di Ilvio Pannullo

Dopo aver paventato l’esistenza di un piano da 80 miliardi di euro ed aver sbandierato con fierezza l’essere arrivati primi in una gara di cui nessuno sa comprendere le regole né vedere la fine, il governo italiano, per mezzo del nostro infaticabile premier, ha successivamente corretto il tiro – come spesso accade – affermando di stare pensando, contro la crisi economica, ad un piano di aiuti a vantaggio di “settori strategici” oltre a quello dell’auto: “Noi stiamo facendo la nostra parte”, ha affermato mister B. ricordando i “40 miliardi di euro, di soldi veri” che nei prossimi tre anni “passeranno dalle casse dello stato all'economia reale”. Da 40 miliardi si è poi passati agli attuali 8.5, per apprendere infine, quando il piano dell’Italia è arrivato sul tavolo dell’Ecofin a Bruxelles, che all’appello ci sono solo gli interventi da 2 miliardi per rilanciare auto e consumi, varati venerdì scorso dal governo. Una pagliacciata in pieno stile berlusconiano mentre - secondo i dati che risultano a Bruxelles e che l’Ansa ha anticipato ieri - sono stati persi 130.000 posti di lavoro nell’industria europea e nell’edilizia. Due settori che, nell’ultimo anno, hanno fatto registrare un crollo della produzione pari a 150 miliardi di euro. Quello che appare evidente, alla luce del continua involuzione dell’economia e del sempre crescente peggioramento delle condizioni lavorative, é che da questa crisi uscirà un mondo diverso. Un mondo che oggi non riusciamo neanche ad immaginare. A cambiare radicalmente e necessariamente saranno i rapporti tra capitale e lavoro. Dopo la sconfitta dei regimi comunisti dell’Europa orientale, il capitalismo fu infatti esibito come l’indomabile sistema che avrebbe portato prosperità e democrazia, il sistema che sarebbe prevalso fino alla fine della Storia. La crisi economica attuale è riuscita, tuttavia, nel miracolo di convincere anche alcuni prominenti sostenitori del libero mercato che esiste qualche grave mancanza.

"Quelli tra noi - me incluso - che hanno pensato che l'interesse privato delle istituzioni finanziarie proteggesse le azioni dei risparmiatori, sono in uno stato di attonita incredulità". "I have found a flaw...I have been very distressed by that fact": questa, la testimonianza di Alan Greenspan, governatore della Federal Reserve dal 1987 al 2006 davanti al Congresso Usa. "Ho trovato una falla... Sono stato molto addolorato da questo fatto... Una falla nel modello che io credevo fosse la struttura cruciale che definisce come funziona il mondo" confessa l’ex comandante in capo dell’impero monetarista americano. "In altre parole, lei ha scoperto che la sua visione del mondo, la sua ideologia, non era giusta, non stava funzionando?", chiede Mr. Waxman, membro del Congresso e all'epoca presidente del Committee on Oversight and Government Reform. "Esatto, proprio così - risponde Greenspan - ed é per questo che ne sono stato scioccato, dato che sono andato avanti per 40 anni e oltre con la forte evidenza che stava funzionando eccezionalmente bene".

Ad un osservatore attento basterebbero queste poche parole per comprendere l’enormità della crisi con cui ancora non abbiamo fatto i conti e che presto travolgerà come una valanga l’intero assetto produttivo europeo, cambiandolo per sempre. La verità sta infatti nel comprendere che questa crisi è figlia delle logiche che sono alla base del capitalismo stesso e che dunque, quanto sta accadendo oggi alle economie liberiste di tutto il mondo, non è il risultato di un attacco al sistema dall’esterno, da parte delle forze del lavoro, oramai ridotte alla fame e annichilite dalla loro stessa incapacità di fare fronte comune contro lo strapotere del capitale.

La crisi, iniziata con lo scoppio del mercato immobiliare statunitense, poi peggiorata sempre di più estendendosi a macchia d’olio, colpendo prima le banche d’investimento e poi lo stesso settore assicurativo, è una crisi di fiducia. La fiducia di tutti gli operatori sulla sostenibilità di questo sistema, che si sta drammaticamente avvitando su se stesso ed è destinato a crollare, disintegrandosi in mille pezzi.

In questo scenario fa ridere la mancanza d'azione del governo italiano che, mentre ogni paese europeo stanzia tra gli 80 e i 90 miliardi di euro per far fronte ad una crisi mai vista, ne stanzia solo 8 e risponde picche all'indennità per i disoccupati. Dopotutto - si sosterrà - se morivano di fame prima, perché preoccuparsi di loro adesso? Ovunque si dibatte tra la necessità di salvare le banche o di salvare le imprese, o di salvare entrambe. Nessuno dice che il capitale ha dichiarato guerra al lavoro e che i lavoratori sono merce avariata alla quale non è necessario destinare risorse.

Abituati all’acquiescenza delle masse, ormai stordite da tette, culi e dispute accesissime sull’ultimo rigore concesso all’Inter piuttosto che alla Juventus, i signori del sistema, consci dell’impossibilità di sanare concretamente e definitivamente la rottura nella fiducia concessa al sistema stesso, fanno carte false per drogare il moribondo guadagnando tempo in vista dell’inevitabile bancarotta mondiale.

Già, perché le economie fondate su credito e debito sono per loro natura instabili. Intrappolate tra i cicli di espansione e contrazione, sono anche vulnerabili ai capricci dell'uomo e alle violenze della natura. La rimozione definitiva del sostegno aureo alla carta moneta nel 1971 da parte del presidente Nixon, è stata la fatale ultima pagliuzza che ha fatto crollare il castello di carte dei banchieri. Ma prima che questo castello di carte rovinasse su se stesso, il capitalismo doveva prodursi in un ultimo exploit d’impudica gloria. I 25 anni intercorsi tra il 1982 e il 2007 hanno visto la più prolungata espansione della storia del capitalismo. Doveva, tuttavia, essere anche l'ultima, perché questa espansione era fondata su una quantità di credito mal distribuita e storicamente eccessiva.

La realtà è che in un sistema a riserva frazionaria come quello oggi vigente e santificato dagli accordi di Basilea 2 regolanti l’attività bancaria ed interbancaria, non esiste alcuna copertura per le promesse di pagamento. Non ci sono risparmi e il denaro viene letteralmente creato dal nulla. Il tutto si regge sulla fiducia concessa gratuitamente dalle masse, sulla convinzione che il sistema regga. Vedere i dipendenti della Lehamn Brothers, una delle banche d’investimento più potenti al mondo, uscire dai propri uffici con gli scatoloni in mano ha incrinato per sempre quella fiducia. E’ solo una questione di tempo prima che il castello imploda.

Tempo che sarebbe necessario sfruttare per ridare speranza a tutti quanti da questo sistema hanno ricevuto solo sprangate. E’ giunto il tempo per i lavoratori, per i precari, per gli imprenditori onesti di riaffermare il primato dell’economia reale e del lavoro sulla finanza e su di un sistema bancario marcio sin dentro le ossa. È tempo di spegnere la tv e accendere il cervello, di mettere da parte nani e ballerine e riprendersi quella dignità che ci appartiene in quanto uomini. E’ tempo di svegliarsi.

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