di Michele Paris

La recente sentenza della Suprema Corte Criminale irachena che condanna all’impiccagione l’ex ministro degli Esteri di Saddam Hussein, è un vergognoso atto di vendetta politica ordinato dal governo fantoccio di Baghdad con il beneplacito dei padroni di Washington. La condanna a morte di Tareq Aziz, il quale per anni ha rappresentato la faccia presentabile del regime di Saddam, si basa su prove che nessun tribunale di un paese civile considererebbe attendibili e serve a zittire definitivamente uno scomodo testimone del vero ruolo giocato dagli Stati Uniti e dall’Occidente nelle travagliate vicende irachene degli ultimi tre decenni.

Nato Mikhail Yuhanna da una famiglia cristiana caldea nel nord dell’Iraq, Aziz studiò inglese presso l’Università di Baghdad per poi dedicarsi al giornalismo ed entrare nel Partito Ba’th nel 1957 con l’aspirazione a liberare il suo paese dal colonialismo britannico e superare le divisioni etnico-religiose fomentate dall’imperialismo occidentale. L’appartenenza ad una minoranza cristiana e l’adesione al nazionalismo secolare baathista rendono tragicamente ironica la condanna alla pena capitale proprio per l’accusa di aver perseguitato membri di un partito islamico.

Poco dopo l’invasione dell’Iraq nel 2003, Tareq Aziz si consegnò volontariamente agli americani, sperando forse che la sua statura internazionale e gli stessi legami diplomatici con i precedenti inquilini della Casa Bianca avrebbero potuto risparmiargli il carcere. Aziz venne invece spedito in isolamento, prima sotto il controllo statunitense e dallo scorso mese di luglio affidato alle forze di sicurezza irachene. Al momento del trasferimento sotto la responsabilità dei suoi connazionali, pare che Aziz abbia confidato al suo avvocato, “Sono sicuro che mi uccideranno”.

Il 74enne braccio destro di Saddam Hussein si trovava già sulle spalle due condanne a ventidue anni di carcere. Praticamente una sentenza a vita alla luce dell’età avanzata e del precario stato di salute che ha richiesto svariati interventi negli ultimi anni. Nel 2008, dopo cinque anni di detenzione senza accuse specifiche a suo carico, venne processato e condannato per presunta responsabilità diretta nell’esecuzione di 42 mercanti iracheni accusati di aver manipolato il prezzo del cibo nel 1992, quando il paese era sottoposto alle sanzioni occidentali. Nonostante il crimine fosse sempre stato attribuito al solo Saddam, l’Alto Tribunale Iracheno, istituito dal governo provvisorio dopo l’invasione USA, gli inflisse una condanna di 15 anni.

Nell’agosto del 2009, poi, arrivarono altri sette anni per la deportazione di cittadini curdi dall’Iraq nord-orientale. Anche in questo caso, come dimostrarono numerose indagini di media occidentali, non vi erano prove schiaccianti sulle responsabilità di Tareq Aziz. Qualche giorno fa, infine, è stata la volta della condanna a morte per impiccagione, dopo che il supremo tribunale iracheno lo ha ritenuto colpevole delle persecuzioni ai danni di partiti sciiti nei primi anni Ottanta.

Nell’aprile del 1980, membri del partito Dawa, d’ispirazione sciita e supportato dall’Iran, attentarono alla vita di Saddam e dello stesso Aziz lanciando granate in una zona centrale di Baghdad che fecero varie vittime tra i civili. Il regime, appoggiato da Washington in funzione anti-iraniana, ordinò allora la repressione che portò all’esecuzione di alcuni appartenenti al partito che oggi è guidato dall’attuale primo ministro Nouri al-Maliki. Come se non bastasse, il giudice che ha emesso la sentenza di morte per Tareq Aziz,  Mahmud Saleh al-Hasan, è un esponente di spicco della coalizione di governo dello stesso Maliki.

La condanna di Tareq Aziz, costretto per parecchio tempo a fare a meno di un avvocato per le minacce indirizzate a chiunque osasse difenderlo in tribunale, vorrebbe rendere giustizia dei crimini commessi da Saddam Hussein e dal suo entourage fino all’invasione del 2003. Sono molti, tuttavia, a far notare come il funzionamento del regime baathista deposto tendesse ad escludere dagli apparati della sicurezza dello stato coloro che, sia pure in posizioni di spicco come l’ex primo ministro (1983-1991) e vice-primo ministro (1979-2003), non facevano parte del cosiddetto “clan di Tikrit”, dal nome della città di origine di Saddam.

È poi singolare che ad emettere la sentenza di morte per Aziz siano indirettamente formazioni politiche legate alle milizie responsabili dei massacri su base settaria scatenati dall’arrivo degli americani in Iraq ormai quasi otto anni fa. Senza contare che, come hanno dimostrato i documenti appena pubblicati da Wikileaks sul conflitto iracheno, il governo di Baghdad si è reso protagonista di uccisioni e torture sistematiche di civili senza che da Washington si battesse ciglio o che l’impresa in Iraq degli Stati Uniti ha causato complessivamente un numero maggiore di vittime innocenti di quante possano essere attribuite al regime di Saddam Hussein.

Se l’Unione Europea e il Vaticano, che nella primavera del 2003 garantì un’udienza con Giovanni Paolo II al capo della diplomazia irachena poco prima dello scoppio del conflitto, hanno chiesto clemenza al governo di Baghdad, l’amministrazione Obama ha mantenuto al contrario un colpevole silenzio sulla sorte di Tareq Aziz. D’altra parte, sono evidenti i benefici che Washington trarrebbe dall’eliminazione di quest’ultimo.

Figura più importante ancora in vita del regime di Saddam, Aziz è stato protagonista di tutte le principali vicende che hanno visto gli Stati Uniti e le altre potenze occidentali manovrare secondo i propri interessi in Iraq. Nei mesi precedenti l’aggressione del 2003, inoltre, fu Tareq Aziz a cercare di confutare la falsa accusa americana del possesso di armi di distruzione di massa da parte irachena con numerosi missioni diplomatiche all’estero. Ancora più pericolosa sarebbe la sua testimonianza sul ruolo ambiguo degli USA nelle settimane che precedettero l’invasione irachena del Kuwait nell’estate del 1990.

Tareq Aziz era infatti al fianco di Saddam quando in un incontro a Baghdad l’allora ambasciatrice americana, April Gilaspie, assicurò a entrambi che il governo americano non aveva alcuna obiezione ad un intervento dell’Iraq in Kuwait, episodio che come è noto avrebbe innescato la prima Guerra del Golfo. Decisamente interessante potrebbe essere anche il suo parere sull’influenza statunitense nello spingere l’Iraq in una sanguinosa guerra con l’Iran negli anni Ottanta.

Sempre Aziz ricevette tra il 19 e il 20 dicembre 1983 l’allora inviato speciale per il Medio Oriente dell’amministrazione Reagan, il futuro segretario alla Difesa Donald Rumsfeld, che avrebbe manifestato tutto il sostegno della Casa Bianca per il regime di Saddam nel contrastare il diffondersi della rivoluzione iraniana nel mondo arabo. La sua versione sul contenuto di quei colloqui a Baghdad risulterebbe fondamentale, così come la verità sulle armi chimiche impiegate da Saddam contro gli iraniani e verosimilmente fornite dagli alleati occidentali.

Alcuni dei segreti sugli sporchi giochi degli USA in Medio Oriente finiranno così nella tomba con Tareq Aziz, una volta che sarà portato a termine l’ennesimo crimine di guerra dell’avventura americana in Iraq.

Pin It

Altrenotizie.org - testata giornalistica registrata presso il Tribunale civile di Roma. Autorizzazione n.476 del 13/12/2006.
Direttore responsabile: Fabrizio Casari - f.casari@altrenotizie.org
Web Master Alessandro Iacuelli
Progetto e realizzazione testata Sergio Carravetta - chef@lagrille.net
Tutti gli articoli sono sotto licenza Creative Commons, pertanto posso essere riportati a condizione di citare l'autore e la fonte.
Privacy Policy | Cookie Policy