di Carlo Musilli

L'Egitto ha un nuovo Presidente, ma il suo percorso verso la democrazia rimane un'incognita. L'ostacolo maggiore lungo la strada è il ruolo giocato dai militari, che con una serie di colpi di mano hanno svuotato di ogni legalità le ultime elezioni presidenziali, gettando un'ombra autoritaria sugli sviluppi politici dei prossimi mesi. Domenica è salito al potere il primo civile nell'intera storia della Repubblica. A quasi un anno e mezzo dalla caduta del "faraone" Hosni Mubarak, il nuovo leader ha finalmente un nome: Mohammed Morsi, membro dei Fratelli Musulmani, organizzazione islamica internazionale che in Egitto ha una ramificazione politica nel Partito Libertà e Giustizia. Morsi ha battuto alle urne Ahmed Shafik, uomo del passato regime, con il 51,73% dei voti contro il 48,27%. Uno scarto che vale quasi novecentomila schede.

"Sarò il presidente di tutti gli egiziani", ha promesso il neo-eletto dopo una settimana d'incertezza estenuante, in cui sia lui sia il suo avversario si erano a turno autoproclamati vincitori. Morsi è stato più volte schernito come "ruota di scorta", perché la sua candidatura è arrivata solo dopo l'esclusione di Khairat el Shater, il prediletto dell'organizzazione. Eppure, appena ottenuta l'investitura, il Presidente ha subito lanciato segnali d'indipendenza e buona volontà: come prima cosa si è dimesso dalle cariche nella Fratellanza, abbandonando anche la leadership del partito.

A quel punto sono arrivati gli annunci più importanti: Morsi ha garantito che rispetterà i trattati internazionali, compreso l'accordo di pace con Israele (firmato nel 1978 a Camp David da Sadat e Begin), e soprattutto ha promesso che "la rivoluzione continuerà". I Fratelli Musulmani hanno fatto sapere di non voler sgombrare Piazza Tahrir, simbolo della protesta scoppiata nell'inverno 2011 contro Mubarak. Anzi, Mohamed el Beltagui, uno dei massimi esponenti della Fratellanza, ha assicurato che il sit in proseguirà finché non saranno ritirate le modifiche alla Costituzione che attribuiscono enormi poteri ai militari. Un altro membro dell'organizzazione ha detto che il nuovo leader giurerà davanti al Parlamento appena sciolto. C'è però il forte timore che questo atteggiamento si riveli una posa opportunistica più che una vera contrapposizione.

Negli ultimi giorni sono circolate voci secondo cui l'annuncio della vittoria di Morsi sarebbe arrivato dopo una lunga trattativa proprio con i militari, che avevano sempre appoggiato esplicitamente il suo avversario. Il via libera al candidato musulmano sarebbe quindi frutto di un accordo in base al quale il Presidente non cercherà di porre rimedio alle ultime prove di forza che hanno sconvolto l'assetto istituzionale dell'Egitto.

In primo luogo la sentenza con cui la Corte costituzionale ha sciolto il Parlamento, giudicando non valida l'elezione di un terzo dei suoi componenti. La decisione ha reso vane le prime consultazioni democratiche nel Paese dopo le dimissioni di Mubarak, che avevano visto trionfare i partiti islamici, in particolare i Fratelli Musulmani. Risultato: il Consiglio superiore delle forze armate (Scaf) è tornato nuovamente padrone assoluto e ha formato un comitato per scrivere la nuova Costituzione.

Qui inizia il secondo tempo del colpo di Stato. Quando ormai avevano intuito che i musulmani avrebbero vinto anche le presidenziali, i militari hanno modificato la Carta in modo da accentrare nelle proprie mani il potere esecutivo e legislativo fino all'elezione del nuovo Parlamento, che comunque non potrà più metter bocca sulla Costituzione, perché nel frattempo la nuova Assemblea Costituente sarà nominata proprio dallo Scaf. Neanche a dirlo, è stata cancellata ogni forma di controllo delle istituzioni civili sull'operato dell'esercito.

A questo punto rimane da capire se e in che modo Morsi intenda opporsi a tutto questo. Anche volendo, i margini di manovra sono minimi: la sua presidenza è considerata "transitoria" proprio perché manca un Parlamento e un testo costituzionale definitivo. D'altra parte, ancora non è dato sapere quando saranno le prossime elezioni legislative, dal momento che la loro convocazione è subordinata proprio all'adozione della nuova Carta. Per il momento l'Egitto rimane in stallo. La "rivoluzione dell'11 febbraio" sembra già un ricordo lontano.

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