di Michele Paris

Dando seguito ad una minaccia lanciata sul finire dello scorso anno, nella giornata di martedì la Corea del Nord ha portato a termine il suo terzo test nucleare in violazione di svariate risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. L’esplosione controllata, condotta nel nord del paese, è stata immediatamente seguita da una valanga di condanne da parte dei governi di tutto il mondo, compreso quello dell’unico alleato di Pyongyang, la Cina, i cui spazi di manovra per contenere le tensioni nella penisola coreana rimangono però estremamente limitati vista la vitale rilevanza strategica del vicino nord-orientale.

L’azione intrapresa dal regime nordcoreano sarebbe la diretta conseguenza del nuovo round di sanzioni adottate dall’ONU nel dicembre scorso in risposta al lancio di quello che l’Occidente ha descritto come un missile balistico di lunga gittata, mentre per Pyongyang era soltanto la messa in orbita di un satellite ad uso civile. L’annuncio del test è stato dato dall’agenzia di stampa ufficiale della Corea del Nord, KCNA, secondo la quale sarebbe stato utilizzato “un dispositivo nucleare miniaturizzato e più leggero ma con un potenziale esplosivo maggiore rispetto ai precedenti… senza causare alcun impatto negativo sull’ambiente circostante”.

Dopo aver rilevato un evento sismico di magnitudo 5,1, pari a circa il doppio di quello provocato dall’esperimento del 2009, l’esplosione è stata successivamente confermata anche dagli Stati Uniti, così come dalla Corea del Sud e dall’agenzia con sede a Vienna che si occupa del monitoraggio dei termini del trattato che bandisce i test nucleari. Il primo test nordcoreano, anch’esso di portata inferiore rispetto a quello di martedì, era stato condotto invece nel 2006.

Il test è stato subito sfruttato dagli Stati Uniti per esercitare ulteriori pressioni sulla Corea del Nord. La Casa Bianca ha infatti parlato di “un atto altamente provocatorio” che danneggia la stabilità della regione. Simili prese di posizioni sono giunte prevedibilmente anche dal neo-primo ministro conservatore giapponese, Shinzo Abe, e dal presidente-eletto sudcoreano, Park Geun-hye, per la quale il più recente test nucleare non farà che isolare ulteriormente un paese già sottoposto a pesanti sanzioni internazionali.

Proprio nuove sanzioni sono state minacciate da molti governi, anche se la Corea del Nord non ha praticamente legami commerciali con paesi esteri ad eccezione della Cina, mentre il suo principale alleato impedirebbe in ogni caso l’adozione di misure più incisive che potrebbero destabilizzare il regime stalinista di Pyongyang.

Nella giornata di martedì, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha emesso un comunicato di condanna che ha citato le sanzioni approvate nel mese di gennaio, promettendo inoltre nuove iniziative nella riunione di emergenza che è stata convocata.

Come già anticipato, quella che è stata descritta come una nuova provocazione da parte di Pyongyang ha spinto la Cina ad emettere una condanna insolitamente dura e a convocare l’ambasciatore nordcoreano a Pechino per manifestare il proprio malcontento. Apparentemente, infatti, il test condotto dal giovane leader nordcoreano, Kim Jong-un, sembra rappresentare uno schiaffo per Pechino, da dove nelle ultime settimane erano stati lanciati ripetuti inviti a non procedere con nuovi esperimenti nucleari. Nei giorni scorsi, inoltre, i giornali cinesi avevano apertamente avvertito la Corea del Nord che, in caso avesse scelto di procedere, il regime avrebbe “pagato a caro prezzo” la propria decisione.

Nonostante i toni piuttosto duri assunti da Pechino in risposta al test nordcoreano, appare comunque inverosimile che la Cina giunga ad adottare misure estreme nei confronti dell’alleato, come richiesto da più parti in Occidente. Se il regime della Corea del Nord deve la sua sopravvivenza in gran parte all’assistenza cinese, è altrettanto vero che la stabilità di questo paese risulta di estrema importanza per gli interessi di Pechino.

La Cina, inoltre, ha dato il proprio consenso a molte delle sanzioni finora approvate dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU ma ha respinto l’implementazione di provvedimenti più duri per evitare di destabilizzare Pyongyang. In ultima analisi, d’altra parte, un eventuale crollo del regime della famiglia Kim potrebbe materializzare uno scenario da incubo per Pechino, vale a dire una penisola coreana unificata e alleata degli Stati Uniti.

Questa preoccupazione, con ogni probabilità, continuerà quindi a prevalere a Pechino, soprattutto alla luce del fatto che, come ha ricordato un’analista di stanza in Cina in un’intervista rilasciata martedì al New York Times, la politica nordcoreana viene in gran parte decisa ancora dai “tradizionalisti all’interno dell’Esercito e del Dipartimento Relazioni Internazionali del Partito Comunista”, le cui priorità relativamente alla penisola consistono, nell’ordine, nell’evitare un conflitto, ridurre al minimo l’instabilità e, solo da ultimo, impedire la proliferazione di armamenti nucleari.

Allo stesso tempo, tuttavia, la presunta mancanza di disciplina della Nord Corea non solo continua ad essere un motivo di grave imbarazzo per il regime di Pechino, ma fornisce anche la giustificazione agli USA per intensificare la propria presenza militare in Estremo Oriente. In questo scenario, la Cina deve perciò destreggiarsi in modo da mantenere in vita un regime che rappresenta un cuscinetto strategico fondamentale contro la rinnovata aggressività americana nella regione, ma anche cercando di esercitare un certo controllo su Pyongyang, evitando provocazioni eccessive che finiscano per innescare un confronto aperto con gli Stati Uniti e la Corea del Sud.

Il difficile equilibrio che la Cina sembra costretta a mantenere nei confronti di Pyongyang è risultato evidente dalle stesse reazioni al test nucleare di martedì. Oltre alle parole di condanna, infatti, il Ministero degli Esteri di Pechino ha invitato “tutte le parti ad abbassare i toni e a risolvere la questione della denuclearizzazione della penisola coreana attraverso il dialogo e le consultazioni” nel quadro dei cosiddetti “Colloqui a Sei” tra le due Coree, gli USA, la Cina, il Giappone e la Russia, lanciati nel 2003 e arenatisi nel dicembre del 2008.

Più in generale, alcuni giornali cinesi hanno cercato di mettere in luce le ragioni che hanno spinto la Corea del Nord a condurre tre test nucleari negli ultimi sette anni, mentre la maggior parte dei media occidentali continuano ad offrire motivazioni legate, ad esempio, ai cambiamenti ai vertici dei governi di Corea del Sud e Cina, alla transizione verso la seconda amministrazione Obama, al desiderio di Pyongyang di rimanere al centro dell’attenzione internazionale se non addirittura alla totale irrazionalità del regime di Kim Jong-un.

In questo senso, un editoriale apparso martedì sul quotidiano cinese filo-governativo Global Times ha affermato che, “in apparenza, Pyongyang ha ripetutamente violato le risoluzioni dell’ONU ed usato il proprio programma nucleare come un’arma per sfidare la comunità internazionale, mentre in realtà il comportamento della Corea del Nord ha profonde radici nel forte senso di insicurezza che pervade il regime dopo anni di duro confronto con Seoul, con il Giappone e con un paese molto superiore militarmente come gli Stati Uniti”.

“Agli occhi della Corea del Nord”, continua il pezzo dell’organo del Partito Comunista di Pechino, “Washington non ha risparmiato sforzi per contenere Pyongyang e mostrare ripetutamente i muscoli, tenendo esercitazioni militari nella regione assieme alla Corea del Sud e al Giappone”. Perciò, “l’ultimo test nucleare sembra essere un’altra manifestazione del tentativo da parte di una disperata Corea del Nord di allontanare questa minaccia”.

In sostanza, mentre l’Occidente bolla puntualmente come propaganda le consuete dichiarazioni del regime stalinista, secondo cui il test di martedì sarebbe “un atto di auto-difesa nei confronti dell’ostilità degli Stati Uniti”, esse indicano al contrario la sensazione prevalente all’interno della cerchia di potere nordcoreana, isolata e accerchiata da decenni da una minacciosa superpotenza come quella americana.

Una percezione non del tutto ingiustificata, quella di Pyongyang, che contribuisce a spiegare anche la persistente chiusura del regime e che andrebbe tenuta in qualche considerazione per aprire una qualsiasi ipotesi di dialogo.

Le politiche basate sulle pressioni, le minacce e le ripetute sanzioni, d’altra parte, non hanno fatto altro che irrigidire la posizione della Corea del Nord fino a provocare tre test nucleari, tralasciando puntualmente, e forse volutamente, di rimuovere le ragioni che hanno alimentato il clima di estrema diffidenza reciproca che caratterizza i rapporti con Seoul e Washington fin dall’armistizio che pose fine alla Guerra di Corea nel 1953.

In un clima di tensioni sempre più evidenti in Estremo Oriente, causate principalmente dalla cosiddetta “svolta” asiatica dell’amministrazione Obama e dal conseguente ricorso al nazionalismo più spinto da parte di tutti i governi della regione, la strategia degli Stati Uniti continua però andare esattamente in senso opposto, aggravando ulteriormente lo scontro nella penisola di Corea, con conseguenze che potrebbero andare ben oltre i confini dei due paesi divisi dal 38esimo parallelo.

Pin It

Altrenotizie.org - testata giornalistica registrata presso il Tribunale civile di Roma. Autorizzazione n.476 del 13/12/2006.
Direttore responsabile: Fabrizio Casari - f.casari@altrenotizie.org
Web Master Alessandro Iacuelli
Progetto e realizzazione testata Sergio Carravetta - chef@lagrille.net
Tutti gli articoli sono sotto licenza Creative Commons, pertanto posso essere riportati a condizione di citare l'autore e la fonte.
Privacy Policy | Cookie Policy