di Eugenio Roscini Vitali

La chiusura era prevista per il prossimo dicembre ma con una decisione non proprio a sorpresa, alla fine dello scorso anno, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha esteso il mandato del Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia (TPIJ) a tutto il 2012; il che significa che all’Aja la giustizia avrà a disposizione altri ventiquattro mesi per far luce sugli efferati crimini commessi in Bosnia tra il 1992 e il 1996. La strategia dell’autodifesa scelta dagli imputati e il pericolo che il processo si trasformi in uno scontro ideologico, nonché il dibattito che ancora divide l’opinione pubblica serba e la latitanza di due tra i principali accusati, sono però fattori per i quali i prossimi due anni potrebbero essere non sufficienti a rendere giustizia ai 100 mila morti e ai 2,2 milioni di profughi che uno dei più sanguinosi e brutali conflitti dei nostri tempi ha causato.

Nelle scorse settimane, oltre alla clandestinità di Ratko Mladic e Goran Hadzic e alla strategia processuale dell’ex leader politico dei serbo-bosniaci, Radovan Karadzic, il TPIJ ha incontrato un altro ostacolo: la liberazione da parte delle autorità britanniche di Ejup Ganic, ex membro musulmano della presidenza della Bosnia-Erzegovina, arrestato all'aeroporto londinese di Heathrow su richiesta preliminare della Serbia e rilasciato tre giorni dopo su ordine dell’Alta Corte britannica. I legali di Ganic, accusato insieme a Stjepan Kljujic e ad altri 17 membri dell’esercito della Repubblica di Bosnia-Erzegovina di aver partecipato al massacro di 42 militari jugoslavi, barbaramente uccisi in un agguato avvenuto tra il 2 e il 3 maggio 1992 lungo la strada Dobrovoljacka, a Sarajevo, sostengono che l’azione legale intrapresa da Belgrado è mossa da motivazioni puramente politiche. Ma la Serbia non sembra voler cedere e il vice premier, nonché Ministro dell’Interno, Ivica Dacic, ha già dichiarato che l’offensiva diplomatica non avrà fine fin quando Ejup Ganic non verrà estradare in Serbia.

Nel 2003 il Tribunale penale dell'Aja aveva già esaminato il fascicolo Ganic, senza comunque trovare elementi di reato o di responsabilità penale sufficienti a procedere ad una incriminazione. Ora le cose sembrerebbero cambiate: il Ministero della Giustizia della Repubblica di Serbia avrebbe infatti inoltrato la domanda per l’estradizione dell'ex leader bosniaco in base all’ampia documentazione raccolta dal Consiglio per i delitti di guerra della Corte suprema di Belgrado, che dal dicembre 2008 indaga sui fatti accaduti a Sarajevo nel 1992.

Secondo i serbi, oltre ad essere uno degli organizzatori dell’assalto in via Dobrovoljacka, Ganic avrebbe fatto parte del comando operativo che in quei giorni ordinò l’attacco contro l’ospedale militare della capitale bosniaca, gestito dalle autorità jugoslave, contro una colonna di ambulanze e contro gli alloggi riservati ai militari dell'Esercito popolare di Jugoslavia; tutto questo mentre Belgrado stava procedendo al ritiro pacifico delle proprie truppe dalla Bosnia-Erzegovina.

All’inizio di marzo la giustizia internazionale ha fatto registrare altri due eventi certamente importanti: l’ennesima sospensione del processo Karadzic e l’arrestato di Veselin Vlahovic, alias Batko, conosciuto anche come “il mostro di Grbvavica”, presunto criminale di guerra accusato di strage e torture, fermato in Spagna nell’ambito di un’inchiesta sulle organizzazioni malavitose provenienti dall’Europa dell’est. A venti mesi dal suo arresto, il “guru” della medicina alternativa, Dragan David Dabic, al secolo Radovan Karadzic, è invece riuscito ad ottenere un nuovo aggiornamento dell’udienza nella quale dovevano comparire i primi testimoni delle violenze perpetrate durante il conflitto balcanico dalle unità paramilitari serbo-bosniache. 

Nel processo appena iniziato, Karadzic usa la stessa tattica di Slobodan Milosevic e dell’ideologo delle pulizie etniche nei Balcani, Vojislav Seselj, anche lui accusato di crimini contro l’umanità. Come loro ha scelto la strada dell’autodifesa, garantita dal Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici del 1966 (art. 14 par. 3) e, ritenendo la Corte pregiudizievole, continua a non riconoscere l’autorità della stessa. E’ lecito pensare quindi che i presupposti perché il procedimento vada avanti ancora parecchi anni ci sono tutti: il procedimento contro Seselj, in carcere in Olanda dal 26 febbraio 2003, è iniziato solo il 27 novembre 2006 e dopo lunghe schermaglie procedurali è ben lungi dal potersi ritenere concluso; Milosevic è invece morto per arresto cardiaco nella sua cella quattro anni dopo l’avvio di un’azione giuridica che tecnicamente era ancora ferma alle fasi iniziali.

La mossa di Karadzic, che vuole ottenere una copertura mediatica il più ampia possibile, soprattutto in Serbia e in Bosnia Erzegovina, è quindi mirata a guadagnare tempo. Per questo parla massacro di Srebenica come di una “leggenda” e del conflitto bosniaco come di “una guerra giusta e santa”, e cerca di spostare il dibattito su un piano politico ed ideologico arrivando a definire l’assedio a Sarajevo, 44 mesi di bombardamenti che hanno causato 10 mila morti e 56 mila feriti, come una mossa orchestrata dai musulmani per costringere la Nato ad intervenire. Karadzic in pratica tenta la carta della riabilitazione politica, non gli interessa il verdetto e vuole essere ricordato come un eroe.

Il percorso tortuoso della giustizia deve anche fare i conti con casi che mettono in discussione la stessa autorità del TPIJ, come le vicende che coinvolgono la giornalista francese Florence Hartmann e l'ex vice di Karadzic, Biljana Plavsic. La prima è stata condannata nel settembre scorso per aver pubblicato informazioni riservate, richiamando in realtà l’attenzione sulle responsabilità del governo serbo nel massacro di Srebrenica e sul silenzio del Tribunale internazionale che, nonostante gli obblighi, non avrebbe garantito ai legali delle vittime il diritto di accesso alla documentazione in suo possesso.

Ma ancora più sconcertante è la liberazione per buona condotta di Biljana Plavsic, uscita dal carcere svedese di Hinseberg dopo aver scontato solo 7 anni degli 11 anni di reclusione inflittigli il 27 febbraio 2003 dal TPIJ. Consegnatasi alla giustizia nel 2001, l’ex professoressa di biologia all’Università di Sarajevo, nota per aver dichiarato che i musulmani erano un “difetto genetico del corpo serbo” e per aver definito la pulizia etnica come un “fenomeno naturale”, era stata condannata per di crimini di guerra e genocidio ed aveva ottenuto un notevole sconto di pena in cambio di un’ammissione di colpa e del pubblico pentimento avvenuto durante il suo processo.

La Plavsic, conosciuta per aver posato per i media a fianco del paramilitare serbo Zeljko Raznatovic Arkan, mentre sullo sfondo giacevano i corpi dei civili uccisi durante la “conquista” di Bijeljina, è la dimostrazione pratica di come anche il genocidio è un crimine che tecnicamente può essere patteggiato e di come si può tornata a casa ed essere accolti come un eroe. E probabilmente è proprio questo l’obiettivo “dell’artigiano” della pulizia etnica, Radovan Karadzic, che dall’Olanda riesce ancora a dividere l’opinione pubblica serba. A Belgrado il presidente Tadic sta infatti cercando di ottenere dal parlamento l’adozione di una risoluzione su Srebrenica, un atto di condanna del massacro materialmente eseguito dagli uomini di  Ratko Mladic che però lascia spazio a numerose speculazioni.

Lo scontro, che coinvolge i media e gran parte degli ambienti politici ed intellettuali, riguarda soprattutto la questione sul termine da utilizzare: genocidio o crimine atroce. Ma c’è anche chi s’interroga sul perché il presidente Tadic abbia  iniziato a parlare solo oggi di Risoluzione Srebrenica: bisogno di sostegno da parte della comunità internazionale all’ingresso nell’Unione Europea della Serbia o un modo per evitare le conseguenze della mancata consegna di Ratko Mladic e Goran Hadzic al TPIJ?

In realtà, nonostante gli sforzi della nuova classe dirigente, in Serbia l’opinione pubblica subisce ancora le conseguenze della sistematica propaganda fatta negli anni Novanta dal regime politico di Milosevic, bugie e cose non dette che a distanza di più di un decennio trovano ancora credito in molti strati della società. E così, nel 2010, a Belgrado ci sono persone che non credono all’assedio di Sarajevo o che sulla strage di Srebrenica conoscono una verità totalmente falsata. Esistono poi ambienti culturali dove vengono promosse idee nazionaliste, incluso un forte sentimento di avversione verso la giustizia internazionale, e dove la Risoluzione proposta da Tadic viene vista come un “tradimento”, una sorta di una “confessione” che, nonostante la sentenza del 2007, riaprirebbe la questione bosniaca a danno della Serbia.

 

Pin It

Altrenotizie.org - testata giornalistica registrata presso il Tribunale civile di Roma. Autorizzazione n.476 del 13/12/2006.
Direttore responsabile: Fabrizio Casari - f.casari@altrenotizie.org
Web Master Alessandro Iacuelli
Progetto e realizzazione testata Sergio Carravetta - chef@lagrille.net
Tutti gli articoli sono sotto licenza Creative Commons, pertanto posso essere riportati a condizione di citare l'autore e la fonte.
Privacy Policy | Cookie Policy