di Fabrizio Casari

Avventura finita per Gheddafi e famiglia: dopo mesi di bombardamenti a tappeto da ogni dove, la Nato ha ormai conquistato Tripoli. Da oggi non esiste più la Jamahiria Araba Libica Popolare Socialista, ma semplicemente la Libia. Proseguono ancora i combattimenti nelle strade della capitale, dove si registra ancora la resistenza delle milizie legate al colonnello; ma siamo comunque all'epilogo del regime, probabilmente trattasi di questione di ore.

Sono in corso le operazioni di pulizia dai cecchini e, come prevedibile ma non raccontabile, le vendette e i regolamenti di conti, le esecuzioni sommarie che, con la scusa del caos e dei cecchini, passeranno sotto il silenzio che la stampa occidentale già si prepara ad offrire come omaggio ai vincitori. Nel caso, verranno semmai fatte passare come crimini dei mercenari africani al servizio del colonnello.

In attesa che la Nato metta direttamente piedi nel suo nuovo protettorato, i cosiddetti “ribelli”, più inclini alle fotografie che al combattimento, sono a bordo di macchine, mitra spianati e grida convulse, a ricavarsi un posto nell’album del “chi c’era” che nel migliore dei casi frutterà prossimi riconoscimenti, ruoli, incarichi; nel peggiore almeno un po’ di prestigio in famiglia e tra i conoscenti. Gli incerti diverranno falchi e i falchi si travestiranno da colombe; chi ha meno sparato si scoprirà combattente e chi più ha sparato s’improvviserà leader politico pragmatico e saggio.

L’ultima proposta di cessate il fuoco era stata respinta al mittente senza nemmeno il garbo del linguaggio diplomatico. Del resto, per trattare bisogna avere qualcosa da chiedere e qualcosa da offrire in cambio: i resti della famiglia di Gheddafi, invece, da offrire non avevano proprio più nulla. I ribelli affermano che sono stati fatti prigionieri i figli maschi del Colonnello, Saif e Saadi; ma é propaganda, visto che Saif ha incontrato i giornalisti della BBC per dire che suo padre é a Tripoli. Un altro figlio, Muhammad, sembra sia riuscito a fuggire, mentre non è ancora nota la sorte della figlia Aisha e di Gheddafi stesso. Fonti diverse, ma lo danno asserragliato nel compound o in zone di confine pronto a riparare all’estero; Sudafrica o Zimbawe, Angola o Venezuela sembrerebbero le destinazioni possibili. Altre fonti lo danno invece pronto al suicidio ed altre ancora alla resa.

Due scenari opposti, perché se l’eventualità del suicidio da proporre al mondo come martirio sarebbe un autentico gesto di coraggio, quello dell’espatrio sarebbe il gesto della viltà. La morte del colonnello sarebbe comunque una soluzione positiva per la Nato e i ribelli: non é escluso che si cerchi d'ingaggiare allo scopo uno della sua scorta. Ma l'opzione migliore per l'Alleanza Atlantica sarebbe quella di una sua cattura, per portarlo a L’Aja ed aggiungere così il Rais libico alla collezione di trofei per la Corte Penale Internazionale che gli stessi Usa, però, non riconoscono abile a processare loro e i suoi alleati.

Dopo 1600 morti e mesi di bombardamenti senza sosta, l’Alleanza atlantica ha avuto quindi ragione della resistenza dei lealisti del regime del colonnello. Mesi di guerra che hanno proposto spesso, tra interlocuzioni prima e riconoscimenti poi agli insorti cirenaici, tra avanzate e indietreggiate, tra conquiste di città e perdita delle stesse, momenti di difficoltà di fronte ad una realtà militare sul campo che era apparsa subito molto diversa dal war-game immaginato.

Le varie e continuate diserzioni da parte dei fedelissimi di Gheddafi hanno ulteriormente complicato il riassetto del regime, ormai progressivamente trasformatosi nel governo di un clan familiare e le ultime defezioni delle tribù un tempo alleate del colonnello hanno messo la parola fine all’avventura politica di un regime che ha governato la Libia per 42 anni.

Si apre ora la fase più delicata. Perché la composizione politica degli insorti è quanto mai vaga e di difficile controllo. Impossibile non vedere, per quanto occultata dalla stessa Nato, la presenza notevole di organizzazioni d’integralisti islamici, di bande cirenaiche legate ai traffici illeciti, del notabilato locale e di componenti del vecchio regime riciclati. C’è da attendersi, poi, un difficile riequilibrio di peso politico tra le diverse tribù, alcune delle quali non potranno pensare di attraversare indenni il purgatorio, visto l’appoggio dato a Gheddafi fino a poche settimane orsono.

E’ quindi presumibile che per la Nato il difficile cominci ora. Bombardare dal cielo e dal mare, rifornire di armi, istruttori, incursori e mercenari le truppe ribelli é stata la parte meno complicata. Da oggi, invece, i conti andranno fatti con il futuro assetto del paese. Non sarà facile decidere a Bruxelles quale sarà il futuro assetto politico e statuale della Libia e, di conseguenza, la casta che dovrà governarne sia la transizione che il futuro. E’ invece probabile che questa piramide voglia essere rovesciata dagli insorti: la casta che imporrà il comando, per quanto dovrà mediare con i “liberatori” occidentali, si farà forte proprio di quella “interlocuzione unica” di cui ha goduto finora e potrà imporre la forma di regime e gli uomini che lo guideranno, almeno nella prima fase.

Una possibile mediazione potrebbe vedere una Giunta provvisoria dove trovare posto sia per i boss della Cirenaica che per gli ex della cerchia di potere di Tripoli, da Moussa Koussa a Jalloud, ad Abdulrahman Shalgam: la Nato si fida più di loro che degli insorti, giacché sono uomini capaci di governare e ormai completamente al servizio dell’Occidente, che gli ha dato riparo, denaro e protezione. Qualche inserimento di esponenti delle tribù della Tripolitania e della Sirte completerà il quadro.

Ma, quale che sia l’accordo, dovrà essere trovato in fretta: nel caso libico, infatti, il tempo ha una valenza superiore. Alla Nato e agli interessi dell’Occidente petrolifero che rappresenta, l’urgenza è quella di far ripartire i pozzi prima possibile. Con Gheddafi fuori scena e Chavez in precarie condizioni di salute, il Brent ritrova l’umore dei tempi migliori.

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