di Carlo Musilli

Alla fine qualcosa si è mosso. Dopo le rivelazioni del sito Wikileaks sulle torture e i massacri in Iraq di cui nessuno per anni ha saputo nulla, l'Alto Commissario Onu per i Diritti Umani Navi Pillay ha deciso che era arrivato il momento di prendere la parola. Chi si aspettava un provvedimento diretto è rimasto deluso: i funzionari dell'Onu non possono pretendere di ispezionare le carceri irachene, perché il Paese non ha sottoscritto la "Convenzione contro la tortura" (con una certa coerenza, verrebbe da dire).

Ma almeno la Pillay ha trovato il coraggio di pubblicare un comunicato in cui sollecita i governi degli Stati Uniti e dell'Iraq a indagare per "consegnare alla giustizia i responsabili delle uccisioni illegali, delle esecuzioni sommarie, delle torture e di tutte le altre gravi violazioni dei diritti umani". In particolare, Pilley punta il dito contro l'esercito americano, reo di aver consegnato centinaia di detenuti agli iracheni "pur sapendo del loro diffuso ricorso ai maltrattamenti e alla tortura". Sulla stessa linea Manfred Novak, Responsabile Speciale Onu per la Tortura, cui gli americani hanno più volte negato l'accesso ai centri di detenzione in Iraq.

E negli Stati Uniti, come hanno reagito al dossier dell'infamia? Sorvolando sui soliti ritornelli buoni un po' per ogni evenienza ("già si sapeva", "non mettete in pericolo i giovani americani"), vale la pena soffermarsi sulle nuove virili esternazioni di alcuni repubblicani. Per Christian Whiton, ex funzionario del Dipartimento di Stato, bisognerebbe trattare Julian Assange, padre di Wikileaks, "come un combattente nemico".

Vale a dire, dovrebbe essere spedito a Guantanamo insieme ai talebani, senza la seccatura di un processo. Il governo poi, secondo un illuminato editorialista del quotidiano conservatore Washington Times, dovrebbe anche "contrastare la presenza di Wikileaks sul web". Non c'è male, per la democrazia più progredita del pianeta.

Tuttavia, i destrorsi americani non sono tutti così impetuosi. Con meno fascismo, ma più malafede, il New York Post di Rupert Murdoch sostiene che grazie ai documenti di Wikileaks è stato dimostrato che "in Iraq le armi di distruzioni di massa c'erano, dopo tutto". In risposta, il quotidiano inglese The Indipendent fa notare che, volendo essere pignoli, le armi ritrovate rientravano in programmi d'armamento abbandonati diversi anni prima che iniziasse l'invasione americana dell'Iraq.

Ma se Atene piange, Sparta non ride. Anche la Gran Bretagna, infatti, in questi giorni ha dovuto imparare di quali atrocità siano capaci i soldati in guerra. Perfino quelli della Regina. Sulla scia di Wikileaks, il Guardian è riuscito a scucire al ministero della Difesa alcuni documenti agghiaccianti (un giornale che fa pressioni al governo, ci sarebbe di che riflettere).

È emerso così che di tutte le vittime civili causate dai soldati inglesi in Iraq, due terzi sono state uccise da tre sole unità militari. Coldstream Guards, Royal Marine e Rifles sono responsabili di almeno 21 incidenti in cui hanno perso la vita, fra gli altri, diversi bambini e un uomo malato di mente. Paul Flynn, deputato laburista e membro del Comitato sulla Salute del Consiglio d'Europa, ha richiesto un'inchiesta che sveli "quali atrocità siano state commesse in nome del popolo britannico".

Non basta, gli inglesi sono stati messi di fronte ad una realtà ancora più odiosa. Il Governo ha infatti riunito una commissione speciale per indagare su 90 nuove accuse di violenza nei confronti di 128 civili iracheni fra il marzo 2003 e il luglio 2009. Dal ministero fanno sapere che le indagini non dureranno meno di due anni. Si tratta di gravissime violazioni dei diritti umani: uomini incappucciati o bendati costretti a stare per ore in posizioni innaturali, confinati in celle minuscole e gelide, privati del sonno, del cibo, dell'acqua.

Alcuni dettagli fanno ancora più schifo. Pare che i compassati inglesi abbiano sperimentato il sesso come arma particolarmente efficace per intimidire e umiliare i detenuti. Soldati che si masturbano e si accoppiano davanti agli occhi dei prigionieri. Film porno proiettati a tutto volume. Riviste porno lasciate in bella vista. E, naturalmente, la nudità come supremo strumento di coercizione mentale: gli iracheni erano lasciati senza vestiti finché non si decidevano a cooperare. Prima che una violenza fisica, uno stupro cerebrale.

Di fronte a rivelazioni di questo tipo, anche il movimento sciita di Hezbollah ha esortato le Nazioni Unite a punire i responsabili delle violenze. "Ci chiediamo se questo sia abbastanza per l'Onu - si legge in un comunicato del gruppo - per svegliarsi e avviare finalmente un'indagine reale sugli orribili crimini commessi contro la popolazione irachena". La risposta è no. Se un'indagine ci sarà, non sarà dell'Onu.

 

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