di Michele Paris

Con un’apparizione a sorpresa nella tarda serata americana di domenica, Barack Obama ha annunciato l’uccisione da parte delle forze speciali del proprio paese del terrorista più famoso e ricercato del pianeta. La notizia é stata accolta da festeggiamenti nelle strade delle città americane e il Presidente Obama ha certamente guadagnato popolarità e consensi in ogni dove del paese.

L’esecuzione di Osama bin Laden in una cittadina pakistana presenta ancora molti lati oscuri e, nonostante venga propagandata dalla Casa Bianca e dai principali media occidentali come un momento di svolta nella guerra al terrore, difficilmente influirà significativamente sul futuro della strategia bellica statunitense in Asia centrale.

Fin dall’attentato del 29 dicembre 1992 contro un hotel di Aden, nello Yemen, poco dopo essere stato abbandonato da soldati americani diretti in Somalia, il leader di Al-Qaeda è finito puntualmente sugli elenchi dei terroristi più ricercati dagli Stati Uniti. Diciassettesimo figlio di un immigrato yemenita in Arabia Saudita, Osama bin Laden ereditò una parte cospicua della fortuna del padre, messa assieme grazie al favore dei reali sauditi nei confronti della sua compagnia di costruzioni, che avrebbe utilizzato più tardi per costruire una rete di adepti della guerra santa.

Il “giovane leone” - questo il significato del nome Osama - che era cresciuto giocando con i principi sauditi, sarebbe diventato dopo l’11 settembre 2001 il simbolo stesso del male per l’America sconvolta dagli attacchi alle Torri Gemelle. Nell’ultimo decennio, la sua immagine è stata evocata praticamente dopo ogni attentato o minaccia terroristica in qualsiasi angolo del mondo, facendo passare in secondo piano qualunque dubbio o responsabilità nascoste.

Tutto questo nonostante la nascita stessa dell’organizzazione creata da bin Laden affondi le proprie radici nel jihadismo sostenuto e finanziato da Washington contro l’invasione sovietica dell’Afghanistan e, ancor più, alla luce dell’incertezza nella quale sono tuttora avvolti i contorni e la reale consistenza di Al-Qaeda.

Secondo le ricostruzioni ufficiali, l’operazione che ha portato all’uccisione di Osama bin Laden era iniziata lo scorso mese di agosto, quando i servizi segreti americani, grazie alle informazioni fornite da alcuni detenuti nel carcere di Guantánamo, riuscirono a individuare l’uomo incaricato di tenere i contatti con il numero uno di Al-Qaeda nella città di Abbottabad, nel Pakistan settentrionale. Solo un mese più tardi la CIA sarebbe riuscita a stabilire la presenza certa di bin Laden in un edificio lussuoso ma privo di collegamento telefonico o a internet.

A partire poi dalla metà di marzo, Obama ha tenuto una serie di riunioni con i suoi consiglieri per la sicurezza nazionale per decidere il da farsi. Venerdì scorso, infine, il presidente ha firmato l’ordine che ha autorizzato il blitz delle forze speciali in territorio pakistano, tenendo all’oscuro dell’operazione le stesse autorità locali. L’intervento del commando americano ha innescato un conflitto a fuoco che ha causato la morte di cinque persone, tra cui Osama bin Laden. Il corpo di quest’ultimo è stato poi trasportato in Afghanistan e, da qui, seppellito in mare.

Nel suo annuncio, il presidente americano ha fatto ampio uso dei consueti proclami retorici che hanno accompagnato la lotta al terrorismo inaugurata dal suo predecessore e che hanno puntualmente nascosto agli americani le vere ragioni del conflitto seguito all’11 settembre. Il discorso di Obama e i toni celebrativi dei giornali rappresentano un tentativo di unire il paese in un momento di grave crisi economica e di profonda sfiducia per le avventure belliche in corso.

La descrizione degli eventi, in ogni caso, lascia aperti molti interrogativi sia sull’operazione che sugli sviluppi del conflitto in Pakistan e Afghanistan. Innanzitutto, Osama bin Laden non era latitante in un’inospitale località di confine tra questi due paesi, bensì in una confortevole abitazione alla periferia di una città situata ad una sessantina di chilometri dalla capitale pakistana, Islamabad, e ancora più vicina a Rawalpindi, ovvero il quartier generale dell’esercito del Pakistan. Come se non bastasse, ad Abbottabad è stata documentata la presenza di altri affiliati ad Al-Qaeda in passato e, lo scorso mese di marzo, proprio qui venne catturato un militante islamico di spicco, l’indonesiano Umar Patek, membro del gruppo Jemaah Islamiyah. Secondo le parole di Obama, poi, la localizzazione di bin Laden è stata il frutto della collaborazione con i servizi pakistani.

Com’è evidente, la presenza di bin Laden in Pakistan sarebbe stata del tutto impossibile senza la protezione dei vertici governativi, militari e, soprattutto, dell’intelligence di questo paese. Più che dal paziente lavoro dei servizi segreti e dall’efficienza delle forze speciali USA, la fine di bin Laden sembra dunque essere stata resa possibile, per motivi ancora da chiarire, dalla decisione dei pakistani di liberarsi dello scomodo ospite al quale da anni avevano garantito protezione.

Come ha scritto ad esempio la testata on-line Asia Times, inoltre, bin Laden potrebbe essere la vittima indiretta degli sconvolgimenti che stanno attraversando il mondo arabo in questo 2011. A decretarne la fine, secondo questa ipotesi, sarebbe stata la stessa Arabia Saudita da dove - va ricordato - provengono i più ingenti finanziamenti a beneficio di Al-Qaeda e degli altri gruppi integralisti che operano in Pakistan.

Per i sauditi, nonostante tutto, bin Laden e i suoi non rappresentavano finora una vera minaccia alla sopravvivenza del loro regime. Con le recenti ondate di protesta, però, si è concretizzato il rischio di destabilizzazione anche per Riyadh e il vicino Yemen, una eventualità che andrebbe a tutto favore degli arcirivali iraniani e che Al-Qaeda potrebbe strumentalizzare e rendere ancora più pericolosa.

Uno scenario da evitare ad ogni costo per l’Arabia Saudita - da dove è verosimile si conosca qualcosa circa i movimenti dei gruppi legati ad Al-Qaeda, visto il flusso di denaro a loro destinato e che da qui ha origine - così che la continua presenza di Osama bin Laden è sembrata diventare improvvisamente troppo rischiosa.

Il fatto che bin Laden trovasse rifugio in Pakistan conferma anche l’assurdità delle pretese americane di combattere in Afghanistan per proteggere gli USA da Al-Qaeda. In Afghanistan, per ammissione stessa del governo americano, opera solo una manciata di uomini legati ad Al-Qaeda, mentre i gruppi jihadisti sono attivi per lo più in Pakistan, frequentemente sotto la protezione di un governo alleato degli Stati Uniti. Ciononostante, Washington ha aumentato massicciamente il dispiegamento di proprie truppe in Afghanistan negli ultimi anni.

Oltre ai possibili attentati in Occidente da cui la Casa Bianca ha messo in guardia, la rappresaglia di Al-Qaeda per vendicare la morte di bin Laden finirà probabilmente per concentrarsi nel prossimo futuro contro il Pakistan, intensificando la recente escalation di episodi sanguinosi. I vari accordi di cessate il fuoco tra i gruppi ribelli e i militari pakistani potrebbero saltare del tutto, così come verranno verosimilmente interrotti i negoziati per una possibile riconciliazione tra i militanti e le autorità.

Dal momento che Osama bin Laden in questi anni era diventato sempre più una figura simbolica - lasciando la gestione delle operazioni sul campo ad altri leader, come il suo numero due, l’egiziano Ayman al-Zawahiri - l’attività di Al-Qaeda non dovrebbe subire trasformazioni significative. Allo stesso modo, l’uccisione del nemico giurato degli USA non produrrà cambiamenti di rilievo nella strategia americana contro il terrore, come ha fatto intendere Obama nel suo annuncio.

L’impegno militare in Afghanistan come altrove rimane infatti legato esclusivamente alla difesa degli interessi strategici di Washington nelle aree cruciali del globo. Le quasi tre mila vittime degli attacchi dell’11 settembre, a cui bin Laden è legato, diventarono il pretesto per l’occupazione del paese e del successivo espansionismo militare americano. La più recente aggressione della Libia, per non parlare dell’invasione irachena del 2003, conferma d’altra parte come spesso gli obiettivi degli USA coincidano in maniera singolare con quelli dei gruppi fondamentalisti legati all’organizzazione fondata da Osama bin Laden, alcuni dei quali fanno parte appunto delle forze ribelli sostenute dai bombardamenti NATO e che si battono per il rovesciamento del regime di Gheddafi.

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