di Eugenio Roscini Vitali 

Riproponendo alcuni passi di un articolo del direttore del progetto per lo studio dell’Islam e del mondo musulmano, Reuven Paz, pubblicato nel 2001 dal Washington Institute for Near East Policy, il Jerusalem Post descrive lo sceicco Yusuf Al Qaradawi come “un uomo per tutte le stagioni”, un religioso dalle dichiarazioni contraddittorie che condanna l’11 Settembre e la strage di Bali, che nel 2008 definisce gli ebrei affiliati alla setta Neturei Karta, il gruppo che in nome di una propria interpretazione della Torah e del Talmud rifiuta l’autorità e l’esistenza dello Stato di Israele, come credenti vicini al mondo musulmano.

Ma è lo stesso sceicco che, a pochi mesi di distanza, in una trasmissione ospitata dalla rete satellitare Al-Jazeera, da un’interpretazione agghiacciante della storia e parla dell’Olocausto come una di punizione divina: «Allah ha imposto Hitler sugli ebrei per punirli, e se Allah lo vuole, la prossima volta, sarà per mano dei Credenti». Due facce della stessa medaglia quindi, che ritroviamo nelle parole di altri ideologi del più grande e vecchio movimento islamico del mondo, la Società dei fratelli musulmani, l’organizzazione politico-religiosa nata nel marzo del 1928 come opposizione alle storiche tendenze secolaristiche delle nazioni islamiche.

Guida spirituale dei Fratelli musulmani, Yusuf Al Qaradawi si proclama un conservatore moderato, un ideologo capace di riprendersi la scena dopo quasi cinquant’anni di esilio e di penetrare nelle pieghe della società, parlando agli egiziani come alle comunità degli immigrati islamici in occidente. Attraverso la Da’wa, il proselitismo e la propaganda, Al Qaradawi ha contribuito in maniera determinante al successo politico di un’organizzazione che, raccogliendo i lamenti della povera gente, ha dimostrato di poter diventare una forza di opposizione capace di influenzare gli eventi e l’agenda politica egiziana.

E’ stato proprio lui che al Cairo, pronunciando il sermone del venerdì, di fronte a decine di migliaia di persone accorse  in piazza Tahrir per celebrare la Giornata della Vittoria, ha sollecitato i leader islamici ad ascoltare le richieste del popolo e ad annunciare che « il mondo è cambiato, è andato avanti, e con esso è cambiato anche il mondo arabo».

Lo stesso uomo capace però di rifiutare l’incontro con uno dei principali registi della rivolta anti Mubarak, Wael Ghonim, il responsabile del marketing di Google per il Medio Oriente e il Nordafrica cacciato dal servizio d’ordine del religioso prima che potesse salire sul palco di piazza Tahrir; capace di invocare l’assassinio del leader libico Gheddafi, di riproporre la presa di Gerusalemme e di inneggiare al sacrificio degli attacchi suicidi contro Israele.

Gamal Al-Banna, fratello i Hassan, fondatore della Società dei Fratelli musulmani, esclude il rischio di radicalizzazione dello scontro e rigetta l’ipotesi di una jihad. Gamal ritiene che la confraternita rappresenti una realtà sociale sempre in crescita, un elemento politico organizzato e strutturato, ed  è certo che in occasione delle prime elezioni libere la fratellanza sarà in grado di raccogliere non meno del 25% dei consensi.

Negli ultimi dieci anni la facciata “riformista” dei Fratelli Musulmani ha permesso all’organizzazione di avanzare politicamente, soprattutto grazie ad una serie di candidati “indipendenti” che sono riusciti ad accedere al parlamento aggirando i divieti imposti dal regime Mubarak. La coscienza politica sviluppata in questi anni dalla confraternita non esclude comunque la recrudescenza dei sentimenti revanscisti espressi nel passato dalle frange più radicali ed estreme: non professano la guerra santa né hanno mai teorizzato il ricorso alla violenza per islamizzare la società egiziana, ma è un fatto comunque che considerano Israele come una presenza coloniale inaccettabile posta al centro del mondo arabo.

Anche se dai microfoni di al-Arabiya il portavoce dei Fratelli musulmani, Essam al-Erian, ha riaffermato il diritto del popolo a decidere se mantenere o revocare il trattato di pace con lo Stato ebraico, per ora Israele segue la transizione egiziana senza porre limiti a quella che potrebbe essere una trasformazione epocale. Gli sviluppi che coinvolgono quella che al momento può essere definita l’unica vera forza di opposizione, rappresentano comunque un gigantesco punto interrogativo: a Tel Aviv temono che la confraternita possa diventare un partito di governo e che l’ala più radicale, oltre ad influenzare i rapporti con Israele, possa alimentare la resistenza palestinese ed aiutare Hamas ad imporsi anche in Cisgiordania.

I Fratelli musulmani potrebbero diventare un prezioso interlocutore anche per Hezbollah; potrebbero indurre il prossimo governo a ridiscutere le forniture di gas verso lo Stato ebraico, bloccate dopo il sabotaggio che il 5 febbraio scorso ha danneggiato la stazione di El Lahafan, riaprire  le relazioni diplomatiche con Teheran e rafforzare i legami con Damasco e Khartoum.

I primi frutti di questo nuovo scenario potrebbero essere già maturi. Secondo fonti israeliane (notizia pubblicata dal sito intelligence Debka) la strage avvenuta durante la notte dell’11 Febbraio a Itamar, insediamento ebraico vicino Nablus, e per la quale è arrivata la rivendicazione della Brigata dei martiri di al Aqsa, braccio armato di Fatah, sarebbe infatti stata preparata ed organizzata in Sudan. Nel gravissimo attacco, il primo registrato negli ultimi mesi contro coloni israeliani e il primo di questo tipo da anni, è stata uccisa un’intera famiglia di coloni: i genitori e tre figli, un bambino di 11 anni, il fratello di tre e l’ultimo nato di circa tre mesi.

Il massacro, definito dal presidente dell’Autorità nazionale palestinese Abu Mazen «un gesto spregevole, immorale ed inumano», potrebbe infatti essere il primo risultato di un meeting segreto organizzato la settimana precedente a Khartoum da agenti iraniani e al quale avrebbe preso parte una delegazione di Hamas guidata da Mahmoud A-Zahar (Gaza) e Khaled Meshaal (Damasco), e  i rappresentanti dell’ala radicale delle varie componenti della Fratellanza, provenienti  dall’Egitto, Iraq, Tunisia, Siria, Giordania e Gran Bretagna.   

 

 

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