di Fabrizio Casari

Con voti entusiastici di alcuni ed astensioni con mal di pancia di altri, l’Onu ha votato la risoluzione che autorizza l’intervento militare occidentale in Libia. In teoria, quella approvata al palazzo di Vetro sarebbe solo la richiesta di applicazione della “No fly zone”, ma la sostanza è decisamente diversa. Quello che infatti si capisce, sia dal testo della risoluzione che dalle reazioni politiche successiva, è che la “No fly zone” non sarà quello che la sigla indica, cioè il divieto di sorvolo della zona sotto copertura della risoluzione; non sarà, cioè, un’operazione di pattugliamento armato dei cieli destinata ad impedire che i caccia libici bombardino Bengasi, ma ben più e ben altro.

I caccia di Francia e Gran Bretagna, Stati Uniti e un paio di emirati satelliti faranno ben altro: attaccheranno le truppe di terra del regime libico per favorire la controffensiva di quelle dell’opposizione monarchica che, nonostante l’aiuto egiziano e occidentale, non solo non erano riusciti ad arrivare a Tripoli, ma stavano per capitolare di fronte alla controffensiva lealista.

Per rimuovere gli ultimi ostacoli all’interno del Consiglio di Sicurezza per il voto sulla mozione sono stati determinanti due aspetti: l’impegno a non utilizzare truppe di terra e le minacce di Gheddafi all’universo mondo. Per Mosca e Pechino il problema era tutto politico: stabilire che a fronte di una crisi politica interna che assume risvolti militari, la comunità internazionale possa prendere parte direttamente alle ostilità, ad evitare l’abuso della forza da parte dei governi, è un precedente pericoloso. Cecenia e Tibet, oltre che il Mar della Cina, sono zone nelle quali potrebbe riproporsi un conflitto di natura simile a quello libico.

Contemporaneamente, però, l’isolamento internazionale di fronte ad una risoluzione che non era il frutto dell’interventismo unilaterale della Nato, ma una richiesta di molti dei paesi membri delle Nazioni Unite, avrebbe esposto Russia e Cina ad aspre critiche e, soprattutto, ad accostamenti d’immagine con Gheddafi dall’insidioso sapore mediatico.

D’altra parte, in precedenza, i due paesi avevano annunciato l’intenzione di porre il diritto di veto in sede di Consiglio, non potendo condividere l’idea ipocrita della “guerra umanitaria”. Si trattava, dunque, per i due paesi, di trovare una via d’uscita che riducesse al minimo le possibilità di ampliamento dell’intervento militare internazionale e, con esso, l’impraticabilità di riprodurlo in modo più ampio per altri scenari.

Il divieto d’intraprendere operazioni di terra, cioè sbarco di truppe sul suolo libico, è stato il punto di mediazione offerto da un Occidente che ha vinto la partita a scacchi nel palazzo di Vetro. Non ci pensavano minimamente, infatti, Washington, Parigi e Londra, ad inviare truppe a terra: ma tanto è stato messo nero su bianco per permettere a Cina e Russia di recitare la parte di chi sì è distinto e, con una mediazione, si è reso coprotagonista di una risoluzione Onu, invece che di subirla.

Questa la mediazione. E d’altra parte, se ci fossero state ancora resistenze da parte di Mosca e Pechino, a togliere definitivamente ogni dubbio ci ha pensato Gheddafi.

Infatti, mentre il Consiglio di Sicurezza si riuniva, il raìs libico si esibiva in minacce truculente contro gli insorti e contro ogni paese e Cina e Russia, infatti, hanno scelto di astenersi per far passare la risoluzione. Annunciando “nessuna pietà per i vinti”, Gheddafi ha inevitabilmente accelerato l’urgenza politica della risoluzione. Errore grave, soprattutto se è vero che in poche ore la controffensiva militare delle sue truppe avrebbe riconquistato Bengasi.

Il leader libico ha annunciato il "cessate il fuoco" in adempimento alla risoluzione dell'Onu, ma Francia, Gb e Usa non si fidano. La decisione appare un tentativo di riaprire i giochi, ma non é detto che, giunti a questo punto, sia sufficiente. Al rais sarebbero state necessarie ore e a Mosca e Pechino avrebbero potuto scegliere di temporeggiare. Ancora una volta, però, Gheddafi si è confermato fanfarone e incapace della dose minima di abilità politica. Il “Generale Tempo”, come avevamo già detto, ha avuto la meglio sul Colonnello.

 

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