di Mario Braconi

“Countdown to zero” è un documentario di Lucy Walker che, attraverso una serie di interviste a leader globali, dimostra come la preoccupazione per il riscaldamento globale e l’inquinamento finiscono per essere superflue in un contesto in cui l’umanità può distruggere il pianeta in modo assai più rapido ed efficace, con una o più bombe atomiche. Secondo il film, la probabilità di utilizzo di armamenti nucleari è aumentata esponenzialmente dalla fine della guerra fredda, causa proliferazione nucleare, terrorismo, incredibili lacune nella sicurezza eccetera. John De Fore di Reuters, recensendo il film a febbraio del 2010, ne loda le immagini raffinate e ne riassume così il messaggio di fondo: una bomba nucleare può esplodere in ogni momento per “incidente, errore di valutazione, o follia”.

Questo perché nel mondo si contano oggi ben 23.000 ordigni nucleari, perché é relativamente facile trafugarli e trasportarli e perché essi vengono troppo spesso stoccati in modo ridicolmente poco sicuro, specie in paesi come la Russia. Sembra che il filmato abbia attirato l’attenzione del Segretario di Stato Hillary Rodham Clinton, per la quale è stata organizzata una proiezione privata, mentre i critici del Wall Street Journal, del Guardian e dell’Observer lo hanno osannato.

Quando lo scorso 10 luglio Peter Burt, della Nuclear Information Service (NIS), una ONG che si propone di sviluppare la consapevolezza e stimolare il dibattito sul disarmo nucleare, ha organizzato una proiezione pubblica di “Countdown To Zero” a Reading, tutto si sarebbe aspettato fuorché trovare i poliziotti davanti alla sala. Secondo la ricostruzione di Burt, due agenti si sono sistemati davanti all’ingresso prendendo appunti sulle persone che si recavano all’interno per assistere alla proiezione. I poliziotti avrebbero annotato le targhe dei veicoli dei partecipanti all’evento, mentre un uomo misterioso avrebbe filmato la scena con una piccola telecamera fissata alla divisa.

Burt si è rivolto direttamente ai due poliziotti, chiedendo loro di giustificare la loro presenza, ma la sola risposta che ha ottenuto è stato un non brillantissimo: “Siamo venuti per controllare certe persone”. Alla richiesta di fornire qualche dettaglio in più, i due tutori della legge hanno tagliato corto, spiegando di non poter aggiungere altro. Così Burt ha scritto al capo delle forze di polizia locale della Valle del Tamigi, chiedendo spiegazioni sul bizzarro comportamento degli agenti specificando che l’organizzazione che egli rappresenta promuove informazione e formazione su certi temi e non organizza campagne finalizzate ad obiettivi specifici.

Con il Guardian Burt si è sfogato, sostenendo che “la sorveglianza di attività politiche non violente è una caratteristica tipica dei regimi totalitari, che non vorremmo mai vedere praticata in questo Paese”. Bisogna dare atto al Capo della polizia locale, Sarah Thornton, di saper riconoscere i propri errori e di aver reagito con stile.

Infatti, l’11 settembre il Guardian dava la notizia di una sua risposta ufficiale alla contestazione di Burt: “Il luogo in cui si è svolto l’evento da lei organizzato”, scrive la Thornton, “è solo uno dei tanti che sono stati pattugliati quel giorno, allo scopo di consentirci di stimare la probabilità di contestazioni violente nell’area; tuttavia, con il senno di poi, avrei preferito che i miei uomini non si fossero recati in quel luogo”.

Sulla questione della possibile registrazione video, Thornton ha lasciato intendere che ad effettuarle potrebbero essere stati degli uomini della polizia del Ministero della Difesa, precisamente del MDP, una forza di polizia che si occupa soprattutto di antiterrorismo e di scorte armate: “Non rispondo delle attività svolte da personale della MDP” ha aggiunto la Thorton.

La Polizia britannica fa dunque la sue scuse, cosa che è semplicemente impensabile in un Paese come l’Italia, dove succede (per dirne una) che le persone prese in custodia siano vittime di misteriosi incidenti mortali o di irrefrenabili impulsi autolesionisti, senza che dai rappresentanti delle forze dell’ordine responsabili della persone in restrizione arrivi non dico una dichiarazione di scuse, ma nemmeno uno straccio di spiegazione; son cose che capitano. Resta comunque il dubbio che ai pacifisti il governo desideri riservare la stessa sorte degli ambientalisti, spesso oggetto delle “attenzioni non gradite” dei vari ficcanaso di stato britannici.

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