di Michele Paris

L’ennesima incursione con i droni in Pakistan nella prima mattinata di lunedì ha alimentato sui media di mezzo mondo una serie di congetture sulla sorte del presunto numero due di Al-Qaeda, Abu Yahya al-Libi, il quale si sarebbe trovato in un’abitazione colpita dal fuoco USA nel Waziristan del nord, al confine con l’Afghanistan. A confermare la presenza del vice di Ayman al-Zawahri nel luogo bombardato sono state le stesse autorità pakistane, anche se la morte di Libi non è stata ancora confermata ufficialmente.

Secondo quanto riportato dalla Associated Press, militanti e residenti dell’area colpita, nel villaggio di Khassu Khel, avrebbero visto Libi entrare nell’edificio distrutto dai droni della CIA, mentre da Washington esponenti dell’amministrazione Obama si sono detti “ottimisti” circa la morte del leader di Al-Qaeda.

Al contrario, un capo talebano locale ha sostenuto che nel blitz sono stati uccisi l’autista e una guardia del corpo di Libi ma quest’ultimo non era presente al momento dell’attacco. Nato Mohamed Hassan Qaid in Libia, Libi era già sfuggito nel recente passato al fuoco dei droni americani. In particolare, nel dicembre 2009 la notizia della sua morte fece il giro del mondo, per essere poi smentita. Ad essere ucciso in quell’incursione aerea statunitense era stato invece un altro militante islamico, Saleh al-Somali.

L’attacco di lunedì ha suggellato un periodo di due settimane di intensa attività con i droni in territorio pakistano. I bombardamenti contro sospettati di legami con gruppi terroristici sono aumentati parallelamente allo stallo delle trattative tra Washington e Islamabad attorno alla riapertura delle rotte di fornitura NATO dirette in Afghanistan dal porto di Karachi. Il governo del Pakistan aveva deciso la chiusura dei propri valichi di frontiera ai convogli occidentali in seguito alla morte di 24 soldati in un area di confine per mano degli americani nel novembre 2011.

Oltre alle scuse ufficiali per l’accaduto, il Pakistan chiede un sensibile aumento del pedaggio a carico dei convogli NATO, condizioni entrambe respinte dagli Stati Uniti. Quando Obama, durante il summit della NATO di Chicago del 21 maggio scorso, ha dovuto prendere atto che i pakistani non erano intenzionati a cedere riaprendo le rotte di terra sul proprio territorio, si è rifiutato di incontrare il presidente Zardari nella metropoli dell’Illinois e, subito dopo, ha iniziato a inviare segnali di impazienza, a cominciare appunto dall’aumento delle operazioni con i droni, nonostante il governo di Islamabad ne chieda da tempo lo stop.

Tra sabato scorso e lunedì, soprattutto, gli USA hanno sferrato 3 attacchi mortali con i droni nel Pakistan nord-occidentale, causando 30 morti, tra cui 4 sospetti militanti sabato, 10 domenica e 15 lunedì con l’incursione che avrebbe ucciso Libi. Secondo la stampa locale, l’operazione di domenica ha colpito una cerimonia funebre nel distretto di Wana, uccidendo numerosi membri della famiglia di un comandante del gruppo islamista guidato da Maulvi Nazir, definito dall’intelligence e dai militari pakistani il “talebano buono”, poiché non si batte per il rovesciamento del governo di Islamabad ma contro l’occupazione straniera dell’Afghanistan.

Il bilancio ufficiale dei blitz è in ogni caso fuorviante. Come ha messo in luce un recente articolo del New York Times, infatti, il sistema di conteggio dei morti causati dai droni adottato da Washington considera militanti in armi tutti i maschi adulti uccisi in una zona dove è stata segnalata una qualche attività terroristica. Per questo motivo, è estremamente probabile che molte delle vittime del fine settimana appena trascorso siano civili e, in ogni caso, che i presunti militanti assassinati non rappresentassero una minaccia per gli Stati Uniti.

Da parte del governo pakistano continuano a moltiplicarsi le dichiarazioni di condanna per le operazione condotte con i droni entro i proprio confini. Martedì, le autorità pakistane hanno espresso una nuova protesta formale al vice-ambasciatore americano, Richard Hoagland. Secondo Islamabad, le incursioni con gli aerei senza pilota nelle aree tribali servono solo ad alimentare ulteriormente l’anti-americanismo e sono perciò controproducenti, visto che permettono ai gruppi militanti di reclutare un numero sempre crescente di nuovi adepti.

Gli Stati Uniti, da parte loro, ignorano puntualmente le richieste pakistane di mettere fine agli attacchi con i droni, considerati un’arma irrinunciabile per colpire i “terroristi” che pianificano attentati in Occidente, in Afghanistan e nello stesso Pakistan.

Su questi strumenti di morte senza pericolo di perdite tra le forze statunitensi ha fatto massiccio affidamento il presidente Obama fin dal suo ingresso alla Casa Bianca. Oltre al Pakistan, dove viene condotto dalla CIA, il programma di assassini mirati con i droni viene utilizzato almeno anche in Somalia e, soprattutto, in Yemen, dove la responsabilità delle operazioni è invece affidata al Pentagono.

Se la morte di Abu Yahya al-Libi verrà confermata, sostengono gli americani, l’operazione di lunedì rappresenterà uno dei maggiori successi dell’anti-terrorismo a stelle e strisce dopo l’assassinio di Osama bin Laden nel maggio 2011.

Libi è una figura piuttosto popolare tra i militanti islamici per essere apparso in numerosi video di propaganda in cui incoraggia a colpire obiettivi occidentali. A contribuire alla sua notorietà, oltre all’essere scampato più volte al fuoco dei droni, è anche la clamorosa evasione dal carcere di Bagram, in Afghanistan, nel 2005, dove gli americani lo avevano rinchiuso dopo l’arresto a Karachi nel 2002. Libi era diventato il numero due di Al-Qaeda in seguito alla morte di bin Laden e alla designazione a suo successore del medico egiziano Ayman al-Zawahri.

Come quasi tutti i militanti islamici oggi bersaglio della “guerra al terrore” di Washington, anche Libi era sul libro paga degli USA tra la fine degli anni Ottanta e i primi anni Novanta, quando dalla Libia si trasferì in Afghanistan per combattere, grazie all’appoggio finanziario e militare americano, contro l’occupazione sovietica. Libi è successivamente entrato a far parte del cosiddetto Gruppo Combattente Islamico in Libia (LIFG), già affiliato ad Al-Qaeda e più recentemente attivo nel rovesciamento del regime di Gheddafi, ancora una volta con il sostegno degli Stati Uniti.

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