Nuovo Egittodi mazzetta

Il nuovo governo egiziano, nonostante il suo stato di governo provvisorio per portare il paese alle prime elezioni democratiche della sua storia recente, è molto attivo nel cercare di distanziarsi dalle imprese della dittatura di Mubarak. Addirittura ardito per la velocità e l'efficacia con la quale ha ridisegnato la politica internazionale egiziana, in particolare nei confronti di Israele e Palestina.

In pochi giorni e senza destare sospetti nelle altre cancellerie, è riuscito nella difficile impresa di far siglare la pace tra Fatah ed Hamas, le due fazioni palestinesi che sembravano inconciliabili  dopo che Fatah aveva emarginato Hamas a Gaza dopo aver tentato e fallito un golpe armato sostenuto proprio da Egitto, Israele e Stati Uniti contro la formazione radiclae che aveva vinto le prime elezioni palestinesi da anni, volute proprio da Stati Uniti ed Israele.

Ai palestinesi non più divisi l'Egitto ha offerto la liberazione di Gaza, a distanza di un paio di giorni dall'annuncio dello storico accordo il ministro degli esteri egiziano ha dichiarato in televisione che l'Egitto porrà fine all'assedio di Gaza aprendo il valico di Rafah, sigillato da Mubarak, d'accordo con Israele. per punire gli abitanti di Gaza, colpevoli di aver votato Hamas. La pretesa israeliana era quella di far così crollare il consenso per Hamas, ma è un'intenzione alla quale non ha mai creduto nessuno.

In più il governo egiziano si è posto come tutore e facilitatore dei nuovi rapporti tra Hamas e Fatah, approntando una missione militare di specialisti che avrà il compito di stabilirsi a Gaza e gestire l'applicazione dell'accordo e definirne i numerosi dettagli pratici ed operativi.

Abbandonato da tutti e pesantemente delegittimato dall'aver agito di concerto con i governi israeliani senza ottenere null'altro che l'aumento delle colonie illegali nella West Bank, Abbas ha colto l'occasione per uscire dall'impasse e dare un senso al suo progetto di dichiarare la costituzione dello stato palestinese a settembre. Stato già riconosciuto da diversi paesi, con una lista complessiva di ben centossessanta governi che hanno già dato il loro consenso a riconoscere il futuro stato di Palestina, un riconoscimento che si rafforza indubbiamente grazie alla ritrovata unità politica dei palestinesi.

Unità che sembra aver gettato nel panico il governo di Netanyahu, che ha gridato allo scandalo, annunciando che con un governo che comprende i "terroristi" di Hamas, Israele non potrà mai far la pace. Il suo discorso non è piaciuto a nessuno e non solo perché la pace si fa necessariamente con i nemici o perché gli ultimi governi d'Israele hanno sulla coscienza, tra punizioni collettive, omicidi mirati, la devastazione di Gaza e del Libano e la colonizzazione della West Bank, crimini paragonabili a quelli di Hamas.

Il governo israeliano è oggi isolato come non mai e non ha spazi di manovra. Il nuovo scenario è ben visto anche dagli Stati Uniti e dall'UE, che con un rumoroso silenzio hanno evitato di unirsi alle condanne israeliane e osservano con malcelata soddisfazione l'evoluzione degli eventi, che mantengono l'Egitto nella sfera d'influenza americana e che smuovono una situazione che sembrava immutabile quanto foriera di violenze insensate per gli anni a venire.

Tocca ora al governo israeliano cambiare politica, rinunciando al plateale boicottaggio del processo di pace dimostrato sulla carta dai Palestinian Papers e sul campo dall'ottusa spinta alla colonizzazione della West Bank e dalla pretesa, inventata quando ormai non c'era più nulla da inventare, di un riconoscimento da parte di arabi e palestinesi del carattere "ebraico" dello stato d'Israele. Un'assurdità inaudita, perché il riconoscimento internazionale non è mai condizionato alla religione dominante in un paese, nesuno riconosce l'Italia come paese cattolico o l'Arabia Saudita come paese islamico, il riconoscimento vale come licenza a fare del proprio paese quello che si vuole, non certo a scrivere da qualche parte che sarà ebraico, cristiano o musulmano nei secoli.

Anche perché l'annunciata decisione di Hamas di confluire in un'unica formazione politica con Fatah risolve alla radice il problema del riconoscimento d'Israele (già riconosciuto dall'OLP) e dello statuto di Hamas che invoca la distruzione d'Israele, due posizioni che Hamas si era sempre detta disposta a superare di fronte a colloqui di pace seri e che Israele ha sempre citato per giustificare il sabotaggio dei coloqui di pace.

L'evoluzione della politica egiziana nei confronti d'Israele corrisponde al sentire della maggioranza degli egiziani, ma anche, in maniera straordinaria, agli interessi degli Stati Uniti, che da tempo lamentano il prezzo straordinariamente alto richiesto dalla protezione di un paese, Israele, completamente isolato sulla scena internazionale. Un paese che reagisce con arroganza e disprezzo a qualsiasi sollecitazione esterna fidando proprio sulla protezione americana. Un atteggiamento che agli occhi delle opinioni pubbliche mondiali, ma soprattutto di quella americana, rende Washington corresponsabile della politiche di un governo dominato da elementi nazionalisti e razzisti e da partiti che rappresentano un fanatismo religioso in tutto simile a quello dei talebani o di altri estremismi islamici.

Forse è giunto anche per Israele il momento di cambiare drasticamente politica, di smettere d'insultare pubblicamente il presidente Obama e altri leader europei e di sostituire il ministro degli esteri Lieberman, che più che alla diplomazia sembra dedito ad esibizioni di pessimo gusto e che ha un repertorio molto monotono, fatto esclusivamente d'insulti e minacce, per tutti.  Israele non può più contare sulla spaccatura tra i palestinesi, cha ha a lungo coltivato fin da quando ha favorito l'emersione di Hamas contro Fatah in una tragica riedizione del sostegno offerto dagli Usa agli estremisti islamici in Afghanistan in chiave anti-sovietica. Israele non può più nemmeno dirsi minacciata, perché la devastazione dell'Iraq, di Gaza e del Libano hanno dimostrato che non esiste alcun nemico in grado di minacciare veramente Israele, quanto piuttosto è ben presente il problema dell'aggressività israeliana.

Mubarak non c'è più, bisogna che il governo israeliano se ne renda conto la più presto. Non c'è più il leader corrotto, non c'è più suo figlio che prendeva tangenti da Israele per le forniture di gas e non c'è più la strategia della tensione di matrice governativa. Non c'è più un governo che fa gli attentati ai cristiani copti per offrirsi poi come protettore contro i qaedisti fantasma, non c'è più il governo che nel 2005 incolpò gli islamici per l'attentato di Sharm el Sheik, che oggi i documenti dei servizi israeliani hanno rivelato essere stato una rappresagli contro un concorrente di Gamal Mubarak nel settore del turismo e nella divisione delle tangenti israeliane.

Attentato nel quale morirono sei italiani: Sebastiano e Giovanni Conti, Giovanni Conti, Daniela e Paola Bastianutti, Daniela Maiorana e Rita Privitera, i parenti dei quali saranno ancora convinti che siano stati vittima dei feroci islamisti, visto che i media italiani non hanno dato nessuna evidenza alla notizia e che la Farnesina, che ha difeso fino all'ultimo Mubarak e si era mobilitata per aiutarlo nel "proteggere i cristiani", difficilmente li avrà informati degli sviluppi.

Tutto questo non esiste più, si è aperta una nuova era con la quale misurarsi e forse è tempo che anche in Israele si affaccino nuovi leader e un nuovo ceto politico, magari non scelto tra i generali come da tradizione israeliana. È tempo di una fuga in avanti verso la civiltà, lontano dagli scenari da Guerra Fredda e dalle miserie cresciute all'ombra prima del conflitto arabo-israeliano e poi degenerate negli anni di Bush e della War On Terror.

L'Egitto ha lanciato la palla nel campo israeliano, tocca ora ad Israele dimostrarsi all'altezza della sfida senza scappare negli spogliatoi dicendo che non vuole giocare con i cattivi.

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