di Mariavittoria Orsolato

Sono ormai 10 giorni che la Grecia vive in una situazione di guerriglia urbana: cassonetti dati alle fiamme, saracinesche divelte, strade devastate. I danni ammontano a 200 milioni di Euro, solo ad Atene sono stati 335 i negozi danneggiati e sono già 400 le persone arrestate tra la penisola e le isole di Corfù, Creta e Rodi. Numeri che non paiono congrui di fronte ad un Paese che rientra nella civile e progressista Unione Europea ma che di fatto sono un campanello di allarme per una nazione che si è liberata dal giogo della dittatura solo 34 anni fa. In questi giorni abbiamo sentito e visto molto degli scontri che una parte della società civile greca ha ingaggiato contro i cosiddetti simboli del potere costituito (quindi polizia, banche, esercizi commerciali). Abbiamo saputo che la miccia scatenante di questo pandemonio è stata l’uccisione di un ragazzo di 15 anni (Alexis Grigoropulos) per mano di un poliziotto trentasettenne con la fama di “Rambo” (Epaminonda Korkoneas) nel quartiere Exarchia di Atene, lo storico quartiere del Politecnico e della sinistra intellettuale; poco però sappiamo di quelle che sono le concause di questa sollevazione popolare. Certo c’è lo spettro della crisi economica che incombe, ma dietro il vil denaro si nascondono risvolti politici e sociali di non poca importanza, ma andiamo per ordine. Dal 1967 al 1974 la penisola ellenica è stata governata dalla cosiddetta “dittatura dei colonnelli”, militari fascisti che presero il potere con un colpo di stato. La resistenza si organizzò immediatamente ma riuscì a minare il regime in modo decisivo solo a partire dal novembre del 1973 quando, proprio al Politecnico di Atene, cominciò una battaglia che alla fine contò 24 morti tra gli studenti. Da allora si sono succeduti governi alterni che hanno amministrato alla meno peggio una terra che essenzialmente campa di turismo e commercio marittimo, ultimo di questi amministratori Costas Karamanlis leader di Nuova Democrazia, partito della destra liberale già confluito nel Partito Popolare Europeo. In carica dal 2004, Karamanlis non si è certo distinto per scaltrezza o parsimonia governativa: si è fatto intercettare più volte in conversazioni compromettenti dalla Vodafone, ha svenduto a prezzo stracciato due dei più importanti porti greci - Salonicco e il Pireo - ai cinesi, medita tagli colossali all’educazione pubblica e firma accordi scellerati con l’Europa orientale in materie di energia e finanza privata. Decisamente un curriculum degno del nostro miglior Palazzo Chigi.

Il malcontento verso il governo, l’attualissima crisi economica e il crescente divario sociale, connessi all’atavica antipatia per la divisa, sono quindi stati gli altri detonatori che hanno fatto esplodere la rivolta. Una rivolta che è sì partita dai giovani delle università e dei licei, ma che in breve ha abbracciato altri settori della popolazione - come i sempre più numerosi disoccupati o i precari - inglobando, c’è da dire purtroppo, anche le frange più radicali del sottobosco antagonista. La situazione è degenerata, un po’ in tutta la nazione, dopo la morte di Alexis, che peraltro non faceva parte del movimento, ma si trovava lì per puro caso. Le scene di guerriglia urbana e le cariche della polizia non si sono fermate nemmeno in occasione del funerale del giovane e si sono succedute nella sostanziale immobilità del governo che finora, oltre a tentare di contenere la protesta, ha semplicemente arrestato il poliziotto colpevole dell’omicidio del quindicenne ed ha promesso aiuti economici e sgravi fiscali ai commercianti colpiti dagli scontri.

Il riflesso è limpido nei sondaggi che ieri sono stati pubblicati dal quotidiano greco Ethnos: l’83,3% degli intervistati crede che la piazza sia stata gestita male, il 68% disapprova apertamente l’operato del governo e per più della metà del campione - il 60% - le rivolte avvenute in questi giorni sono vere e proprie sollevazioni sociali e non episodi isolati di violenza da parte di pochi manifestanti. L’immagine delle banlieu parigine nel 2006 non tarda ad affacciarsi alla mente, ma c’è qualcosa di profondamente diverso tra i giovani delle seconde generazioni di immigrati francesi e i ragazzi che stanno ingaggiando una vera e propria lotta in Grecia. Nelle periferie francesi c’erano solo migranti emarginati ed esasperati per la loro invisibilità, nelle piazze greche c’è un’intera generazione che si mobilita sotto una chiara prospettiva politica di rifiuto dello status quo attuale.

Certo un denominatore comune esiste: tutto è partito dai giovani, da quella generazione che per la prima volta dopo la seconda guerra mondiale, non vedrà migliorare i risultati dei propri genitori ma anzi andrà incontro ad un progressivo depauperamento economico e sociale. Giovani in una società gerontoctratica che ignora i giovani, cresciuti in repubbliche fondate sulla corruzione e l’autoreferenzialità invece che sul lavoro. Tutto rema affinché i ragazzi a smettano di immaginare il futuro e comincino a voler distruggere il presente che li ha resi e che li rende così frustrati. Lo abbiamo visto in Francia, in Grecia, magari un giorno lo vedremo anche in Italia. Perché è un dato di fatto che se la precarietà diventa esistenziale, la violenza è l’unico modo per renderla visibile agli occhi di tutti.

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