di Luca Mazzucato

NEW YORK. L'onda è partita e non si può più arrestare. Come tessere del domino, i regimi del mondo musulmano si stanno sgretolando come sabbia di fronte al vento della rivolta popolare. Dopo la Tunisia, l'Egitto sta per capitolare e in Yemen, Giordania, Algeria e Sudan, finanche in Albania, già si sente la brezza del cambiamento. Gli Stati Uniti questa volta hanno davvero esportato la democrazia. Ma invece di farlo con centinaia di migliaia di morti, come in Iraq e Afghanistan, lo hanno fatto con centinaia di miliardi di debiti. La crisi finanziaria globale, nata in America ed esportata in tutto il mondo, ha causato una sofferenza tanto profonda nei Paesi in via di sviluppo da portare le classi popolari e i giovani alla rivolta di piazza, al grido di pane e lavoro, ma prima di tutto libertà.

Cosa succede in Egitto? Il Paese dei faraoni è alla fame. Lunghe file di centinaia di persone aspettano quotidianamente che i camion del governo distribuiscano il pane. Il prezzo del pane al dettaglio é ben dieci volte quello del pane distribuito dallo Stato, e tre egiziani su quattro non possono permetterselo, ma ora persino i sussidi statali non bastano più. Il rincaro dei prezzi del grano dovuto alla corsa ai futures dei beni di prima necessità, l'ultima speculazione finanziaria made in USA, ha messo in ginocchio la popolazione.

Un particolare salta subito all'occhio. La rivoluzione è digitale. Laddove i media tradizionali, tv e radio, sono strumento di propaganda e vengono facilmente controllati dai governi, gli sms e i nuovi media, Internet, Twitter, Facebook, con la loro proliferazione orizzontale, sono l'arma tecnologica che ha permesso di organizzare le rivolte in Iran prima e ora in Tunisia ed Egitto.

In queste febbrili settimane dalla cacciata di Ben Alì in Tunisia, le immagini delle rivolte si sono propagate come un virus, sconfiggendo le censure governative. I dittatori dei Paesi musulmani non dispongono di mezzi tecnologici tali da bloccare il traffico sul web in base al suo contenuto, come invece fanno i cinesi. Sono costretti a chiudere in blocco sia Internet che le reti telefoniche, ma possono farlo solo per brevi periodi, dunque la censura è inefficace.

Ma cosa succede negli altri Paesi della regione? In Algeria, il governo ha abbassato il prezzo del pane per fermare le rivolte popolari, scoppiate dopo la rivoluzione in Tunisia, che hanno già causato almeno quattro morti e centinaia di feriti. Anche in Albania l'opposizione socialista cerca di rovesciare il governo scendendo in piazza, ma la polizia di Berisha spara e uccide almeno tre manifestanti, ferendone una sessantina. In Yemen, mentre il Presidente in carica da trentadue anni cerca di passare una legge che gli garantirebbe il potere a vita, decine di migliaia di persone scendono in piazza nella capitale e si scontrano con le forze del governo.

La rivolta popolare arrotola le sue spire attorno ai confini israeliani. Il secondo alleato cruciale dello Stato ebraico potrebbe infatti seguire la sorte egiziana, con un debito record da quindici miliardi di dollari e riforme liberiste che stanno precipitando le classi più povere nella disperazione. Re Hussein di Giordania sente vacillare il trono sotto i piedi dopo che anche qui i Fratelli Musulmani, portando ogni giorno migliaia di persone in piazza, hanno a sorpresa ottenuto che il re dimissionasse il governo.

Quello che finora lascia senza parole è la posizione americana. I paladini della democrazia sono rimasti a corto di parole. L'unica voce innovativa viene dall'estrema destra del Tea Party: Rand Paul al Congresso ha chiesto di cancellare l'aiuto militare a Egitto e Israele; in tempi di crisi nera non bastano i soldi nemmeno in patria, figuriamoci regalargli oltreoceano.

Obama si è limitato a dire di aver telefonato a Mubarak e di avergli consigliato di non partecipare alle prossime elezioni presidenziali. Un po' debole come ardore per la libertà. Mentre in live streaming su Al Jazeera i manifestanti egiziani dal Cairo mostravano infuriati alle telecamere i lacrimogeni usati dalla polizia di Mubarak, su cui campeggia la scritta Made in USA. “Avrebbero almeno potuto metterci una finta scritta Made in China,” scherza il comico Jon Stewart.

In un articolo pubblicato sul sito di Al Jazeera, l'ex-direttore della sezione Antiterrorismo della CIA Robert Grenier, sostiene che “gli Stati Uniti sono diventati irrilevanti” nella regione. Con il loro sostegno massiccio ai regimi corrotti di Mubarak e dei principi sauditi si sono alienati le simpatie delle popolazioni arabe. Dopo essersi riempiti la bocca della parola democrazia, hanno preparato le elezioni in Palestina nel 2006, per poi cancellarne il risultato dopo la vittoria di Hamas e continuano ad appoggiare l'abominio dell'assedio di Gaza e delle colonie ebraiche in West Bank.

Il governo americano continua a considerare organizzazioni terroristiche i movimenti politici cruciali per gli equilibri di potere regionali, Hamas ed Hezbollah, invece di apprezzare il fatto che abbiano rinunciato al terrorismo in favore della lotta politica. Dunque nel futuro scenario che queste rivolte stanno già generando non c'è alcuno spazio per gli interessi americani.

Se i moti di piazza riusciranno a rovesciare il regime militare in Egitto, il panorama in Medioriente cambierebbe in modo drammatico. I Fratelli Musulmani, principale movimento di opposizione egiziano, con ogni probabilità vincerebbero le prime elezioni democratiche, con o senza l'outsider ElBaradei. Portando con tutta probabilità alla fine dell'assedio della Striscia di Gaza (Hamas infatti non è altro che la costola palestinese dei Fratelli Musulmani ed ElBaradei sostiene che l'assedio di Gaza è “un timbro d'infamia sulla fronte di ogni arabo, di ogni egiziano e di ogni essere umano”).

Ma ancor più che le conseguenze diplomatiche del cambiamento di regime in Egitto, quel che conta é la potenza simbolica della rivoluzione. I giovani musulmani oppressi da dittatori armati e coccolati dall'Occidente stanno scoprendo che, inshallah!, un altro mondo è possibile. E se quello che sembrava un dittatore inespugnabile, sostenuto da America e Israele, crolla sotto la pressione di due milioni di persone in una piazza pacifica, chi lo sa, forse persino l'esercito israeliano non è invincibile ai check point della West Bank. O persino l'ayatollah e il suo sgherro Ahmadinejad non sono al potere per volontà di Allah...

 

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