di Carlo Musilli

Si chiamava "Dream Act" ed è rimasto un sogno. Il Senato degli Stati Uniti ha respinto la proposta di legge più progressista degli ultimi anni in tema d’immigrazione. L'obiettivo era di concedere la cittadinanza americana a quei clandestini che, arrivati negli Usa ancora in fasce, hanno ormai portato a termine il servizio militare o almeno due anni di college.

Si trattava di regolarizzare centinaia di migliaia di persone, per lo più studenti, che da tutta la vita negli Stati Uniti si sentono a casa. Molti di loro scoprono di essere immigrati illegali soltanto quando fanno richiesta di ammissione all'università. Per avere un'idea: ogni anno nei licei americani si diplomano circa 65.000 immigrati illegali. Tirano anche il cappello in cielo.

Ma naturalmente tutto questo ai senatori non interessa. In 55 hanno votato a favore, 41 i contrari. Peccato che per far andare avanti la legge servissero almeno 60 voti. Peccato davvero, soprattutto perché 5 Democratici hanno votato con i Repubblicani.

Il "Dream Act" non era positivo "solo per i giovani che vogliono servire un paese a cui sentono di appartenere - ha commentato Obama - ma anche per gli Stati Uniti, che traggono profitto dai loro successi" sotto il profilo della "competitività economica e militare". Purtroppo, ai conservatori la legge è sembrata un'amnistia inaccettabile. Secondo Jeff Sessions, senatore dell'Alabama e leader della fazione contraria al provvedimento, approvare il "Dram Act" sarebbe stato come "premiare l'immigrazione clandestina", "incoraggiando così una pratica illegale".

L'amministrazione Obama si ritrova così impantanata su un nuovo, delicatissimo fronte. I Democratici ripetono di voler tornare nei prossimi mesi sul tema "prioritario" dell'immigrazione, ma sanno benissimo che quella appena sfuggita era l'ultima occasione. Da gennaio, infatti, in virtù dei risultati delle elezioni di medio termine, il Congresso passerà in mano ai Repubblicani. E allora non solo sarà impensabile rispolverare il povero "Dream Act", ma ci si ritroverà a discutere se approvare o meno leggi da età della pietra. Per fare solo un esempio, i conservatori hanno in mente di abrogare la legge che, a oggi, concede la cittadinanza automatica ai bambini nati su suolo americano da genitori clandestini. In poche settimane si tornerà indietro di decenni.

Era proprio quello che Obama voleva evitare. Per tutto il 2010 la sua amministrazione ha fatto il gioco del bastone e della carota con i Repubblicani: controlli più rigidi hanno portato al record di 390mila espulsioni in 12 mesi, nella speranza che questo ammorbidisse l'opposizione in sede legislativa. Nella mente utopica degli obamiani, infatti, il "Dream Act" doveva essere solo la parte più indolore di una riforma generale che avrebbe portato a regolarizzare la situazione di 11 milioni di immigrati illegali.

Ma qualcosa è andato storto e, per il momento, Obama si ritrova ad essere solo il presidente che detiene il record d'espulsioni. Un problema bello grosso, perché si gioca sul fronte elettorale. Sono in ballo milioni di voti per le elezioni presidenziali del 2012. Le comunità d'immigrati, soprattutto ispanici (i "Latinos"), stanno col fiato sul collo del Presidente. Proprio loro, gli stessi che hanno salvato i Democratici alle ultime consultazioni di medio termine, evitando che finissero in minoranza anche al Senato.  I "Latinos" hanno già attaccato Obama per non aver affrontato il problema dell'immigrazione in estate, come aveva promesso. Non accetterebbero di essere dimenticati ancora.

Certo, ormai gli spazi di manovra per i Democratici sono più che limitati. Alla prossima riunione del Congresso saranno presenti diverse new-entry elette proprio sulla base di programmi anti-immigrazione. Un paio di nomi: Lamar Smith e Steve King, due repubblicani purosangue che con ogni probabilità siederanno rispettivamente sulle poltrone della Commissione Giustizia e della Sottocommissione per l'Immigrazione.

A questo punto gli scenari possibili sono diversi. I Democratici saranno costretti a tentare di nuovo con il "Dream Act" ("approvarlo è il minimo che possiamo fare", ha detto l'ottimista Obama), ma è probabile che nel lungo periodo sceglieranno di proporre una legge più generale e light rispetto a quella concepita in origine, per evitare di mettere sul tavolo le questioni più controverse ed essere nuovamente umiliati al momento del voto.

D'altra parte, nonostante tra le loro fila trovino posto quegli xenofobi scalmanati del Tea Party, nemmeno ai Repubblicani farebbe comodo inimicarsi l'elettorato ispanico. E' quindi verosimile che alla fine decidano di mettere la museruola ai soggetti più agguerriti (alcuni provengono dai movimenti suprematisti bianchi) e ridimensionare le proposte più rischiose, come quella sulla cittadinanza ai bambini.

Per non scontentare l'elettore medio-bigotto, potrebbero comunque proporre le leggi dall'impatto emotivo più debole, come quella con cui si vorrebbe obbligare i datori di lavoro a verificare la condizione amministrativa dei propri dipendenti per via telematica, invece della solita carta ingiallita.

Comunque vadano le cose, è certo che a gennaio negli Stati Uniti si parlerà ancora d’immigrazione. Entrambi gli schieramenti dovranno tener presente che "la bocciatura del 'Dream Act' non sarà dimenticata dalla comunità dei Latinos - come ha sottolineato Robert Mendez, senatore del New Jersey dal cognome non propriamente anglosassone - una comunità che sta crescendo non solo nelle dimensioni, ma anche sotto il profilo del potere e della coscienza politica".

 

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