si sfascia e sono guai per tutti: per chi ha confezionato pacchetti di mutui (Fannie Mae e Freddy Mac), per chi ha usato massicciamente la leva finanziaria investendo in prodotti strutturati (Bear Sterns e Lehman) e per chi ha venduto CDS come se fossero caramelle (A.I.G.). Le banche sono diffidenti a prestarsi il denaro reciprocamente, i tassi a breve schizzano verso l’alto, arriva la stretta creditizia: aziende e privati non accedono più al credito bancario o, nei casi più fortunati, vi accedono a costi talmente elevati da ipotecare il proprio futuro. La speculazione finanziaria è pronta ad infettare anche l’economia reale.

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