di Agnese Licata

Una contesa che continua dal 1947, al prezzo di sessantamila morti (solo dal 1989), mille e settecento dei quali nel 2005. In una sola giornata, lo scorso 30 aprile, sono stati uccisi altri trentacinque civili.
In ballo c'è un territorio poco più piccolo della Romania, stretto tra due giganti come Cina e India da un lato, e dalla polveriera del Medio Oriente dall'altro. Il Kashmir però, a differenza della Romania, non è un vero e proprio stato. Anzi, non è neanche possibile parlare di un unico Kashmir. Esiste infatti una parte a nord - detta Azad Kashmir - sotto il controllo pakistano; e una parte a sud - il Jammu e Kashmir - amministrato dall'India. Le due zone sono divise dalla Linea di controllo (Loc), un confine nato come linea provvisoria di cessate il fuoco dopo le due guerre indo-pakistane (1947-48 e 1965), ma che ormai è diventato sempre più difficile modificare o anche trasformare in un confine nazionale. Né India né Pakistan hanno infatti mai riconosciuto ufficialmente questa divisione. Ognuno dei due paesi rivendica il controllo su entrambe le zone, rifiutando la possibilità di un Kashmir riunificato e indipendente. Le cause di questa disputa sono principalmente religiose. Nel Jammu e Kashmir a prevalere è la fede islamica (la professa il 57% della sua popolazione), rispetto a induismo e buddismo. Nella Valle del Kashmir, in particolare, ad essere musulmano è il 95% degli abitanti. È questa la base delle rivendicazioni del Pakistan e dei vari gruppi kashmiri di militanti islamici che continuano a colpire la zona amministrata dall'India.
L'ultimo episodio di guerriglia, il più grave degli ultimi quattro anni, risale al 30 aprile. Dai media inglesi si apprende che in due province montuose a sud-ovest della Loc, sono stati ritrovati i cadaveri di trentacinque civili indù. Secondo i racconti dei sopravvissuti, si è trattato di due esecuzioni pianificate e identiche nella loro esecuzione. Gruppi di militanti con indosso uniformi dell'esercito hanno condotto le loro vittime (molti dei quali semplici pastori) fuori dai villaggi, con l'inganno. Poi, "quando ci chiesero per quale motivo ci stavano facendo aspettare, hanno iniziato a scaricarci addosso una raffica di pallottole", ha dichiarato alla Bbc uno dei sopravvissuti.

Nonostante la decisione del primo ministro indiano Manmohan Singh di riprendere il dialogo con il Pakistan, la situazione sembra di nuovo tornata a peggiorare, anche perché le due parti continuano a non fare nessun passo concreto verso la pace. L'India accusa il Pakistan di non aver dismesso i suoi campi militari nella Valle del Kashmir, destinati ad addestrare i militanti. A sua volta Islamabad accusa le autorità indiane di non aver messo in atto le concessioni promesse negli incontri. Tra queste, in particolare, il ritiro di una parte delle truppe indiane. Di recente New Delhi ha rifiutato la proposta pakistana di rimuovere gli armamenti pesanti dalla regione.
Un segno incoraggiante era invece arrivato un anno fa, con la costituzione di un'autolinea che, attraversando la Loc, unisce i due Kashmir e permette alle famiglie rimaste separate d'incontrarsi. Purtroppo però, le complicanze burocratiche hanno fatto sì che spesso gli autobus viaggiassero quasi vuoti. In più, il terremoto dello scorso ottobre ha messo fuori uso un'ampia parte della strada.

Per trovare l'atto di nascita di questa situazione senza prospettive bisogna risalire al periodo della decolonizzazione. Il modo con cui allora vennero tracciati i confini dei nuovi stati indipendenti ha causato effetti visibili ancora oggi. In Africa, ad esempio, squilibrio di risorse tra vari nazioni e grande eterogeneità etnica interna hanno portato allo scoppio di conflitti endemici, quali quelli in Somalia, Zaire, Nigeria. La contesa del Kashmir ha le stesse radici.
Nel 1947 il governo coloniale inglese emana l'Independence Act, decidendo di abbandonare l'area conflittuale del sub-continente indiano per dedicare risorse alla ricostruzione post-bellica. Vennero così decisi sia i confini della nuova Unione indiana sia la cosiddetta partition, ossia la nascita di uno Stato islamico - il Pakistan - costituito da una Provincia occidentale e da una orientale (quest'ultima nel 1971 diventerà indipendente e assumerà il nome di Bangladesh). Il progetto inglese era quello di costituire uno stato abitato esclusivamente da musulmani, per cercare di sedare gli animi di questa etnia. Tuttavia, nonostante i milioni di persone che, in entrambe le direzioni, attraversarono la frontiera in quei giorni, sia in Pakistan sia in India rimasero delle minoranze abbastanza numerose che furono sistematicamente discriminate.
In più, i confini previsti tagliavano in due alcuni territori. Tra questi il Kashmir, che venne così chiamato a decidere se annettersi al Pakistan o all'India. Una rivolta appoggiata dai pashtun afghani e dalle truppe pakistane convinse il Kashmir ad abbandonare l'idea dell'indipendenza, per cercare la protezione dell'India. L'immediata reazione del Pakistan fu l'invasione della regione. Da allora, lo scontro tra i due paesi non si è mai fermato.

L'interesse dei paesi occidentali per i problemi di quest'area è sempre oscillata tra l'indifferenza e la strumentalizzazione. L'unica risoluzione delle Nazioni unite risale al 1949 e ha portato alla costituzione di un gruppo militare di osservatori che controlla la Loc. Attualmente nella zona si trovano 43 osservatori Onu.
Tuttavia lo squilibrio di quest'area ha importanti risvolti sul Medio Oriente. Nel 1999, ad esempio, fu proprio la sconfitta subita dal Pakistan nella contesa del Kargil (un'area del Jammu e Kashmir a maggioranza musulmana) e la conseguente debolezza del governo, a far sì che il colpo di stato del capo dell'esercito Pervez Musharraf andasse a buon fine.
Il regime instaurato allora è tuttora in vigore anche grazie all'atteggiamento degli Usa che, in cambio della sua collaborazione contro i Talebani, hanno premuto affinché Islamabad diventasse, nel 2003, membro non permanente dell'Onu. Gli americani dimostrano così di non aver compreso che i mujaheddin, adesso terroristi di al Qaeda, si muovono da anni sull'asse Afghanistan-Pakistan-Kashmir. Appoggiare il Pakistan e il suo regime, invece di assumere una posizione super partes che spinga alle trattative con l'India, rischia di far aumentare ulteriormente l'instabilità in Medio Oriente.

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