Ed ecco che ai “titoli” seguono i commenti che rivelano una situazione generale tormentata da conflitti e incertezze con all’orizzonte una prossima rivoluzione economico-industriale. La quale, fanno notare gli economisti di Mosca prodighi di analisi dettagliate, potrebbe essere all’origine di un cambiamento capace di portare il drammatico tema dell’energia al cuore del nuovo capitalismo mondiale. E così, sulla base di quello che scrivono e dicono esperti e manager di una Russia sempre più al centro dell’attenzione, vediamo di fare il punto di un percorso che comporta, pur sempre, tempi molto lunghi.

Va in scena Putin che da sempre cavalca le “questioni energetiche” intese come strumenti politici e diplomatici. E’ lui, infatti, che annunciando che “sta finendo l'era delle risorse energetiche a buon mercato, nonostante la crisi”, benedice la nascita di una nuova organizzazione dei Paesi esportatori di gas. dal 2001 riuniti informalmente in un forum che, secondo alcuni osservatori, ricalca l'Opec, anche se tutti i partecipanti hanno escluso l'ipotesi di un cartello. Si sa anche che il quartier generale sarà in Qatar, a Doha, la città che ha battuto per un solo voto San Pietroburgo, candidata dallo stesso Putin con la promessa di una sede con status diplomatico e del pagamento di tutte le spese. Ma la Russia, che è il primo esportatore al mondo di gas e il secondo di petrolio, spera di rifarsi con la nomina del segretario generale del nuovo organismo, che sarà eletto il prossimo anno.

Intanto Gazprom - che è la grande piovra economica con la quale la Russia punta a dominare il mondo dell’economia - conferma l’intenzione di esercitare l'opzione, prevista dagli accordi con Eni, per rilevare la quota del 20% di Gazprom Neft attualmente detenuta dal gruppo italiano. E il vice primo ministro russo, Igor Sechin, manda a dire che “il lavoro per l'opzione con Eni deve essere completato. Gazprom sta portando avanti questo lavoro, non solo su Gazprom Neft” e aggiunge che Gazprom non chiede finanziamenti al governo russo per rilevare la quota. L’opzione va però esercitata entro l’aprile 2009 e il prezzo di acquisto sarebbe di circa 3,7 miliardi di dollari, più i costi inerenti al finanziamento.

Ecco che, comunque vadano gli affari, risulta chiaro che l’arma del Cremlino è sempre più quella del gas e del “ricatto” di ordine economico-commerciale. Di conseguenza suonano più che mai allarmanti le parole di Putin che dichiara ad alta voce che l’era del gas a buon mercato sta per finire. Il messaggio - rivolto in particolare all’Ucraina - rivela che con Kiev è in atto una nuova crisi legata proprio al problema dei prezzi. E se ciò accade proprio nel vivo della nascita di una potenziale Opec del gas, è chiaro che si è ad un alto livello di allarme.

Ora gli esperti della Russia (quelli che dall’alto del quindicesimo piano del grattacielo moscovita del Gasprom tengono d’occhio il mercato mondiale) guardano con estrema attenzione alla nascita del Gas exporting countries Forum (Gecf) che vede l’adesione di 16 produttori che rappresentano Russia, Algeria, Qatar, Venezuela, Indonesia, Nigeria e il Kasachstan in veste di osservatore. Ma oltre a queste “novità” di ordine geoeconomico i russi - da quelli che siedono al Gasprom a quelli che si trovano alla testa del Cremlino - si trovano a dover fare i conti con l’Ucraina, da sempre mina vagante nell’arena post-sovietica. Tutto perché tra Mosca e Kiev è braccio di ferro non tanto, per ora, sulle questioni dell’allargamento della Nato, quanto sul gas.

La Russia rivendica, infatti, il pagamento del debito accumulato dagli ucraini (3 miliardi di dollari a fine 2008) e Kiev fa sapere che non ha fondi sufficienti. Il numero uno della compagnia ucraina “Naftogas”, Dubyna, annuncia - a mò di ricatto - che se il Gazprom taglierà le forniture all’Ucraina, “non saremo in grado di mantenere la pressione al livello richiesto per il transito verso l’Europa”. L’ipotesi che prevale è che a partire dal 1° gennaio la situazione potrebbe precipitare come nel 2006. E proprio per questi motivi il Gazprom (leggi: il Cremlino) informa i clienti dell’Europa sui possibili rischi legati al transito del gas attraverso il territorio dell’Ucraina. L’essenza del problema consiste nel fatto che l’Ucraina, non pagando il suo debito per il gas russo (circa 2 miliardi di dollari) già ricevuto nei mesi di novembre e di dicembre, a partire dal 1 Gennaio 2009 potrebbe registrare il blocco delle forniture russe.

In ragione di ciò tutta la responsabilità del transito del gas russo all’Europa attraverso il territorio ucraino ricadrebbe su Kiev. Ma sia i 14 paesi esportatori di gas che hanno dato vita alla loro nuova organizzazione (una sorta di Opec del gas) che gli uomini del Gazprom-Cremlino, annunciano di assumersi la piena responsabilità per la stabilità globale e la sicurezza energetica. Un’affermazione giustificata dal fatto che in questi paesi è concentrato il 73% di tutte le riserve accertate e il 43% della produzione attuale. Al momento è fatto notare che i paesi membri si scambieranno le informazioni necessarie sulle previsioni di mercato e sui programmi di investimento. Si provvederà, pertanto, a mettere a punto le norme di comportamento fra paesi produttori e paesi di transito ed inoltre saranno varati alcuni programmi comuni per la liquefazione del gas naturale. In questo contesto, ricevendo al Cremlino i partecipanti alla Conferenza dei “padroni del gas”, il presidente Medvedev ha espresso il convincimento che è possibile attendersi sensibili novità nel mercato degli idrocarburi: “Nel momento in cui ci troviamo ad affrontare tutta una serie di problemi, non da noi provocati - ha detto - il benessere dei nostri paesi dipenderà dalla capacità di affrontarli oltre che dal successo di questa strategia”.

E mentre politici ed economisti del Cremlino cercano di districarsi in questa voragine di ordine geoeconomico, si fanno avanti i teorici puri della nuova società russa. Quelli che puntano a ricordare alla Russia di oggi (ma indirettamente anche all’Ovest) che il crollo del socialismo cosiddetto “reale” non deve far dimenticare che anche il modello di sviluppo occidentale vive un momento di grande crisi. Perché sia la versione neoliberista che quella neostatalista del capitalismo hanno prodotto guasti gravissimi nel tessuto economico. E alla Russia di oggi - questa la realtà - non resta che imbracciare l’arma energetica del gas come strumento di difesa. Ed anche di attacco. Tutto, forse, in vista di una nuova Bretton Woods.
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