di Eugenio Roscini Vitali 

Alla manifestazione pro Mladic organizzata il 29 maggio scorso di fronte al parlamento di Belgrado dal Partito Radicale Serbo - SRS (di estrema destra) erano presenti circa 15 mila persone, ultranazionalisti contrari all’estradizione dell’ex generale serbo bosniaco scesi in piazza per protestare contro la “collaborazione” anti serba del presidente Tadic. Tra loro qualche centinaio di giovani incappucciati che, dopo aver devastato il centro, si sono scontrati con le forze di polizia messe in campo dalle autorità, circa tremila agenti in tenuta anti sommossa che hanno risposto alle provocazioni con diverse cariche e più di 170 arresti. Consueto il bilancio degli incidenti: 26 poliziotti e 12  manifestanti feriti, questo nonostante dal carcere Ratko Mladic, tramite il suo avvocato Miloš Šaljic, avesse invitato alla calma.

Provocatori o filo nazionalisti? Fotografati da decine di giornalisti di tutto il mondo, i giovani “patrioti” hanno celebrato l’ex generale intonando slogan del tipo «siamo tutti Ratko» ed hanno affrontato le forze dell’ordine lanciando pietre e bottiglie ed accettando senza paura lo scontro fisico; questo mentre sul palco campeggiava la scritta “Tadic non è la Serbia” e dalla piazza i dimostranti meno violenti sventolavano insegne cetniche e cartelloni raffiguranti le immagine di Mladic, Karadžic e Šešelj.

Alla manifestazione erano presenti anche la moglie dell’ex generale, Bosiljka Mladic, e il figlio Darko, che alla piazza ha ricordato più volte che il padre «ha combattuto per la libertà del suo popolo e non ha mai ordinato l’uccisione di civili e prigionieri»; tra la folla anche Mladen Obranovic, leader del movimento ultranazionalista serbo Obraz, incriminato nell’ottobre scorso per i disordini avvenuti al gay pride di Belgrado.

La latitanza di Mladic é finita 26 maggio 2011, scovato grazie ad una denuncia anonima nella casa di un lontano cugino a Lazarevo, un villaggio tranquillo della Voivodina, nel nordest della Serbia. Riconosciuto grazie all’anello che portava all’anulare sinistro avrebbe detto: «Ecco la mia carta di identità e il mio tesserino militare. È finita!». Secondo la ricostruzione dell’arresto fatta dal quotidiano serbo Blic, Mladic avrebbe offerto agli agenti prosciutto, formaggio e rakija, la celebre vodka balcanica; si sarebbe poi sfilato l’anello e l’orologio e li avrebbe consegnati affermando: «Dateli ai miei familiari». Alla domanda se avesse con sé delle armi, l’ex generale avrebbe poi risposto: «Che generale sarei se non avessi delle armi. Ecco qui le mie due pistole. In tutti questi anni non mi sono mai separato da esse».

Conosciuto con il nome di Milorad Komadic, Mladic avrebbe lavorato come addetto alle scavatrici per una paga giornaliera di 1.300 dinari (13 euro), impiegato in un cantiere edile di Zrenjanin, una piccola città a circa dieci chilometri da Lazarevo. Della cattura di quello che i compagni di lavoro delle ultime settimane hanno definito come un uomo discreto, che parlava poco e si limitava a rispondere alle domande, Boris Tadic ha subito detto: «In nome della Repubblica di Serbia vi posso confermare che stamani Ratko Mladic è stato arrestato. Credo che l’operazione che ha portato all’arresto di Mladic renda il nostro Paese più sicuro, e più credibile. Sono fiero del risultato raggiunto, è una cosa buona per la Serbia che questa pagina della storia si sia chiusa. E che si sia conclusa la fuga di Mladic. Ora bisogna continuare a cercare i suoi complici, quelli che l’hanno aiutato a nascondersi per tutti questi anni, anche tra membri del governo. Arresteremo Goran Hadžic». Verità inconfutabili che elogiano la cattura del boia di Srebrenica e toccano il problema dei tantissimi criminali di guerra ancora in circolazione, inclusa la protezione offerta anche dalle alte sfere della politica e delle forze armate serbe.

In Bosnia Erzegovina la notizia dell’arresto di Mladic è stata accolta con favore e soddisfazione: secondo quanto dichiarato dal ministro della Sicurezza bosniaco, Sadik Ahmetovic, l’arresto di Ratko Mladic sarebbe avvenuto anche grazie alla collaborazione tra i servizi di sicurezza della Bosnia Erzegovina e le autorità serbe; notizia confermata anche da Bakir Izetbegovic, rappresentante bosgnacco della presidenza tripartita, e dal croato Željko Komšic, il quale è convinto del fatto che le autorità serbe hanno sempre saputo dove si trovasse Mladic, così come sapevano dove si trovava Radovan Karadžic.

Meno limpida la posizione dei vertici della Republika Srpska (RS), con il primo ministro, Aleksandar Džombic, che si è detto certo che Mladic avrà la possibilità di presentare la sua versione dei fatti, e con il  presidente Milorad Dodik, che auspica «un processo equo, con tutte le garanzie previste dalle convenzioni sui diritti umani». Ma all’interno dell’entità serba della Bosnia Erzegovina c’è anche chi chiede che il governo della Republika Srpska sostenga finanziariamente e in ogni modo possibile la difesa del generale all’Aia e chi è pronto è pronto ad organizzare manifestazioni pro Mladi?.

Sembra comunque che per quello che l’eurodeputato della Lega Nord Mario Borghezio ha definito un “patriota” sia arrivato il momento di pagare il conto. La prima apparizione davanti ai tre giudici del Tribunale penale internazionale è stata fissata per oggi alle 10: insieme al capo politico dei serbi di Bosnia, Radovan Karadžic, e al fondatore del Partito Radicale Serbo, Vojislav Šešelj, Mladic è accusato di genocidio e altri crimini commessi contro la popolazione civile. Secondo la Procura internazionale, Mladic ha fatto parte di un’associazione criminale il cui fine era l’eliminazione fisica o la deportazione dei bosniaco musulmani (bosgnacchi), dei bosniaco croati e di altre persone di nazionalità non serba da vaste aree della Bosnia Erzegovina.

A quest’associazione criminale avrebbero aderito militari della Repubblica Serba di Bosnia Erzegovina e rappresentanti politici del Partito Democratico Serbo (SDS), personalità di spicco dell’ex Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia, poi Repubblica di Serbia, delle forze armate jugoslave (JNA) e membri di unità volontarie e paramilitari serbe. In particolare Mladic deve rispondere dei reati di omicidio, sterminio, deportazione e persecuzione per motivi politici, razziali e religiosi commessi nelle aree di Banja Luka, Bihac, Bijeljina, Bosanska Gradiška, Bosanska Krupa, Bosanski Novi, Bratunac, Brcko, Doboj, Foca, Gacko, Kalinovik, Kljuc, Kotor Varoš, Nevesinje, Novi Grad, Prijedor, Rogatica, Sanski Most, Srebrenica, Teslic, Vlasenica, Vogošca e Zvornik; di aver guidato l’assedio di Sarajevo e ordinato il massacro di Srebrenica, portato a termine con l’appoggio dei gruppi paramilitari guidati da Željko Ražnatovic, meglio conosciuto come Arkan.

 

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