di Michele Paris

Speculazioni e congetture varie continuano ad emergere sui giornali di tutto il mondo in relazione al vero ruolo svolto all’interno dei servizi segreti israeliani dal cosiddetto “Prigioniero X”, il 34enne Ben Zygier morto suicida poco più di due anni fa in circostanze a dir poco sospette in una cella di massima sicurezza di un carcere nei pressi di Tel Aviv. La vicenda della misteriosa spia con doppia nazionalità israelo-australiana è stata portata alla luce solo qualche giorno fa da un’indagine della TV australiana che ha fatto breccia nell’assoluto riserbo mantenuto finora dalle autorità di Israele.

La trasmissione “Foreign Correspondent” della rete australiana ABC ha rivelato martedì scorso l’identità di Zygier, arrestato per ragioni ancora poco chiare nel febbraio del 2010 e tenuto imprigionato nella massima segretezza nel carcere di Ayalon fino al ritrovamento del suo cadavere il 15 dicembre successivo. Nato in Australia, Zygier aveva ottenuto la cittadinanza israeliana nel 2000 ed era stato successivamente reclutato dal Mossad, la principale agenzia di intelligence dello stato ebraico.

L’identità di Ben Zygier era stata tenuta nascosta anche alle stesse guardie della prigione israeliana, dove era conosciuto appunto come “Prigioniero X”. Su richiesta del governo, un tribunale di Israele aveva emesso un divieto assoluto di discutere pubblicamente o nei media della sua vicenda, considerata una delicatissima questione di sicurezza nazionale. Per questo, le autorità israeliane fino al reportage della TV australiana avevano mantenuto il silenzio assoluto, rifiutandosi anche di ammettere l’esistenza di un’ordinanza del tribunale per mantenere il segreto sulla storia di Zygier.

Nel carcere di Ayalon, l’ex agente del Mossad era sottoposto ad un controllo continuo, tanto da rendere poco credibile la versione del suicidio tramite impiccagione. Inoltre, secondo quanto rivelato dal suo legale israeliano, nonostante le condizioni “inumane” di detenzione per quasi un anno, Zygier era rimasto “una persona equilibrata che stava valutando in maniera razionale le sue opzioni legali”. Anche i suoi famigliari hanno respinto l’ipotesi del suicidio, affermando che Zygier non aveva mai manifestato tali inclinazioni e che aveva molte ragioni per vivere, a cominciare da una moglie e due figli, uno dei quali nato proprio alcuni giorni prima della sua morte.

In questa vicenda, a finire sotto la lente d’ingrandimento è stato anche il ruolo del governo australiano, il quale aveva inizialmente negato di essere stato a conoscenza del caso Zygier prima del suo decesso. Di fronte a prove evidenti del contrario, il ministro degli Esteri di Canberra, Bob Carr, ha dovuto però fare marcia indietro, ammettendo che il governo laburista era stato informato del suo arresto dall’intelligence israeliana già il 24 febbraio del 2010. Il governo australiano, tuttavia, come ha fatto con Julian Assange, non ha mosso un dito per assistere Zygier, limitandosi ad accettare le rassicurazioni di Tel Aviv che al detenuto sarebbero stati garantiti tutti i diritti previsti dalla legge di Israele.

Come già ricordato, le ragioni del trattamento riservato al “Prigioniero X” dal governo israeliano rimangono ancora avvolte nel mistero, anche se alcune indiscrezioni sono circolate negli ultimi giorni. Sembra infatti che Ben Zygier fosse stato sul punto di rivelare informazioni altamente riservate relative ad operazioni del Mossad a cui egli stesso aveva preso parte. In particolare, le due piste principali sono legate all’assassinio di un membro di spicco di Hamas e alle attività di sabotaggio nei confronti del programma nucleare dell’Iran.

Nel primo caso, i dettagli sono stati pubblicati settimana scorsa dal quotidiano del Kuwait Al-Jarida, il quale ha citato fonti occidentali che affermano come Zygier avesse fatto parte della squadra speciale del Mossad che il 19 gennaio 2010 uccise in una stanza dell’hotel Al Bustan Rotana di Dubai Mahmoud Al-Mabhouh, responsabile dell’approvvigionamenti di armi per Hamas. Secondo questa versione, Zygier era stato arrestato dalle autorità di Dubai e, in cambio di protezione, aveva acconsentito a rivelare i nomi dei partecipanti e i dettagli di un’operazione nel territorio degli Emirati Arabi Uniti per condurre la quale erano stati utilizzati passaporti falsi di vari paesi europei e dell’Australia. Prima che Zygier avesse potuto parlare, però, il Mossad lo avrebbe rapito e trasferito nel carcere di Ayalon dove sarebbe successivamente morto.

L’altra ipotesi diffusa da alcuni media riguarda invece la creazione da parte del Mossad di una compagnia in Italia per vendere materiale elettronico all’Iran con lo scopo di sabotare le installazioni nucleari della Repubblica Islamica. Zygier sarebbe stato coinvolto in questa operazione top secret, nell’ambito della quale aveva anche richiesto un visto per poter lavorare legalmente in Italia.

Nella giornata di lunedì, la stessa rete televisiva ABC ha inoltre affermato che Zygier sarebbe stato arrestato dal Mossad dopo che aveva rivelato i particolari di questa operazione in territorio italiano e di altre ancora ai servizi segreti dell’Australia (ASIO) nel corso dei suoi frequenti viaggi in quest’ultimo paese per fare visita alla famiglia.

L’autenticità delle varie rivelazioni apparse sulla stampa internazionale attorno al caso del “Prigioniero X” è ovviamente da prendere con le molle, vista l’eventualità tutt’altro che remota di un possibile tentativo di depistaggio messo in atto dallo stesso Mossad. Che dietro al trattamento subito da Zygier ci siano operazioni sotto copertura e illegali dei servizi segreti di Israele appare però del tutto evidente, alla luce soprattutto della riservatezza con cui è stata trattata la vicenda fino alla scorsa settimana.

La priorità assegnata dal governo israeliano alla cosiddetta difesa della sicurezza nazionale a tutti i costi, per la quale possono essere sacrificati sia i diritti civili che la vita stessa di persone che vi hanno contribuito, è apparsa d’altra parte chiara dalle parole pronunciate dal primo ministro Benjamin Netanyahu nella giornata di domenica. In risposta alla richiesta di alcuni parlamentari di aprire una commissione d’inchiesta sul caso Zygier, il premier ha difeso fermamente l’operato delle forze di sicurezza del suo paese.

Israele, secondo Netanyahu, non sarebbe infatti “un paese come gli altri” e, pur “essendo un modello di democrazia” che garantisce i diritti di coloro che sono sotto indagine, “siamo esposti a maggiori minacce e dobbiamo fronteggiare maggiori sfide”. Per questa ragione, a detta di Netanyahu, lo stato di Israele dovrebbe garantire alle proprie forze di sicurezza la possibilità di agire in maniera “adeguata”.

Sul fatto che Israele non sia un paese come gli altri, soprattutto come quelli che applicano il diritto e le più basilari norme democratiche, appare indiscutibile, ma le parole di Netanyahu rivelano anche involontariamente come lo stato ebraico sia solo nominalmente una democrazia, visto che i diritti dei cittadini possono essere messi da parte senza troppi scrupoli quando si tratta di salvaguardare la segretezza di operazioni criminali condotte in nome della sicurezza nazionale.

L’intervento del premier ultra-conservatore appare insomma come una difesa totale del diritto attribuito all’apparato della sicurezza dello stato ad operare al di fuori di ogni controllo o supervisione, dal momento che l’attività di un’agenzia come il Mossad consentirebbe ai cittadini israeliani di “vivere in tranquillità e sicurezza” nel proprio paese.

In altre parole, come dimostra la ricostruzione tutt’altro che completa della vicenda di Ben Zygier, le autorità di Tel Aviv intendono continuare ad occultare i propri crimini contro presunti nemici, ma anche mettere a tacere coloro che intendano rivelarli per qualsiasi motivo, facendo appello alla consueta eccezionalità dello stato di Israele e alle minacce esistenziali che graverebbero su di esso, nonostante a costituire una minaccia per i paesi e gli abitanti dell’intera regione mediorientale, e non solo, sia precisamente la condotta del suo stesso governo.

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