di Luca Mazzucato

NEW YORK. Alla vigilia dell'ultimo dibattito tra McCain e Obama, il gradimento del senatore repubblicano sprofonda nei sondaggi verso abissi dai quali sarà assai difficile risalire: l'ultimo sondaggio New York Times/CBS condotto lo scorso weekend mostra Obama in strabiliante vantaggio - 53% contro 39% - mentre solo dieci giorni prima il margine era 48% contro 45%. Tra gli elettori registrati come indipendenti (è necessario registrarsi volontariamente per poter votare), gli indecisi stanno migrando stabilmente verso Obama, soprattutto nei cosiddetti swing states, gli stati in bilico come Florida, Ohio e Colorado, che determineranno il risultato di Novembre. Il tracollo di McCain è dovuto ai suoi continui attacchi personali contro Obama in un momento di grave crisi economica, tattica che sta portando McCain in un vicolo cieco (o come dicono da queste parti, un “Comma 22”). Ma anche alla pessima performance della sua running mate Sarah Palin, coinvolta a sorpresa in una vicenda di abuso di potere nel suo stato dell'Alaska. Con Wall Street in caduta libera, se il tema all'ordine del giorno continua ad essere l'economia, invece del terrorismo o della sicurezza, McCain non ha alcuna speranza di recuperare la voragine di quattordici punti che lo separa da Obama. Lo staff di McCain si è ormai convertito agli insegnamenti di Karl Rove, che grazie alla campagna di fango contro McCain stesso nelle primarie 2000 e contro John Kerry nelle elezioni 2004, portò due volte alla Casa Bianca George W. Bush. Le tv sono state inondate da messaggi “approvati da John McCain”, in cui si declamano le irrilevanti frequentazioni di Obama con Bill Ayers, terrorista di sinistra negli anni '70. Ma questa volta a sorpresa, la base ultra-conservatrice repubblicana ha reagito così violentemente allo stimolo da costringere uno spaventato McCain a fare un passo indietro arrivando in un primo momento a difendere il suo avversario nei comizi, quando attivisti esagitati davano del “terrorista” a Obama o si chiedevano se fosse arabo o musulmano.

Dopo qualche giorno, disperato dall'ampliamento della forbice nei sondaggi, McCain ha cambiato nuovamente idea, arrivando a sostenere di fronte ad una folla eccitata che “Obama è il più grosso rischio che l'America abbia mai considerato.” Qualcuno tra la folla si è infine spinto oltre urlando “uccidilo uccidilo!”, episodio stigmatizzato dalla stampa, che ha rievocato pagine tra le più buie della storia americana, quelle degli assassini politici degli anni sessanta e settanta. Ma non c'è limite alle volgarità propinate dallo staff di McCain. L'ultima calunnia rivolta a Obama è la grave accusa di frode elettorale (forse suonerà familiare al pubblico italiano), che il senatore democratico ha prontamente smascherato come del tutto infondata e pretestuosa.

Come se non bastasse, la candidata repubblicana alla vicepresidenza, la governatrice dell'Alaska Sarah Palin, sta creando non pochi grattacapi allo staff di McCain a causa del cosiddetto Troopergate. Un rapporto redatto da una commissione d'inchiesta (a maggioranza repubblicana) ha riscontrato un caso di abuso di potere a carico della governatrice, che avrebbe fatto pressioni sui suoi subordinati affinché licenziassero il suo ex-cognato, per via di una relazione burrascosa che questi intratteneva con la sorella della Palin. Questo intreccio di affari personali e responsabilità pubbliche ha definitivamente screditato gli slogan moralizzatori sbandierati da Sarah Palin, la cui parola d'ordine finora era stata “mettere fine alla corruzione di Washington e di Wall Street” e all'uso della politica per il proprio tornaconto personale.

John McCain si trova dunque in un vicolo cieco. Se insisterà con il fango e le insinuazioni di terrorismo e frode, come gli chiede la base repubblicana, si alienerà i voti degli indipendenti, che in questo periodo di pesante recessione vogliono sentire ricette per salvare i propri fondi pensione e il mutuo sulla casa. Se al contrario deciderà di tornare, fuori tempo massimo, ad essere il “maverick” che molti a destra ma anche tra i liberal stimavano, presterà il fianco alle accuse democratiche di schizofrenia e si alienerà lo zoccolo duro repubblicano, proprio ora che l' “effetto Palin” è svanito nel Troopergate. A due settimane dalle elezioni, sembra difficile che riesca a reinventare una nuova campagna elettorale, rischiando di essere ridicolizzato non più solo dai comici (l'imitazione di Sarah Palin al Saturday Night Live è già un classico) ma persino dai media mainstream, che cominciano a trattarlo con malcelata compassione.

Giorno dopo giorno, il fronte della defezione si allarga anche all'interno del GOP. Alcune deputate repubblicane, che non hanno digerito la scelta di Sarah Palin, hanno dichiarato che non voteranno per il proprio partito a meno che non sostituisca la governatrice dell'Alaska. Deputati e senatori conservatori si stanno smarcando dal ticket McCain-Palin, per timore che il tracollo repubblicano e la diffusa ostilità per l'amministrazione Bush (quattro americani su cinque non si fidano più del presidente) metta in pericolo la loro rielezione. La crisi delle borse e l'impopolare salvataggio da settecentomiliardi di dollari, sostenuto da McCain, stanno avendo l'effetto di un “si salvi chi può” tra le file del Grand Old Party, che sta cercando di scrollarsi di dosso ciò che resta delle truppe neocon. Come osserva il comico Stephen Colbert, McCain è un POW: non tanto prisoner of war, quanto prisoner of W.

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