di Michele Paris

Con la presa di posizione del procuratore generale Jerry Brown, si fa ancora più acceso in questi giorni negli Stati Uniti il dibattito intorno alla legalizzazione dei matrimoni tra persone dello stesso sesso in California. L’ex governatore democratico di questo stato ha definito incostituzionale la risoluzione approvata lo scorso 4 novembre tramite referendum popolare dagli elettori, i quali hanno infatti accolto con una leggera maggioranza la cosiddetta “Proposition 8”, un quesito presentato dall’organizzazione ProtectMarriage.com volto a ribaltare una sentenza precedente della Corte Suprema dello stato per emendare la Costituzione e restringere la definizione di matrimonio a “un’unione tra un uomo e una donna”. La presa di posizione del numero uno del Dipartimento di Giustizia californiano è giunta nel corso della sua audizione presso la Corte Suprema, la quale tra pochi mesi sarà chiamata ad esprimersi sulla misura che in concomitanza con l’elezione alla Casa Bianca di Barack Obama ha fatto la gioia della destra religiosa americana. “La Proposta n. 8 deve essere resa nulla, poiché nessun emendamento può essere utilizzato per cancellare i diritti fondamentali garantiti dalla Costituzione in assenza di una giustificazione motivata da eventi straordinari”, ha significativamente spiegato il procuratore Brown. I sostenitori della “Proposition 8” - rappresentati di fronte alla Corte Suprema dall’ex inquisitore di Bill Clinton per lo scandalo Whitewater e l’affaire Lewinsky, Kenneth Starr - si sono invece spinti oltre, chiedendo al Supremo Tribunale dello stato l’annullamento dei circa 18.000 matrimoni tra persone dello stesso sesso celebrati nei sei mesi precedenti al voto, nonostante in essa non vi fosse alcun accenno di un effetto retroattivo.

Lo scorso mese di maggio la California era diventata il secondo stato americano - dopo il Massachusetts - a consentire sul proprio territorio matrimoni tra gay e lesbiche. Secondo il parere della Corte Suprema dello stato, il matrimonio va considerato come un diritto fondamentale garantito dalla Costituzione perciò i due ostacoli alle unioni tra persone dello stesso sesso, stabiliti tramite una legge del 1977 e un’altra iniziativa referendaria del 2000 (“Proposition 22”), risultano essere appunto incostituzionali. L’illuminata deliberazione della Corte aveva contemporaneamente definito “costituzionalmente sospetta” qualsiasi legge discriminatoria sulla base dell’orientamento sessuale dei cittadini.

Oltre a quelli della California, anche gli elettori di altri due stati - Florida e Arizona, dove al contrario del più popoloso stato americano non sono riconosciute nemmeno le unioni civili tra persone dello stesso sesso - si erano opposti all’introduzione di matrimoni di questo genere. In Arkansas inoltre, l’ala più conservatrice della società civile aveva incassato un ulteriore successo con l’introduzione di una misura tesa a vietare l’adozione i bambini per gay e lesbiche. L’esito del referendum californiano aveva sollevato, e sta tuttora sollevando, una clamorosa ondata di proteste tra i sostenitori dell’espansione dei diritti L.G.B.T., concretizzatesi in numerose manifestazioni pubbliche, spesso andate in scena presso le sedi di quelle organizzazioni o sette religiose che maggiormente si sono battute per il ribaltamento della sentenza della Corte Suprema.

Il multiforme universo delle chiese evangeliche più reazionarie, la Chiesa Cattolica e, soprattutto, quella Mormone (“The Church of Jesus Christ of Latter-day Saints”), di concerto con una selva di associazioni conservatrici, avevano infatti messo in scena una campagna elettorale condotta con toni apocalittici, prospettando agli elettori un futuro drammatico per la libertà religiosa una volta riconosciuta definitivamente la possibilità di celebrare matrimoni tra persone dello stesso sesso. Con un’ondata di spot elettorali e il supporto di migliaia di volontari, i sostenitori della “Proposition 8” si erano attivati per diffondere minacce palesemente false e infondate, come ad esempio, in caso di sconfitta alle urne della proposta da loro avanzata, la perdita delle esenzioni fiscali di cui le chiese godono se si fossero rifiutate di celebrare un matrimonio gay oppure il carcere per i pastori che avrebbero predicato contro l’omosessualità.

Contro la “Proposition 8” si erano schierati, tra gli altri, i gruppi in difesa dei diritti civili, alcuni leader religiosi progressisti, la maggior parte delle associazioni ebraiche, i più importanti media californiani, molte personalità del mondo dello spettacolo e autorevoli personaggi politici, soprattutto democratici (il vice-presidente eletto Joe Biden e la speaker della Camera dei Rappresentanti Nancy Pelosi su tutti). Il governatore della California Arnold Schwarzenegger e Barack Obama avevano espresso invece un’opinione leggermente più sfumata. Entrambi contrari ai matrimoni tra persone dello stesso sesso, essi si erano detti tuttavia contrari anche a qualsiasi iniziativa diretta al sovvertimento del parere della Corte Suprema e di conseguenza ad una modifica della Costituzione su questo tema.

Proprio l’elezione del primo presidente afroamericano della storia americana avrebbe influenzato, secondo alcuni, il risultato negativo del referendum. Non tanto per il limitato appoggio fornito da Obama al fronte del “NO”, ma per la mobilitazione in massa dell’elettorato di colore in California, tradizionalmente più conservatore sui temi sociali. In seguito al passaggio della “Proposition 8” sono stati presentati alla Corte Suprema dello stato una serie di ricorsi nel tentativo di bloccarne gli effetti. Il tribunale ha alla fine accettato di deliberare nuovamente in merito alla questione pur negando una moratoria sul divieto di celebrare altri matrimoni gay. Il parere definitivo della Corte Suprema è atteso attorno alla metà del 2009.

Nonostante la destra religiosa americana avesse continuato fin dall’inizio a manifestare il proprio timore per una possibile dissoluzione della famiglia costituita secondo i canoni tradizionali, a poco meno di un mese di distanza dal voto in California, anche la Corte Suprema del Connecticut deliberava in maniera favorevole ai matrimoni tra persone dello stesso sesso. In precedenza – a fine maggio – il governatore di New York David Paterson aveva invece diffuso una direttiva a tutte le agenzie interessate nel suo stato per invitarle a fare in modo di riconoscere sul proprio territorio i matrimoni omosessuali celebrati da altre giurisdizioni, una misura già in vigore nel Rhode Island.

Allo stato attuale delle cose, gli USA a livello federale non riconoscono il matrimonio tra persone dello stesso sesso – secondo quanto stabilito dal “Defense of Marriage Act” – anche se esso è considerato legale in due stati – Massachussets e Connecticut appunto. Inoltre, una decina di stati contemplano una qualche forma di unione civile (“Civil Union” o “Domestic Partnership”) – California, Connecticut, District of Columbia, Hawaii, Maine, Maryland, New Hampshire, New Jersey, Oregon, Vermont e Washington –, mentre in tutti gli altri sono in vigore divieti espliciti. In tutto il mondo, sono cinque i paesi che prevedono la possibilità di celebrare matrimoni omosessuali – Belgio, Canada, Olanda, Spagna e Sud Africa – con l’aggiunta della Norvegia a partire dal 1° gennaio 2009. Francia e Israele riconoscono invece le unioni celebrate in altri paesi.

Sarà proprio in California in ogni caso che la battaglia di civiltà per il conseguimento di uguali diritti costituzionali per L.G.B.T. vivrà il prossimo anno uno dei momenti fondamentali della propria storia iniziata simbolicamente nel giugno del 1969 allo Stonewall Inn di New York City. Non solo per la profonda influenza esercitata storicamente dalla Corte Suprema di questo stato nel fissare fondamentali principi legati al progresso delle libertà civili o all’integrazione razziale, ma anche per ciò che la California stessa rappresenta tuttora nell’immaginario collettivo americano e di tutto il pianeta. Nonostante questo stato sia attraversato da profondi cambiamenti nella propria composizione sociale – tra l’altro con una sempre più folta comunità ispanica, in genere di tendenze conservatrici sulle questioni sociali – e i tempi della rivolta studentesca siano da tempo tramontati, il suo esempio e il suo contributo al progresso della società civile sono probabilmente ancora in grado di determinare l’evoluzione dei fatti al di fuori dei propri confini.

Ciò per lo meno è quello che ci si augura e che si augurano gli attivisti dei diritti degli omosessuali, i quali peraltro in questi giorni hanno dovuto incassare un duro colpo dall’annuncio fatto da parte di Barack Obama, deciso inspiegabilmente ad invitare alla propria cerimonia di insediamento alla Casa Bianca il prossimo 20 gennaio il discusso pastore evangelico Rick Warren, anch’egli californiano, nonché irriducibile antiaborista e acceso oppositore dei matrimoni gay.

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