di Mario Braconi

Mentre Wikileaks si sta disgregando, soprattutto a causa del suo carattere e della sua incapacità di leadership, Assange tenta un colpo per ritornare sulla cresta dell’onda. Gliene offre l’opportunità il saccheggio di ben cinque milioni di e-mail sottratte ad un numero imprecisato di impiegati della società di intelligence privata Stratfor (Strategic Forecast) di Austin, Texas.

Benché Assange non abbia rivelato la fonte delle informazioni riservate, lo scorso Natale la Stratfor è stata oggetto di un attacco informatico da parte del collettivo anarchico Anonymous, che, una volta penetrati nei suoi sistemi, hanno sottratto oltre 200 giga di scambi epistolari elettronici non criptati. Uno più uno: Anonymous duetta con Wikileaks ed Assange.

Ed è così che lunedì mattina l’associazione giornalistica Frontline Club, nel quartiere di Paddington a Londra, diventa la vetrina di Assange che, abbandonato il completo scuro, sfoggia uno stile casual chic (jeans e giubbotto di pelle indossato sopra una camicia sportiva). La candida zazzera simpaticamente incontrollata sulla consueta espressione tra l’enigmatico e lo strafottente, il quarantenne australiano annuncia al mondo la pubblicazione delle e-mail riservate scambiate tra la Stratfor e i suoi clienti. Più che la trasparenza in sé e per sé, sembra che egli abbia a cuore le sorti di Wikileaks: non a caso sostiene che la Stratfor abbia preso di mira, oltre che la sua persona, la sua organizzazione.

Sarebbero infatti ben 4.000 le e-mail hackerate correlate all’uno o all’altra. Il resto della filippica è tutto destinato alle malefatte della Stratfor, rappresentata quale essa è in realtà: ovvero una società privata con rapporti intensi e ramificati con il mondo dei media (dalla Reuters alla Gazzetta di Kiev) e con quelli dell’intelligence militare, che si serve di metodi non sempre ortodossi per ottenere le informazioni che vende ai suoi clienti. Nel comunicato stampa si accenna ad un giro di carte prepagate emesse da banche svizzere da utilizzarsi come corrispettivo delle “soffiate”.

I rapporti tra Stratfor e il mondo delle banche d’affari sono certamente molto stretti: in particolare quelli con Goldman Sachs, molti dei cui dipendenti erano destinatari della newsletter pubblicata da Stratfor, come si è appreso quando Anonymous ha messo online tutti gli indirizzi e-mail delle mailing list della società. Tanto è vero che l’amministratore delegato della banca d’affari americana avrebbe investito una bella cifretta (oltre 4 miloni di dollari) in un tale fondo StratCap, il cui scopo sociale sarebbe stato sfruttare le informazioni di Stratfor per ottimizzare i propri investimenti finanziari in titoli di stato e divise.

Non sorprende particolarmente il fatto che una società americana - il cui direttore dell’Intelligence (Fred Burton) viene dritto dritto dai Servizi Segreti del Dipartimento di Stato - abbia obiettivi strategici “allineati a quelli del governo americano”. Tutto sembra tranne che una rivelazione. Inoltre, secondo Assange, la Stratfor passerebbe “dritte” agli agenti del Mossad e sarebbe perfino coinvolta in un misterioso passaggio di documenti di Wikileaks dal Guardian ad Haaretz, avvenuto con la complicità di David Leigh, un giornalista della testata britannica con cui Julian ha litigato. Insomma, come spesso accade quando c’è di mezzo Assange, “molto rumore per nulla”. Cui fa da indigesto complemento un pizzico di antisemitismo strisciante (non è la prima volta che il canuto australiano ne dà prova).

Anche se la versione ufficiale rimasticata normalmente dalla stampa è che la Stratfor sia, se non una Spectre da film di James Bond, certamente una CIA in miniatura, le cose non stanno esattamente così. La reputazione della Stratfor e del suo fondatore e deus ex machina George Friedman sono, e non da oggi, molto discusse. Con una battuta assai efficace Max Fischer, vicecaporedattore del periodico americano The Atlantic, equipara la lettura dei report della società texana a quella del The Economist, solo fatta una settimana più tardi e dopo aver sborsato una cifra astronomica (in effetti, secondo il listino del 2001, un abbonamento alla newsletter costerebbe fino 40.000 dollari all’anno - anche se c’è da scommettere che, una volta che il mondo conoscerà la profondità delle analisi degli impiegati di Friedman, le tariffe crolleranno).

Secondo Fischer, che sostiene di aver ricevuto qualche numero della newsletter come spam, i contenuti tanto preziosi non sarebbero altro che un “pastone” di informazioni di dominio pubblico e di analisi non proprio di primissima mano, dato che spesso assonano con quelle rappresentate il giorno prima sul New York Times. Fischer riporta inoltre la testimonianza via Twitter di una volontaria di un’organizzazione non governativa attiva in Egitto, che sostiene di aver conosciuto personalmente un “agente” della Stratfor: una persona alla sua esperienza in Egitto (pare non sapesse nemmeno raggiungere da solo piazza Tahir) che tra l’altro non parlava una parola di arabo! Se questo è il livello professionale delle risorse sul campo, si può immaginare quanto siano illuminanti le sue analisi strategiche sulla primavera egiziana.

Qualche stralcio dei report di Stratofor è illuminante sul livello di profondità del lavoro degli agenti della società. Prendiamo le “analisi” sull’Italia: “I partiti italiani tendono a cambiare in ogni momento, ma è di fondamentale importanza capire se Berlusconi sia in grado di mantenere il controllo sul paese a dispetto della sua popolarità calante”. Oppure: “Se la recessione picchierà duro, dobbiamo aspettarci una recrudescenza del movimento d’indipendenza dei Lombardi [sic]”; sul nord del Paese: a dispetto della sua evidente disfunzionalità, il nord Italia è in realtà la regione europea più ricca”.

Vediamo anche qualcosa sul Medio Oriente: in una delle e-mail intercettate, Chris Farnham, senior officer della Stratfor, spiega che di un eventuale attacco di Israele all’Iran beneficerebbero soprattutto Russia ed Arabia Saudita (a causa del conseguente aumento dei prezzi del petrolio), sottolineando che il conflitto sarebbe spinto da motivazioni esclusivamente economiche, dal momento che le azioni degli agenti israeliani in Iran avrebbero già castrato le velleità atomiche della Repubblica islamica.

Insomma, sembra proprio che l’intelligence tanto sbandierata dagli uffici marketing della Stratfor nei fatti si riduca a ben poca cosa: informazioni banali, rimasticate da Google, superficiali quando non proprio errate, raccolte da persone con competenze del tutto inadeguate, che mantengono a portata di hacker milioni di e-mail “riservate” ma non crittografate. Perché mai, allora, dare tanta attenzione alla Stratfor?

Prima di tutto perché è stato un bersaglio facile. Inoltre, anche in questo caso pare condivisibile l’analisi di Fischer, che cita una combinazione di “ingenuità e disperazione”. Anonymous è un gruppo di cani sciolti senza una vera agenda politica e alla continua ricerca di un’occasione di visibilità, mentre Assange, dopo l’iniziale colpo giornalistico messo a segno con la pubblicazione del video dell’attacco ai civili messo a segno da un elicottero militare americano in Iraq, ha commesso talmente tanti gravi errori da perdere ogni credibilità e da riuscire a distruggere la sua creatura. Comprensibile da un punto di vista umano il suo tentativo di uscire dall’angolo in cui è stato confinato da una assai discutibile iniziativa giudiziaria originata in Svezia. Resta però l’impressione che si trasformi in un boomerang.

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