di Michele Paris

Il prossimo martedì si terranno a New York le elezioni primarie dei partiti Democratico e Repubblicano per scegliere i rispettivi candidati alla poltrona di sindaco dove siede da dodici anni il magnate ultra-miliardario delle telecomunicazioni Michael Bloomberg. A guidare da qui a pochi mesi la città più popolosa degli Stati Uniti, sempre più segnata da disuguaglianze sociali e di reddito a livelli stratosferici, sarà il vincitore del voto previsto per il 5 novembre, al quale saranno ammessi coloro che prevarranno nell’eventuale ballottaggio delle primarie in programma il 1° ottobre.

L’attenzione dei media americani si sta concentrando quasi esclusivamente sulle vicende all’interno del Partito Democratico, dove la candidata meglio finanziata e ritenuta nettamente favorita fino a pochi mesi fa, la presidente del Consiglio Comunale, Christine Quinn, starebbe per andare incontro ad una clamorosa sconfitta nelle imminenti primarie. In testa ai sondaggi è schizzato al suo posto Bill de Blasio, il quale potrebbe addirittura superare la soglia del 40% delle preferenze che gli consentirebbe di evitare il ballottaggio e accedere direttamente alla sfida di novembre.

De Blasio è l’attuale “public advocate” della città di New York, una carica elettiva che dovrebbe agire da tramite tra i cittadini e l’amministrazione comunale, a cui è inoltre assegnato il ruolo di controllo sulle agenzie municipali e di indagine sulle segnalazioni degli elettori in merito a disfunzioni dei servizi pubblici.

La stampa d’oltreoceano ha definito de Blasio come il candidato più a “sinistra” tra quelli in corsa, un’immagine che il 52enne ex consigliere comunale in rappresentanza di un distretto di Brooklyn ha attentamente coltivato per cavalcare il malcontento verso le politiche di Bloomberg ampiamente diffuso tra gli abitanti della città, ad esclusione di quelli facenti parte delle fasce di reddito più elevate.

Cavalli di battaglia della campagna elettorale di de Blasio sono alcune proposte populiste che avranno ben poche possibilità di essere implementate, come quella di aumentare il carico fiscale su coloro che guadagnano più di 500 mila dollari l’anno per finanziare asili-nido e programmi dopo-scuola. A spingere de Blasio verso la nomination democratica è anche un certo gradimento fatto segnare tra le donne e, grazie alla frequente presenza in campagna elettorale della moglie afro-americana, tra l’elettorato di colore.

L’ascesa di de Blasio ha rappresentato una sorta di shock per i sostenitori di Christine Quinn, a cominciare dagli ambienti di potere che hanno maggiormente beneficiato dei tre mandati di Bloomberg. La Quinn è sostenuta ufficialmente sia dal “liberal” New York Times che dal conservatore New York Post e il suo crollo nel gradimento degli elettori è facilmente spiegabile, dal momento che negli ultimi anni è stata una fedele alleata del sindaco uscente.

In particolare, la presidente del Consiglio Comunale ha giocato un ruolo chiave nell’approvazione nel 2009 dell’impopolare soppressione del tetto massimo di due mandati alla carica di sindaco voluta dallo stesso Bloomberg, così come ha manifestato il proprio favore per l’odiata pratica della polizia newyorchese definita “stop-and-frisk”, recentemente giudicata incostituzionale da un tribunale federale e secondo la quale gli agenti hanno la facoltà di fermare e perquisire chiunque anche senza chiari sospetti che abbia commesso un qualsiasi reato.

Oltre alla Quinn e a de Blasio, gli altri tre candidati democratici che si presenteranno alle primarie di martedì sono William Thompson - unico afro-americano in corsa ed ex “comptroller” della città, battuto di misura da Bloomberg nelle elezioni del 2009 - John Liu - l’attuale “comptroller” o addetto alla supervisione dell’andamento finanziario dei vari dipartimenti cittadini - e l’ex membro della Camera dei Rappresentanti di Washington, Anthony Weiner, caduto in disgrazia per la seconda volta qualche settimana fa dopo essere stato nuovamente coinvolto in uno scandalo sessuale.

Di fronte ai gravi problemi che affliggono New York, i candidati soprattutto democratici stanno cercando di condurre una campagna elettorale fatta di slogan nei quali si sprecano gli attacchi ai poteri forti cittadini e si promette di far pagare ai ricchi il costo di iniziative che dovrebbero ridurre le disparità sociali.

I bersagli preferiti dei candidati sembrano essere specialmente i grandi costruttori newyorchesi che, dopo i momenti bui della crisi economica esplosa nel 2008, stanno beneficiando di un vero e proprio boom edilizio a Manhattan, destinato com’è ovvio solo a milionari e miliardari che possono permettersi residenze da sogno.

L’emergenza abitativa che riguarda invece il resto della popolazione di New York, comunque, difficilmente verrà affrontata dal nuovo sindaco. Secondo un’indagine apparsa questa settimana sul New York Times, infatti, gli attacchi contro l’industria edilizia lanciati dai candidati democratici in campagna elettorale nascondono una realtà ben diversa. Tutti i cinque pretendenti democratici alla carica di sindaco, così come quelli repubblicani, hanno cioè incassato donazioni più o meno sostanziose dai costruttori che ora criticano apertamente.

Solo in questa tornata elettorale, questi ultimi hanno contribuito con 2,2 milioni di dollari, di cui più di 700 mila sono andati a Christine Quinn, 643 mila a Weiner, 300 mila a Thompson e 215 mila a de Blasio. Il business del mattone tende a contribuire in maniera massiccia alle campagne elettorali per le cariche cittadine, poiché questa industria a New York viene regolata in gran parte proprio dalle autorità comunali, al contrario degli altri settori che fanno riferimento invece al governo statale o federale.

Accuse e controaccuse di essere al servizio dei costruttori hanno così occupato anche buona parte dell’ultimo dibattito televisivo tra i candidati democratici andato in scena martedì. I loro legami con i poteri forti della città, così come la non dichiarata volontà di difendere gli interessi delle classi più agiate, sono apparsi poi ancora più chiari nel momento più imbarazzante e rivelatore della serata, quando i candidati non hanno praticamente avuto alcun esempio da citare in risposta ad una domanda relativa all’ultima volta nella quale si sono ritrovati in ristrettezze economiche. Tutti gli aspiranti alla successione di un sindaco che nei dodici anni alla guida del governo cittadino ha visto passare il proprio patrimonio da 5 a 27 miliardi di dollari, hanno infatti ammesso di godere di redditi a sei zeri.

Nonostante la retorica, perciò, la polarizzazione sociale di New York non verrà intaccata nemmeno nei prossimi quattro anni. A fronte di un’immagine cittadina di estrema ricchezza proiettata in tutto il mondo, nella Grande Mela non risiedono, ad esempio, soltanto i 46 mila contribuenti che denunciano redditi per almeno 1 milione di dollari.

Quasi la metà della popolazione di Manhattan e, soprattutto, degli altri quattro “boroughs” (Bronx, Brooklyn, Queens e Staten Island) è classificata al di sotto della soglia ufficiale di povertà o prossima ad essa, con una realtà effettiva con ogni probabilità anche peggiore visto l’elevatissimo costo della vita che si registra rispetto al resto degli Stati Uniti.

Dopo un digiuno che dura dal 1989, i democratici dovrebbero in ogni caso tornare ad occupare la carica di primo cittadino di New York, anche se la partecipazione degli elettori, come di consueto, sarà tutt’altro che entusiastica. Già nelle elezioni del 2009 l’affluenza non arrivò nemmeno al 30%, mentre nelle primarie di martedì dovrebbe a malapena toccare il 15%.

In campo repubblicano, infine, a contendersi la nomination saranno il favorito Joseph Lhota - banchiere ed ex presidente dell’Autorità Metropolitana dei Trasporti di New York - John Catsimatidis - proprietario di una catena di supermercati - e George McDonald, fondatore di un’organizzazione no-profit per il reinserimento nel mondo del lavoro di ex detenuti e senzatetto.

In assenza di personalità politiche del calibro di Rudolph Giuliani o ben finanziate come Michael Bloomberg, i repubblicani sembrano avere ben poche possibilità di prevalere a novembre, soprattutto perché gli elettori registrati per il loro partito nella città risultano in numero nettamente inferiore rispetto a quelli democratici.

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